AUDIZIONE CON IL MINISTRO DELLA FUNZIONE PUBBLICA E AFFARI REGIONALI SENATORE PROFESSOR FRANCO BASSANINI

Note introduttive di Riccardo Terzi, coordinatore del gruppo di lavoro su “Regionalismo e decentramento istituzionale”

1. Il gruppo di lavoro su Regioni e federalismo, che si è costituito nell’ambito della V Commissione del CNEL, si propone di realizzare una ricognizione approfondita delle diverse ipotesi in campo e di formulare, attraverso un confronto con i diversi livelli istituzionali e con la cultura scientifica, alcune considerazioni di sintesi, ritenendo che il CNEL possa essere una sede proficua per il confronto tra i diversi soggetti e per la ricerca delle necessarie convergenze in una prospettiva di riforma dell’attuale ordinamento statale.
Consideriamo ormai acquisita la scelta a favore di una struttura federalista dello Stato, facendo riferimento a tutto quell’insieme di studi, di ricerche e di proposte che hanno definito un modello di federalismo solidale.
Federalismo significa, secondo questa impostazione, una nuova architettura istituzionale che capovolge la tradizionale logica centralistica, affidando alle Regioni, in primo luogo, e agli enti locali tutte le principali funzioni amministrative e il massimo di autonomia nel reperimento e nell’uso delle risorse. Mentre allo Stato centrale restano alcune essenziali funzioni indivisibili e un più generale compito di coordinamento a garanzia dell’unità e della coesione nazionale. Il carattere “solidale” di questo modello di federalismo sta ad indicare la necessità di equilibrare l’autonomia dei diversi enti territoriali con meccanismi di perequazione nella distribuzione delle risorse, il che è particolarmente necessario in una situazione come quella italiana, segnata da profonde e irrisolte disuguaglianze territoriali.

2. Nel panorama delle diverse esperienze e dei diversi modelli istituzionali esistenti in altri paesi, i punti di riferimento che più utilmente possono essere considerati sono quelli della Germania e della Spagna.
Il modello tedesco è sicuramente l’esempio più compiuto ed efficace di una struttura federalista che assicura coesione nazionale attraverso meccanismi di cooperazione tra i diversi livelli istituzionali. Il caso spagnolo è interessante perché si tratta di un processo in atto di trasformazione, a partire da una struttura centralizzata, e perché va valutata la possibilità di introdurre anche in Italia un processo differenziato, con livelli di autonomia corrispondenti al diverso grado di maturazione esistente nelle diverse Regioni.
In ogni caso, il problema che abbiamo di fronte è quello di definire un progetto di riforma che sia adeguato alla specifica situazione italiana. In questo senso, occorre anzitutto tener conto di tre fattori distintivi della realtà italiana: il forte divario esistente tra il Nord e il Sud del paese, la tradizione municipale e il ruolo che hanno in Italia i Comuni come primi e fondamentali elementi di socializzazione e di vita democratica, le condizioni di scarsa efficienza della pubblica amministrazione; a tutti i livelli, e la necessità quindi di una riforma dell’ordinamento istituzionale che sia in grado di rinnovare nel profondo le strutture amministrative.

3. Nella nuova legislatura che si è aperta con le elezioni del 21 aprile è necessario che il governo e la maggioranza parlamentare sappiano realizzare tutto un complesso di riforme, nel quadro dell’attuale Costituzione.
Considerando che i tempi delle riforme costituzionali sono necessariamente tempi lunghi, occorre un programma a breve, che utilizzi tutte le possibilità riformatrici che sono possibili in una situazione di Costituzione invariata. Naturalmente, le misure di carattere immediato debbano essere del tutto coerenti e funzionali rispetto ad un progetto più complessivo di riforma costituzionale.
Si può così iniziare il processo di riforma, dando il massimo di sviluppo possibile al decentramento di responsabilità e di risorse dal centro alla periferia e avviando la riorganizzazione delle strutture amministrative.
In particolare, le questioni da affrontare nel breve periodo si possono così riassumere:
a) piena autonomia organizzativa per le Regioni e gli enti locali, eliminando i vincoli attualmente esistenti;
b) revisione radicale del sistema dei controlli;
c) trasformazione dell’attuale figura del segretario comunale, che dovrebbe passare alle dipendenze dell’amministrazione comunale;
d) prime misure di federalismo fiscale, con l’attribuzione alle Regioni e agli enti locali di tributi propri e di quote di compartecipazione ai grandi tributi nazionali;
e) trasferimento di competenze dallo Stato centrale ai livelli istituzionali decentrati, con relativa ristrutturazione degli attuali ministeri;
f) una vasta operazione di delegificazione e di semplificazione delle procedure decisionali;
g) avvio della riforma amministrativa, attuando pienamente il principio della contrattualizzazione del rapporto di lavoro, e mettendo a punto un programma organico di modernizzazione delle strutture amministrative, nel quadro di un progressivo spostamento di responsabilità dal centro alla periferia;
h) sviluppo di forme di collaborazione tra le Regioni, nel quadro nazionale e. anche nel quadro europeo;
i) soluzione del problema delle “aree metropolitane”, con l’adozione di modelli flessibili e differenziati.

