ASSEMBLEA CRS

9-10 novembre 1995

Intervento di Riccardo Terzi

In questa situazione di estrema confusione politica, nella quale rischiamo di essere sovrastati dalla retorica, dai nominalismi, da una infinita e sterile guerra di parole, il compito preliminare mi sembra essere quello di una demistificazione dei luoghi comuni della “seconda repubblica”. Occorre cioè ripristinare le condizioni per una analisi e per un discorso politico che siano attenti all’ oggettività dei fatti, e non manipolati dalla suggestione delle formule politologiche.

Oggi un vero dibattito politico è precluso, perché ci troviamo tutti ad essere prigionieri di ideologismi. Può sembrare paradossale, ma nel momento stesso in cui si è prodotta la crisi e la dissoluzione delle ideologie politiche classiche la politica non appare “liberata”, restituita alla concretezza laica dei programmi, ma appare invece avviluppata in nuove mitologie.

Prendo in considerazione tre esempi significativi. In primo luogo, c’è il mito della “democrazia maggioritaria”, di una nuova e superiore forma di democrazia, la quale dovrebbe finalmente consentire al singolo cittadino di esercitare la sua sovranità senza dover subire le strettoie e i condizionamenti delle burocrazie di partito. Dalla battaglia referendaria per una modifica della legge elettorale, la quale ha rappresentato un utile tentativo di dinamizzare il sistema politico, si è passati all’enunciazione di un nuovo dogma, secondo il quale il “principio” maggioritario è l’architrave su cui si deve reggere tutto un nuovo edificio costituzionale.

L’applicazione pratica della nuova legge elettorale dovrebbe condurre ad una riflessione attenta sui diversi effetti che essa ha prodotto, in parte positivi e in parte negativi, e quindi sui nuovi problemi di regolazione del sistema politico, sulla necessità di controllare e guidare una dinamica politica che si presenta tuttora assai confusa e contraddittoria. Ma una tale riflessione critica viene aprioristicamente esclusa, perché di fronte al mito non c’è spazio per la ragione ma solo per la fede, la cui purezza va difesa dai tentativi partitocratici di restaurazione del vecchio ordine.

C’è un solo comandamento: andare oltre, portare a compimento la rivoluzione maggioritaria, rimettere in moto la carovana del referendum. Verso dove? Ho l’impressione che per molti di questi nuovi adepti il “dove” non sia il problema principale. Il movimento è tutto, il fine è nulla. L’importante è essere in marcia, l’importante è cambiare, come non si sa.

Presidenzialismo, semipresidenzialismo, modello Westminster? Elezione diretta del premier o del presidente della repubblica? E con quali poteri? La confusione è grande, e questi temi vengono trattati con estrema disinvoltura e approssimazione. L’unico filo conduttore che sembra di poter rintracciare è l’ispirazione antipartitica e antiparlamentare. Deve funzionare un mandato popolare diretto, che salta la mediazione dei partiti e ridimensiona il ruolo rappresentativo del parlamento. Il popolo che sceglie il suo leader: questa infine è la nuova mitologia, con la quale viene cancellata l’intera storia costituzionale moderna, che ha elaborato un sistema complesso di equilibri e di garanzie per impedire la concentrazione del potere in un unico punto decisionale.

E la sinistra, di fronte a questa offensiva, a questo tentativo di creare una nuova mitologia di massa, autoritaria nella sua essenza e nella sua ispirazione di fondo, che posizione assume? La risposta è oscillante ed incerta, e sembra prevalere un atteggiamento meramente tattico, nella convinzione che questo ormai è il terreno obbligato dell’innovazione istituzionale e che la sinistra può vincere solo se su questo medesimo terreno ha l’iniziativa e l’audacia di una propria proposta. La ragnatela è tesa. È davvero un segno di intelligenza finirci dentro come mosche?

Il secondo esempio è il mito del bipolarismo. Che il sistema politico italiano si stia evolvendo in una direzione tendenzialmente bipolare, e che una tale evoluzione debba essere sollecitata e incoraggiata, tutto ciò è fuori discussione. Ma occorre vedere bene i modi e i ritmi di questo processo, che è tutt’altro che lineare e presenta una serie complessa di varianti, in quanto c’è una storia politica e un pluralismo di soggettività politiche che non si possono cancellare d’un tratto e sacrificare alla purezza di uno schema politologico astratto.

Gli schemi teorici dovrebbero servire a comprendere la realtà. In questo caso essi sono usati per negare diritto di esistenza alla realtà politica effettuale. Il bipolarismo è la competizione esclusiva di una sinistra moderata e di una destra moderata: il resto non esiste. Si compie così un generale prosciugamento delle soggettività politiche reali. Ne consegue che il problema del “centro” politico viene semplicemente negato in via di principio, prescindendo da qualsiasi analisi delle forze reali e delle loro possibili strategie.

