AVVIARE L’EUROPA DEL SOCIALE

di Riccardo Terzi

La politica italiana è stata segnata, negli ultimi mesi, da due fatti rilevanti: l’ingresso nell’Unione monetaria europea e il fallimento del progetto di riforma costituzionale elaborato dalla Commissione Bicamerale.

Questa concomitanza è assai significativa, perché indica una sfasatura tra i processi economici e quelli politico-istituzionali. L’Italia entra sì in Europa, ma si porta dietro il peso di un sistema istituzionale e di una struttura amministrativa inefficienti.

Con la Bicamerale le forze politiche si sono proposte di ridisegnare l’intera architettura costituzionale. Sarebbe stato più efficace e più realistico individuare le questioni più urgenti (la stabilizzazione della funzione di governo, lo sviluppo delle autonomie regionali e locali, la semplificazione amministrativa) e concentrare su questi punti l’azione di riforma. Oggi, la scelta più insensata che si possa fare è quella di alzare ancora di più il tiro, con la convocazione di un’Assemblea Costituente, che avrebbe l’effetto di paralizzare tutta la vita politica italiana in un’infinita disputa ideologica.

L’Europa richiede stabilità dei governi, altrimenti il nostro peso nell’Unione Europea sarà sempre marginale e richiede una forte articolazione regionale, coerentemente con i processi già in atto in altri paesi e con il principio di sussidiarietà fissato nel Trattato di Maastricht. Non penso alla formula ingannevole della “Europa delle Regioni”, che dà per esaurita la funzione degli Stati nazionali, ma alla necessità di una struttura istituzionale articolata su tre livelli: sovranazionale, nazionale, regionale.

La Bicamerale, tra l’altro, si è pochissimo misurata con il problema delle nuove istituzioni europee che è rimasto del tutto sullo sfondo, considerato ancora come un problema “esterno” e non come un aspetto fondante del nuovo ordinamento costituzionale.

L’Unione monetaria è un primo passo, di grandissimo rilievo. Con la moneta unica si determina non solo un fatto tecnico, ma un fatto politico e istituzionale, perché esso riguarda una delle fondamentali prerogative degli Stati nazionali e con esso si incide direttamente nella vita quotidiana dei cittadini, nei loro comportamenti e nelle loro rappresentazioni politiche Sicuramente da ciò può venire un impulso importante anche sul terreno politico, verso il rafforzamento delle istituzioni politiche dell’Unione Europea.

Maastricht ha già rappresentato un passaggio strategico di grande rilievo e credo che sia stata giusta la linea seguita dal governo italiano e sostenuta anche dalle Organizzazioni Sindacali per realizzare le condizioni fissate nel Trattato per dare vita ad un’unione monetaria allargata al maggior numero possibile di paesi, sulla base di un’azione profonda di risanamento.

Non c’è però un processo automatico che faccia derivare dalla moneta unica la soluzione dei problemi istituzionali.

Su questo fenomeno si scontrano due diverse possibili concezioni dell’Europa: una concezione funzionalista ed una democratica. La prima pensa a un processo di depoliticizzazione, per cui la sovranità politica viene rimpiazzata da una rete funzionale di tecnostrutture, sganciate dal circuito politico democratico. In questa ottica l’Europa è solo un segmento del mercato mondiale, attraversata da processi che sfuggono a qualsiasi controllo politico

La seconda concezione, all’opposto, tende a riposizionare la sovranità politica, superando i limiti troppo ristretti degli attuali Stati nazionali, a costruire quindi l’Europa come comunità politica democraticamente regolata, dotata di una sua identità, di un suo progetto, di una sua interna coesione. In questo quadro è del tutto chiaro l’interesse dei lavoratori e del sindacato alla costruzione dell’Europa politica, perché l’alternativa è la perdita di ogni possibilità di controllo democratico nel magma indistinto della globalizzazione.

I nodi principali riguardano i poteri del Parlamento (recentemente ampliati con il Trattato di Amsterdam) che essendo l’unico organo democraticamente eletto, dovrebbe assumere un ruolo politico sempre più rilevante; la struttura della Commissione e le procedure di decisione, generalizzando il metodo del voto a maggioranza in alternativa al vincolo dell’unanimità tuttora esistente per molte importanti materie. Queste riforme possono avvicinare il modello istituzionale europeo al normale rapporto tra Parlamento e Governo. Ma solo fino ad un certo punto, perché in una federazione di stati, sono necessari meccanismi di tipo consociativo che consentano a tutti gli stati membri di partecipare al processo decisionale. Si può comunque, con le prossime elezioni europee, determinare un importante elemento innovativo se gli schieramenti politici in campo presentano un programma e un candidato alla Presidenza della Commissione[1], così da rendere visibile, in un’ottica europea e non più solo nazionale, il contenuto della competizione.

La figura del Presidente della Commissione può così divenire una figura politica che risponde all’opinione pubblica europea e che ha una sua autorevolezza autonoma, superando l’attuale configurazione di organo “tecnico”, dipendente dalle scelte dei governi nazionali. La riforma delle istituzioni, nella direzione del rafforzamento di tutti gli elementi di sovranazionalità, è una condizione indispensabile anche nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione verso gli stati dell’Est europeo.

L’approdo nell’Unione può dare una prospettiva ed una stabilità democratica a quest’area irrequieta del nostro continente. E, sotto il profilo sociale, un processo graduale di coesione europea e di affermazione dei diritti fondamentali può far superare le forti contraddizioni oggi esistenti, che si esprimono nell’ondata migratoria da un lato e, dall’altro, nella concorrenza basata su costi e condizioni di lavoro indegne di un paese civile.

In questa prospettiva, il ruolo degli stati nazionali non viene superato, ma deve radicalmente trasformarsi, con un trasferimento di sovranità su alcune materie fondamentali.

Dopo la moneta unica, ci deve essere una comune politica estera europea e un comune coordinamento delle politiche economiche anche per affrontare l’emergenza dell’occupazione Qui i ritardi sono ancora molti.

Non c’è ancora uno spazio sociale europeo e cioè un insieme di politiche e di regole condivise, ma ci sono solo indicazioni e suggerimenti, lasciando alla competenza esclusiva degli stati membri la definizione delle politiche per l’occupazione

C’è però, su questi temi, un’attenzione più sensibile e la convinzione che l’Europa debba salvaguardare il proprio “modello sociale”, rinnovando ma non smantellando le strutture del welfare.

Mentre appare ancora prematura l’idea di una “Costituente europea” per la complessità degli assetti istituzionali, si può invece pensare ad una “carta fondamentale dei diritti” che dia fondamento alla cittadinanza europea.

Ma in tutto questo processo non possiamo solo attenderci decisioni dall’alto occorre una mobilitazione sociale, un’attivazione dell’opinione pubblica europea, occorre cioè un movimento reale che costruisca le condizioni culturali per l’emergere del cittadino europeo e di un sistema europeo delle rappresentanze politiche e sociali.

Occorrono partiti europei, sindacati europei, istituzioni culturali europee cioè lo “spazio politico” comune, il luogo di confronto, di dibattito, di competizione che superino i sistemi chiusi degli stati nazionali.

[1] La Commissione, a differenza del Consiglio, è un organismo composto da individui e non dai rappresentanti di Stati, essi sono scelti per la loro competenza, specie nei settori economico o politico In quanto esprime l’interesse generale della Comunità non ha collegamenti istituzionali con gli Stati membri.



Numero progressivo: H63
Busta: 8
Estremi cronologici: 1998, novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Qui Fisac Lombardia”, 1998, p. 13