RICCARDO TERZI: C’È UNA CONVERGENZA OBIETTIVA TRA OPERAI E QUADRI AL DI LÀ DELLE DIVERSITÀ ESISTENTI TRA DI LORO

Intervista di Franz Foti a Riccardo Terzi

Nel numero precedente di QT Rossitto esprime un giudizio positivo nei confronti della CGIL e poi l’accusa di voler ingabbiare i Quadri ed i Tecnici nelle forme di rappresentanza delle strutture di base. Non ti sembra una contraddizione?
«Mi sembra anzitutto che vada apprezzato l’atteggiamento positivo dell’Unionquadri nei confronti del movimento sindacale e della CGIL in particolare. Ciò ha consentito la costruzione di reciproca correttezza, e questo fatto non è irrilevante, in quanto fa da contrappeso a posizioni di contrapposizione frontale che sono presenti all’interno del movimento dei quadri.
Restano tuttavia alcuni fondamentali motivi di dissenso tra la CGIL e l’Unionquadri, e uno di questi riguarda appunto la presenza dei Quadri all’interno delle strutture di base del sindacato. L’obiettivo che noi ci proponiamo è quello di rendere i Consigli dei delegati rappresentativi di tutta la realtà del mondo del lavoro, assicurando quindi una presenza significativa di quadri e di tecnici. Ciò non esclude il ruolo delle associazioni professionali dei quadri, che mantengono in ogni caso una loro ragion d’essere. Resta comunque un obiettivo irrinunciabile del sindacato quello di tendere a rappresentare tutti i lavoratori, senza delegare ad altri compiti di rappresentanza cui deve assolvere in prima persona.
L’Unionquadri, quindi, può avere una sua funzione specifica, ma non può esaurire al proprio interno il problema della rappresentanza sindacale dei quadri.»

 

Non credi che la CGIL in questa fase ha fatto e fa troppo poco per mettere in luce e dar corpo alle convergenze di interessi fra operai e impiegati, quadri e tecnici, rispetto allo scontro sulla difesa del salario, sul fisco, lo sviluppo e l’occupazione?
«C’è indubbiamente un problema di unificazione del mondo del lavoro, che è stato posto dalla CGIL come obiettivo politico, ma che ancora stenta a trovare la via di una traduzione concreta nella prassi del sindacato.
I ritardi ci sono, non solo per la CGIL, ma per l’intero movimento sindacale. Mi sembra tuttavia che in questa ultima fase ci sia un’attenzione maggiore verso questo problema, e la consapevolezza di alcuni nodi che debbono essere sciolti. Ad esempio, dopo molte incertezze e prudenze, sta diventando un’acquisizione diffusa nel movimento sindacale la necessità di una riforma delle politiche salariali e contrattuali che corregga i meccanismi di appiattimento, e sta acquistando rilievo la questione della tutela dei lavoratori, in particolare delle fasce medio alte, dalla crescente pressione fiscale.
La stessa indicazione, su cui insiste la CGIL, di una ripresa della contrattazione articolata a livello di azienda ha, tra l’altro, l’obiettivo di impegnare il sindacato sui temi della professionalità, con la costruzione di piattaforme rivendicative in cui possano riconoscere.
Non è più accettabile che le condizioni salariali dei tecnici e dei quadri siano determinate da scelte unilaterali dell’azienda, senza nessun controllo sindacale; ma per superare questo stato di cose il sindacato deve avere una propria proposta per la professionalità.»

 

La velocità dei cambiamenti impone tempestività di intervento sindacale su tutti i fronti compreso quello dei quadri, tecnici e ricercatori. Non pensi che tuttora la CGIL, sia un po’ lenta ed un po’ impacciata? Quali leve centrali e periferiche bisognerebbe azionare per facilitare una rapida ripresa di intervento?
«Finora c’è stato un divario tra le posizioni politiche generali assunte dalla CGIL e l’azione concreta delle categorie.
È necessario quindi investire più direttamente del problema gli organismi dirigenti delle categorie e gli organismi di fabbrica. Senza un ampio dibattito democratico, senza un confronto di massa, non potremo realizzare cambiamenti significativi nella politica del sindacato. Bisogna sapere che c’è una forza d’inerzia, un insieme di resistenze, di incomprensioni, per cui non si tratta di un’operazione semplice, ma si rende necessaria una lotta politica per riuscire a superare queste resistenze.»

