UN CONTRIBUTO AL RINNOVAMENTO DEL SOCIALISMO EUROPEO

La sinistra e i nuovi orizzonti internazionali

Un consistente gruppo di esponenti della sinistra ha elaborato e sottoscritto il documento che pubblichiamo. È un primo materiale di un più ampio confronto culturale e politico sulle scelte che ci stanno di fronte. Su questa base la rivista apre un dibattito e prepara per l’inizio del 2003 un convegno sul tema “la nuova Europa negli scenari della globalizzazione”.

La necessità di un’autonoma forza di sinistra, legata alle idee del socialismo, in Italia e in Europa, non si fonda su astratte ragioni ideologiche o su improponibili tentativi di ritorno al passato, ma si afferma nel nuovo quadro internazionale, dopo la fine della politica dei blocchi, e nell’indispensabile ricerca di un nuovo ordine mondiale.

Il progressivo indebolimento degli stati nazionali, incapaci di governare i processi di globalizzazione, e la carenza di istituzioni politiche internazionali che siano costruite secondo un trasparente processo democratico, determina una situazione generale di squilibrio nei rapporti tra politica ed economia, con il predominio di poteri tecnocratici o finanziari, e in questa situazione l’unica potenza politica globale finisce per essere quella degli Stati Uniti, creando così una pericolosissima tendenza verso un dominio unilaterale non più temperato da un bilanciamento delle forze su scala mondiale.

In altri termini, il processo di globalizzazione assume un carattere inaccettabile non per se stesso ma per le forme politiche e per le strutture di potere che attualmente lo governano, per la combinazione di una teoria economica liberista che pretende di fissare leggi universali e oggettive e di una potenza politica di tipo imperiale che si candida ad essere, sulla base di questo automatismo, l’unico centro regolatore della politica internazionale. Tutto ciò determina un quadro sempre più drammatico di tensioni e di disuguaglianze, produce costi sociali e ambientali non sostenibili, e non garantisce, anche all’interno della potenza dominante, una seria prospettiva di sviluppo. Si tratta quindi di un meccanismo non solo ingiusto socialmente, ma incapace di fronteggiare i pericoli di crisi e di recessione.

L’amministrazione Bush risponde a questi problemi scegliendo non la via della cooperazione internazionale, ma quella dell’unilateralismo, fino alla teorizzazione del diritto ad una guerra preventiva. È una svolta grave nella concezione dei rapporti internazionali che rischia di avere profondi effetti destabilizzanti e di aprire una nuova stagione di conflitti. Diviene allora cruciale la costruzione dell’Europa come autonoma forza politica, nel quadro di una struttura multipolare che sia capace di dare voce alle diverse aree del mondo e di impostare su nuove basi di eguaglianza tutti i rapporti tra paesi ricchi e paesi poveri. Lo stesso ruolo dell’Onu, come suprema sede di regolazione internazionale, potrà essere effettivamente affermato solo in questa prospettiva, sulla base cioè di un equilibrio politico poli centrico e di una politica di cooperazione.

Questo intreccio di questioni appare già ora chiarissimo di fronte alla prospettiva di un intervento armato contro l’Iraq. L’Europa può avere una funzione essenziale nella ricerca di soluzioni politiche e non militari, e da ciò dipende anche la possibilità per l’Onu di non essere scavalcata da decisioni unilaterali e di affermare la sua autorità. L’alternativa al dominio esclusivo di una potenza di tipo imperiale, che decide in modo unilaterale del bene e del male, non può essere il rifiuto in via di principio di qualsiasi uso della forza, ma la rigorosa definizione di un diritto internazionale che regoli i rapporti tra gli stati e fissi le condizioni di legittimità per qualsiasi intervento di tipo militare. La logica imperiale non può essere fermata con i mezzi del pacifismo, ma solo con gli strumenti del diritto. La pericolosa spinta verso la guerra preventiva può essere fermata solo se le istituzioni e il diritto internazionale hanno la forza di affrontare le nuove emergenze, a partire da quella del terrorismo. Sovranità dell’Onu, forza vincolante del diritto internazionale, e costruzione di un nuovo equilibrio multipolare, di cui l’Europa sia uno degli elementi portanti, con una propria forza politica e anche militare, sono aspetti tra loro strettamente legati. L’alternativa a tutto ciò è solo una predicazione morale, nobile ma sterile, contro la politica di potenza.

È in questo quadro che si pone il problema della costruzione politica dell’Europa, ed è questo un compito storico per il quale è indispensabile il contributo decisivo delle forze socialiste. Anche se nel campo della politica estera hanno un peso le diverse tradizioni nazionali, indipendentemente dal colore politico dei governi (ciò è particolarmente evidente in Francia ed in Gran Bretagna), tuttavia è chiaro che le forze di destra non sono in grado di realizzare pienamente la missione europea, sia perché tendono ad una posizione subalterna nei rapporti con l’alleato americano, sia soprattutto per il prevalere di concezioni economicistiche di tipo liberista che riducono l’Europa ad uno spazio di libero mercato, senza porre con la necessaria forza il problema delle istituzioni politiche e della cittadinanza europea, senza impostare quindi un nuovo processo costituzionale che definisca insieme i poteri e i diritti, lo spazio della politica e le forme della coesione sociale.

