L’UNICO REALISMO POSSIBILE

PCI a congresso: nasce il PDS

di Riccardo Terzi

Per il nuovo partito non esistono strade brevi. Occorre scavare in profondità per ricostruire l’identità culturale della sinistra

 

L’atto di nascita del PDS si compie mentre è drammaticamente aperta una crisi mondiale che ha rimesso in moto la terribile macchina della guerra.

Ogni giorno e ogni ora ci può essere una precipitazione e un allargamento dello scontro. E già ora si profila una immane distruzione di risorse, una somma spaventosa di sofferenze umane, e una lacerazione politica profonda che rischia di spezzare per un tempo indefinito ogni capacità di comunicazione tra le grandi masse del mondo arabo e i paesi dell’Occidente. Di fronte a questa crisi abbiamo compiuto una scelta politica assai netta, rifiutando la logica dell’intervento militare. Senza questa scelta “pacifista” – uso di proposito questa parola ora vituperata – il PDS sarebbe finito prima di cominciare. Non solo perché si sarebbe determinata una spaccatura tale da rendere ineluttabile una scissione rovinosa, ma perché soprattutto avremmo sacrificato al calcolo politico opportunistico le nostre risorse più profonde, la nostra capacità di rappresentare quelle esigenze di rinnovamento della vita politica che sono potenzialmente assai ampie nel corpo della società. La guerra, come insegnano i classici, è il prolungamento della politica con altri mezzi. Ma è appunto questa concezione della politica come tecnica di dominio che si tratta di rovesciare, restituendo la politica alla sovranità dei cittadini.

Schierarsi per la pace, e tirare tutte le conseguenze da questa scelta di principio, prescindendo da ogni calcolo di convenienza politica immediata, è un fondamentale atto di rottura rispetto alla pratica corrente della politica come manipolazione, come stravolgimento dei significati. E ciò chiarisce più di tante dichiarazioni verbali, quale sia il senso di marcia del processo in cui siamo impegnati.

Lasciamo pure strillare i De Michelis e i La Malfa. Nel livore della polemica contro di noi c’è il dispetto per la prova di vitalità e di autonomia con la quale il nuovo partito si presenta sulla scena politica senza complessi d’inferiorità verso nessuno e con una rinnovata capacità di mobilitazione.

Certo, colpisce questa nuova ondata di intolleranza, questo clima culturale opprimente che si vorrebbe instaurare, pronto al linciaggio morale di ogni voce di dissenso, fino a giungere a forme insopportabili di retorica e di cinismo. C’è una aggressione violenta nei confronti della cultura pacifista, e sembrano tornare di moda le antiche virtù di virilità e di sprezzo del pericolo, contro il moralismo imbelle di chi solleva problemi di solidarietà e di comprensione umana.

E torna a essere sollevata l’antica questione dell’affidabilità democratica del PCI, la quale viene fatta coincidere col grado di accodamento alle posizioni della maggioranza di governo. Questo accodamento non c’è, e quindi il PCI è complice di Saddam Hussein, stravolgendo così totalmente la verità dei fatti.

Siamo tornati a essere degli scolaretti immaturi che ogni volta devono sottoporsi all’esame. All’esame di chi? Del professor Giuliano Ferrara? Guai se dovessimo farci intimidire da questa arroganza. Dobbiamo rispondere con fierezza, senza nascondere la nostra legittima indignazione e anche il nostro disprezzo per questa nuova razza di cortigiani.

C’è, in tutta questa vicenda, un insegnamento politico importante che riguardale prospettive e il futuro del PDS. Sembra infatti del tutto smentita l’ipotesi di una tranquilla marcia di avvicinamento al governo. E coloro che, anche all’interno del partito, hanno pensato che l’unica missione storica del PDS fosse quella di produrre ministri e sottosegretari, non nascondono il proprio disagio, e talora anche la stizza, per un corso delle cose che non corrisponde alle loro aspettative.

Bene, è l’occasione per un chiarimento. Noi abbiamo sostanzialmente due possibilità: quella di assecondare la corrente, e quella di remare contro corrente. La prima via è facile, ma illusoria; la seconda è difficile, ma realistica. Parlo della corrente che ha portato a una progressiva destrutturazione dei valori della sinistra, della sua stessa ragione di essere del tentativo cioè di chiudere i conti non tanto con il marxismo quanto con la tradizione dell’illuminismo e con i principi del pensiero democratico. Questo è il processo in atto: nuove oligarchie e nuovi privilegi contro l’idea di uguaglianza, organizzazione autoritaria del potere contro l’idea di sovranità popolare, ritorno al localismo e allo spirito di comunità contro l’universalismo dei diritti. E ora si aggiunge anche il ripristino della guerra come elemento regolatore dei conflitti.

La crisi attuale della sinistra – questa è la mia convinzione – dipende dalla scarsa coerenza che essa ha avuto con i suoi stessi principi fondativi. Se la “miseria culturale delle leghe” esercita un fascino, è perché non si è condotta con forza una battaglia per l’eguaglianza dei diritti. Se nuove suggestioni autoritarie prendono corpo, è perché non si è presa sul serio l’idea della democrazia. Abbiamo contribuito anche noi alla manipolazione dei valori, e ora suonano come impronunciabili parole come libertà, giustizia o pace. Fino a quando non si costituisce una forza politica che agisce in assoluta coerenza con i suoi principi. E questo è il ruolo politico del PDS; il quale può mettere in moto nuove forze e suscitare nuove passioni, solo se appare come un fatto politico nuovo, e non come l’ennesima variante del sistema partitocratico o come il risultato di una operazione di trasformismo. Per questo, occorre andare contro corrente. E questo andare contro corrente, ovvero questo lavoro di scavo in profondità, di ricostruzione dell’identità culturale della sinistra, è l’unica forma di realismo possibile. La strada più breve è solo un miraggio, una trappola che ci annienta.

È ancora possibile un’operazione politica di questo segno, fatta non di rassegnazione, o di adattamento, ma di coraggio e di sfida per il futuro? Io credo di sì, e credo che a tale disegno possano e debbano concorrere tutte le diverse “anime” del partito, senza mutilazioni, a condizione naturalmente che ciascuno sappia rimettersi in discussione e non resti inchiodato alle proprie parziali certezze. Abbiamo alle spalle un anno di scontri aspri e di lacerazioni, e molti di noi hanno vissuto con angoscia questa situazione. Ma anche in questo caso la strada più lunga e difficile era l’unica capace di portarci alla meta, perché nulla di nuovo e di vitale nasce se non gli viene dato il tempo di prendere forma.



Numero progressivo: H75
Busta: 8
Estremi cronologici: 1991, 10 febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 5, 10 febbraio 1991, pp. 17-18