 

Siamo alla vigilia di una nuova fase di contrattazione con diverse ipotesi di riforma. Quali sono a parer tuo i punti vitali per agganciare nel modo e nella prospettiva giusta i quadri, i tecnici, i ricercatori?
«Le ipotesi di riforma della struttura del salario che sono state discusse dalla CGIL nella Conferenza di Chianciano si muovono tutte da due presupposti. Il primo è la necessità di mantenere un meccanismo automatico di protezione dei salari che sia collegato all’andamento dell’inflazione reale. Non può che essere rifiutato ogni tentativo di smantellare l’istituto della scala mobile, o di sostituirlo con una trattativa annuale centralizzata. Il secondo presupposto riguarda la necessità di restituire uno spazio adeguato alla contrattazione articolata, in rapporto con i cambiamenti organizzativi e tecnologici che investono tutto il sistema delle imprese. Tra queste due esigenze occorre trovare una linea di coerenza. Per quanto riguarda l’istituto della scala mobile è necessario eliminare gli effetti di appiattimento provocati dal punto unico di contingenza, ed inoltre occorre che i contratti nazionali di categoria definiscano alcune norme e principi generali, rinviando alla contrattazione aziendale la loro applicazione concreta.
Ciò vale in particolare per l’inquadramento delle figure professionali, superando le rigidità dell’attuale situazione.
Con la riforma della scala mobile e con la riforma dell’inquadramento si può dare una risposta adeguata alle esigenze poste dai quadri e dai tecnici.»

 

La contrattazione aziendale può essere un’occasione importante da non sprecare. Credi che le condizioni politiche, culturali ed organizzative siano al livello giusto per ritessere l’unitarietà del movimento?
«La contrattazione aziendale è decisiva per superare i ritardi che si sono accumulati. Sta qui il compito principale del movimento sindacale in questa fase. Le condizioni per realizzare pienamente questo obiettivo debbono ancora essere costruite, ed occorre lavorare subito per portare tutta la nostra iniziativa al livello necessario.
La stessa possibilità di ripresa dell’unità sindacale dipende in misura essenziale dallo sviluppo che riusciremo a dare ad un’azione articolata che riporti in primo piano i problemi concreti del mondo del lavoro di oggi: problemi di occupazione, di organizzazione del lavoro di professionalità, di partecipazione dei lavoratori alle decisioni.»

 

Non c’è il rischio che la professionalità, o il “ruolo professionale” diventi la nuova discriminante sociale dove appunto si vuole sostituire il concetto di “classe” nella società con la società per ruoli?
«In linea teorica, le differenze professionali non hanno nulla a che vedere con le diversità di classe. È tuttavia vero che l’accentuarsi delle differenziazioni interne alla classe lavoratrice genera tensioni e contraddizioni anche aspre, e che in certi strati finisce per prevalere una coscienza «corporativa» che si sostituisce alla solidarietà di classe. Questo rischio e presente nel movimento dei quadri, e va contrastato.
Occorre comunque tenere realisticamente conto della complessità del mondo del lavoro, delle esigenze diverse, delle diverse forme di coscienza, dei cambiamenti profondi che stanno avvenendo, evitando di restare ancorati ad una concezione arcaica della classe operaia.»

 

Superamento della centralità operaia, centralità del lavoro, coesistenza della pluralità delle figure professionali, modello partecipato dentro e fuori dall’azienda. Questi sono gli assi della visione del non conflitto tracciata da Rossitto. Ti sembrano questi assi, cosi proposti, risolutivi rispetto ai processi sociali, economici, politici ed organizzativi che investono potere e società?
«Ciò che non mi convince nella posizione di Rossitto è l’idea che possa essere superato ogni elemento di conflitto. Dovrebbe essere chiaro che gli obiettivi di partecipazione possono essere conquistati solo attraverso una lotta, sociale e politica. In questa battaglia per la democratizzazione dell’impresa c’è una convergenza obiettiva tra operai e quadri, al di là delle diversità esistenti tra di loro. Credo che se il movimento operaio riuscirà a mettere di più al centro della propria iniziativa il problema della “democrazia industriale”, della partecipazione dei lavoratori alle scelte, a fare di questo un terreno concreto di lotta, per potere controllare efficacemente i processi di ristrutturazione e di innovazione, potrà aprirsi un rapporto di collaborazione più fecondo con i tecnici e con i quadri.»

 

Credi sia utile che la CGIL nazionale si doti di uno strumento apposito d’informazione, di confronto ed approfondimento dei temi relativi ai processi innovativi, alle figure professionali, dei quadri, dei tecnici, dei progettisti e ricercatori?
«Certamente dobbiamo rivedere e aggiornare tutti i nostri strumenti, a livello nazionale come nelle singole realtà decentrate.
Occorre un lavoro sistematico sui temi dell’innovazione, per essere in grado di padroneggiarli, di dare delle risposte, di costruire una cultura sindacale che sia all’altezza delle esigenze di oggi.»

 

Molti chiedono un approfondimento per queste figure professionali in relazione alla contrattazione aziendale ed ai processi di riforma del salario. Pensi che ciò contrasti con la possibilità di far sintesi ed unità con le altre fasce di lavoratori?
«Al contrario, l’unità è possibile solo se si tiene conto di tutta l’articolazione complessa del mondo del lavoro.
Unità non significa uniformità o appiattimento.
A poco valgono dunque gli appelli generici all’unità, se manca al sindacato la capacità concreta di rappresentare gli interessi di tutte le diverse categorie di lavoratori.»


Numero progressivo: B80
Busta: 2
Estremi cronologici: [1983]
Autore: Franz Foti
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Interviste/Dibattiti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Quadri tecnici”, [1983], pp. 1-4