Nel momento in cui l’assetto politico è tutt’altro che assestato, il campo è ancora aperto a diverse opzioni e a diversi progetti. Non si può certo dire che “i giochi sono fatti”, e che ormai la politica italiana sia tutta racchiusa nel dualismo tra Prodi e Berlusconi. Non ci possono essere altre proposte, altre candidature? Lo stesso bipolarismo deve necessariamente assumere la forma che esso ha attualmente? Ci si preclude così la comprensione di un travaglio complesso che è aperto in molti settori della società italiana, ai quali ci si rivolge solo per chiedere una scelta di schieramento. Se nel passato abbiamo conosciuto la “boria di partito”, c’è ora un meccanismo che riproduce i medesimi difetti, in quanto tutto ciò che non rientra negli schemi ufficiali non ha titolo di legittimità. Si annuncia un periodo in cui sarà ancora più difficile salvaguardare la propria autonomia di pensiero.

In terzo luogo, la politica tende a ridursi ad un gioco ristretto, elitario, nel quale conta solo l’iniziativa personale di pochi leader. È il principio della personalizzazione della politica, in base al quale non esistono soggetti collettivi, organizzazioni, identità politiche, ma c’è solo l’affidabilità personale del leader. La competizione è tutta giocata su questo terreno: è una competizione di comitati elettorali, di tecniche di comunicazione, di prestazioni televisive, di suggestioni e di messaggi. Il resto non conta. L’unico imperativo è vincere: come, con quali programmi, con quale classe dirigente, ciò ha una importanza del tutto secondaria. Anche per la politica, come per la televisione, il metro di giudizio è l’audience. Il prodotto è pessimo, ma ha successo. Il cittadino-sovrano è in realtà degradato al ruolo di cittadino-consumatore.

È possibile, per la sinistra, accettare queste premesse, e pensare di battere la destra sul suo medesimo terreno? È il tipico errore dei politici realisti e pragmatici, per i quali la politica è solo una tecnica e non una produzione di idee. Se pensiamo che ormai sia intervenuta in modo irreversibile una mutazione di senso della politica, e che queste sono oggi inevitabilmente le logiche dentro le quali è necessario agire, allora ciò significa che la partita è persa, quali che siano le mutevoli vicende elettorali. Verrebbe meno infatti qualsiasi significativo criterio di distinzione tra la destra e la sinistra.

Per questo, credo che occorra una azione in controtendenza, un rovesciamento dei miti oggi dominanti. C’è anche, in questo lavoro, un aspetto difensivo, ovvero la necessità di una resistenza all’ attacco dell’avversario. Ma è evidente che, come sempre, l’azione difensiva non basta se non c’è, contestualmente, la capacità di prospettare diversi obiettivi, diverse priorità.

Il punto di attacco deve riguardare le stesse premesse analitiche dalle quali discende come tema prioritario quello della ridefinizione del patto costituzionale. La crisi italiana non è essenzialmente una crisi costituzionale, ma una crisi politica. Su tutti i versanti davvero strategici per il nostro futuro, sui terreni decisivi dell’economia, dell’occupazione, dell’integrazione internazionale, dell’effettività dei diritti di cittadinanza, della riforma del welfare, c’è un deficit politico, una carenza di programmi, di progetti, e ciò non dipende in nessun modo dalla nostra architettura istituzionale. La palla al piede per l’Italia non è stata la sua costituzione, ma la sua classe dirigente. Pensare che oggi questi nostri ritardi storici possano essere superati con la riscrittura del patto costituzionale è a mio giudizio una pura mistificazione. Ed è una mistificazione il progetto di una nuova assemblea costituente.

Ovviamente sono aperti molti problemi di revisione costituzionale. Quello che in particolare mi sembra più urgente riguarda la riforma federalista dello stato, ovvero la necessità di un nuovo assetto di poteri e di responsabilità tra la struttura centrale dello stato e le sue articolazioni sul territorio. Il federalismo non è una concessione a Bossi, ma è all’ opposto il terreno sul quale si possono sconfiggere le sue velleità separatiste e le sue demagogie.

Ma lo stesso progetto federalista ha bisogno, per essere concreto, di un complesso di misure politiche e amministrative, ha bisogno cioè in primo luogo di una politica, di un diverso stile di governo e di una riforma profonda della pubblica amministrazione, e le innovazioni costituzionali possono essere solo il punto di arrivo e l’estrema garanzia di un cambiamento che già nei fatti ha cominciato a realizzarsi. La costituzione, dunque, si modifica e si arricchisce nel momento in cui sono maturate le condizioni e si è determinato il necessario consenso tra le forze politiche e nella società.