4. Nella definizione del nuovo modello istituzionale è centrale il problema della costituzione di una “seconda Camera” che sia espressione delle realtà territoriali. Solo con questa modifica costituzionale si può legittimamente parlare di una riforma di tipo federalista, in quanto le strutture territoriali sono chiamate a partecipare direttamente al processo decisionale su tutte le materie per le quali c’è un’implicazione di responsabilità per i governi regionali.
Mentre c’è un accordo di massima sull’esigenza di una “seconda Camera”, non c’è ancora un accordo sulla sua struttura e sulle sue funzioni. È un problema che ci proponiamo di affrontare con una apposita riflessione specifica.

5. Più in generale, si presenta come cruciale la definizione dei rapporti tra regioni ed enti locali, ed è essenziale un’intesa sul progetto di riforma ed il superamento degli elementi di conflittualità oggi esistenti. Non c’è dubbio che una riforma federalista debba necessariamente fondarsi su un’articolazione regionale, ovvero sulla creazione di vere e proprie autorità di governo in un territorio sufficientemente ampio.
In questo senso, si pone anche il problema di eventuali accorpamenti tra le attuali Regioni, per ottenere la dimensione ottimale per l’esercizio di una vera funzione di governo. Il federalismo è quindi legato strettamente alla dimensione regionale. Ma nel contempo, va ridefinito il ruolo delle Regioni e va impostato tutto il problema dei rapporti tra Regioni ed enti locali, tenendo conto della particolare vitalità che ha in Italia l’esperienza municipale, ed evitando quindi che le Regioni si costituiscano come nuovi elementi di centralizzazione e che riproducano i medesimi difetti di burocratizzazione delle strutture centrali. In questo contesto va posto anche il problema degli enti intermedi: Provincie, aree metropolitane.

6. Sembra logico pensare ad un superamento della distinzione attuale tra Regioni ordinarie e Regioni a statuto speciale. Occorre tuttavia un bilancio e una valutazione di insieme dell’esperienza delle autonomie speciali, anche perché esse in alcuni casi rispondono a particolari esigenze di protezione di minoranze etniche e linguistiche, di cui occorre comunque tener conto.

7. Il principio del federalismo è che sul tenitorio l’amministrazione è di esclusiva competenza delle Regioni e degli enti locali. Il problema centrale è quindi la riforma amministrativa. Occorre allora cominciare a definire nuovi modelli organizzativi, a costruire precise ipotesi di riorganizzazione delle strutture amministrative. In particolare, il gruppo di lavoro si propone di mettere allo studio i settori del lavoro, dell’istruzione e della sanità.

8. Vanno approfonditi i rapporti tra federalismo e Stato sociale. Il federalismo comporta necessariamente il riconoscimento delle differenze e la rottura di un modello di tipo uniforme. Ma nel contempo queste differenze non possono essere tali da menomare l’universalità dei fondamentali diritti di cittadinanza. Va quindi ricercato e costruito un equilibrio.
Ciò comporta un esame di merito relativo ai diversi settori, per individuare per ciascuno di essi quali debbano essere le prestazioni sociali di carattere universale, garantite dalla legislazione nazionale, e le possibilità di sperimentazione e di innovazione, che dipendono dalla responsabilità dei governi decentrati.
È evidente che tutto ciò si lega al problema della distribuzione delle risorse e quindi ai modelli di federalismo fiscale.

9. Il lavoro che ci proponiamo di realizzare, coerentemente con la natura e con le prerogative del CNEL, è un lavoro di ricognizione che offra ai diversi soggetti politici, istituzionali e sociali, una sede di confronto.
Il punto di arrivo del nostro lavoro può essere un Forum sul problema del federalismo, con il quale il CNEL offre una sua base di valutazioni e di proposte come contributo al confronto tra i diversi soggetti. Con questo obiettivo, realizzeremo un programma di incontri, di approfondimenti specifici, con il concorso di esperti e di specialisti, e mantenendo sempre un atteggiamento di grande apertura a tutti i contributi politici e culturali.



Numero progressivo: C8
Busta: 3
Estremi cronologici: 1999, ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da PC su carta intestata del CNEL
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CNEL -