Per tutte queste ragioni, non mi convince la linea di ricerca che ha assunto il CRS, la quale mette in primo piano il tema dell’apertura di una nuova fase costituente accettando così, nei fatti, il terreno che viene imposto da quelle forze che si propongono di destrutturare il nostro attuale sistema di garanzie e di svuotare la costituzione della sua ispirazione sociale. La parola d’ordine dell’assemblea costituente oggi è segnata dalla destra, e mi pare velleitario il tentativo di imprimere un diverso marchio.

Ciò che è in campo è l’idea di una “semplificazione autoritaria”, che trova nel mito del presidenzialismo la sua espressione. La costituzione va rifatta perché c’è un sovraccarico di garanzie democratiche e di condizionamenti sociali che impediscono l’esercizio di una forte autorità di governo. Se il processo viene aperto, saranno questi i temi, questo l’impianto di una nuova politica costituzionale. La nostra esigenza, all’ opposto, si muove nella direzione di una “poliarchia”, di un complesso articolato e differenziato di poteri, e ciò è in continuità con l’ispirazione di fondo della nostra costituzione.

Sul piano politico, la sinistra è esposta al possibile errore di voler giocare da sola la partita del bipolarismo, al miraggio dell’autosufficienza. Senza una ricerca più larga di intesa, in diverse direzioni, si perde. Per questo è importante ragionare sul “centro”, analizzare quello che accade in questa area politica, e costruire una nostra iniziativa. Il centro non è solo la palude dell’inerzia conservatrice, il luogo degli opportunismi e dei trasformismi, ma esso ha in Italia una sua precisa tradizione politica e culturale, segnata in primo luogo dalle posizioni del cattolicesimo democratico. La fine della Dc come centro motore dell’intero sistema politico determina in questo campo un insieme complesso di movimenti e di ricollocazioni, dal cui esito dipenderà in ultima istanza il futuro equilibrio delle forze. Le risorse del centro democratico possono contribuire ad aprire una nuova stagione politica incontrandosi con le ragioni sociali della sinistra, o viceversa, se questo incontro non viene fatto maturare, si possono creare le condizioni per un nuovo blocco conservatore. Illudersi di aggirare questo nodo, come se fossimo già in presenza di una bipolarismo compiuto, è un atto di miopia che sarebbe pagato ad altissimo prezzo.

Tutto ciò richiede iniziativa politica, lavoro di massa, presenza sociale. E allora il punto davvero critico, sul quale mi sembra urgente concentrare la nostra riflessione, è quello che riguarda le forme e i luoghi della democrazia. Le spinte presidenzialiste e il dominio della manipolazione televisiva possono essere arginate solo se si attivano i canali della partecipazione democratica e se prende forma una nuova pratica politica. Questo è oggi il compito prioritario per la sinistra, che rischia altrimenti di vedere dissolta la sua stessa identità. La critica delle forme di invadenza partitocratica che abbiamo conosciuto nel recente passato non può sboccare, per noi, nella negazione delle ragioni della politica come azione collettiva. Piuttosto, occorre riformulare l’agenda dell’azione politica, riscrivere le priorità e gli obiettivi strategici di questa fase.

In tutto questo lungo periodo di transizione, abbiamo lasciato che fossero altri ad imporre i temi e a determinare il clima politico complessivo, con il risultato appunto di vederci costretti nel vicolo cieco di una discussione tutta istituzionale. Ciò ha determinato una pericolosa sfasatura tra la sinistra politica e il movimento sociale, per cui i lavoratori e il movimento sindacale non trovano oggi un punto di riferimento visibile: di qui uno smarrimento, una crisi di identità, un rinchiudersi nei corporativismi; le conseguenze politiche sono già emerse vistosamente nel voto del ‘94, in particolare nelle aree industriali del nord, e potrebbero divenire nel futuro ancora più devastanti.

Cambiare l’agenda politica significa ripartire dalla società italiana e dalle sue contraddizioni, dalle trasformazioni del modo di produzione, dai nuovi fenomeni di globalizzazione del mercato e di crescente esclusione sociale, dal rapporto critico tra sviluppo e occupazione, tra competitività e diritti. Io credo che una nuova domanda politica ci sia, potenzialmente. Essa è in attesa di ritrovare un linguaggio che entri in comunicazione con le esperienze di vita dei soggetti reali e che sia capace di esprimerne le domande e i progetti. L’elaborazione di questo linguaggio è il nostro compito del momento.


Numero progressivo: C18
Busta: 3
Estremi cronologici: 1995, 9-10 novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Pubblicazione: “Democrazia e diritto”, febbraio 1996