Il compito essenziale della sinistra è oggi quello di orientare e di guidare questo processo verso un nuovo ordinamento politico dell’Europa. È questo l’obiettivo assolutamente prioritario. Ciò significa:
– attivo ruolo internazionale dell’Europa per la costruzione di un nuovo ordine mondiale;
– allargamento dell’Europa e nuovo assetto istituzionale che consenta sempre più di spostare il livello delle decisioni strategiche su una scala sovranazionale;
– definizione di una carta costituzionale europea;
– costruzione di un modello sociale europeo che garantisca l’universalità dei diritti di cittadinanza e ridefinisca le istituzioni del welfare;
– definizione di una strategia di sviluppo, con un massiccio investimento nella ricerca e nelle nuove tecnologie.

La sinistra europea è in grado di svolgere questa funzione? O si è ormai avvitata in una crisi senza sbocco? Le ultime prove elettorali hanno segnato una grave battuta di arresto, anche se il quadro, dopo le elezioni in Svezia e in Germania, appare più articolato e differenziato, e non si può parlare più di un generale ed univoco spostamento a destra. La destra ha giocato le sue carte sul terreno del populismo e dell’antipolitica (il caso italiano è in questo senso quello più emblematico), rimettendo in discussione il processo dell’unità europea e le politiche di rigore finanziario che l’hanno sostenuto. Il modello è quello di un liberismo senza regole, alla ricerca di risultati immediatamente redditizi, senza dover fare i conti con più complesse strategie di aggiustamento economico e di coesione sociale. Ma l’effetto di una tale impostazione comincia ad essere visibile, soprattutto in Italia: conflittualità sociale, degrado economico, diffusione dell’illegalità, perdita di peso internazionale. Le basi politiche della destra cominciano così a rivelare la loro fragilità, nel momento in cui si determina una crisi nei meccanismi dello sviluppo economico. Appaiono chiari i limiti delle politiche liberiste e la necessità di restituire alla politica la sua essenziale funzione di regolazione.

Il limite delle forze socialiste è stato, in questi anni, quello di non assumere con la necessaria determinazione la scelta europea. Nel momento in cui i più importanti governi dell’Europa erano a guida socialista, si è persa la grande occasione di una comune strategia e di una forte accelerazione del processo costitutivo dell’unità europea. Il socialismo europeo ha continuato ad essere, nella sostanza, un insieme di forze nazionali, il cui orizzonte fondamentale resta quello dello stato-nazione, con la conseguenza di avere non una prospettiva globale, come oggi è indispensabile, ma solo la negoziazione di tanti diversi patti sociali nelle singole dimensioni nazionali. Per questo, esso appare in ritardo rispetto ai processi in atto, nazionale nell’epoca della globalizzazione, e spesso ancora statalista in modo tradizionale nel momento in cui tutto il rapporto tra politica ed economia va radicalmente ripensato. Il rilancio della sinistra e della sua autonoma funzione politica passa quindi necessariamente dalla piena assunzione della prospettiva europea e su queste basi si sta aprendo una nuova fase di ricerca e di elaborazione tra le forze di orientamento socialista. La sinistra deve essere la forza che organizza strategicamente il tema dell’Europa. La sua identità non può essere un residuo ideologico, o una forma di populismo movimentista, ma è l’identità di un progetto politico, di un passaggio storico decisivo che si presenta oggi come la condizione necessaria per offrire alla nostra società una nuova prospettiva democratica.

Il progetto europeo non è solo un progetto istituzionale, ma è anche la costruzione di un modello sociale che assicuri coesione, diritti, integrazione, sicurezza. Questa è stata storicamente la grande forza dell’Europa, grazie alle conquiste del movimento operaio e alle politiche riformiste messe in atto dai partiti socialisti. L’Europa è stata la patria del welfare, della concertazione sociale, dei diritti del lavoro. Si tratta ora di portare ad un nuovo livello questo modello sociale europeo, misurandoci con i nuovi e più complessi problemi indotti dal processo di globalizzazione e dalle profonde trasformazioni del lavoro. Su questo terreno è evidente il divario di prospettive che oppone la sinistra e la destra. In Italia, come in Europa, la destra rappresenta l’abdicazione della politica rispetto al dominio del mercato e al ruolo sempre più invasivo delle grandi concentrazioni finanziarie. Il suo progetto è la compiuta privatizzazione dei rapporti sociali, la riduzione della società ai meccanismi, della competizione individuale. Vengono così seriamente intaccate le basi della coesione e della cooperazione sociale. Ma è sempre più evidente come l’ideologia liberista, con la quale ci si è illusi di chiudere i conti con la storia e di affermare il dominio assoluto dell’economia sulla politica, della competitività sui diritti delle persone, non è in grado di risolvere i problemi delle società moderne e anzi ne determina una condizione di crescente insicurezza e di crisi. È la vita della comunità, la sua interna coesione, che viene messa a rischio per gli effetti disgregativi di una competizione senza regole e per i processi di precarizzazione che investono tutti gli aspetti della condizione sociale. La sinistra rappresenta un’alternativa concreta rispetto a queste tendenze in quanto sa organizzare, nelle nuove condizioni, le istituzioni sociali e le forme di solidarietà e di cooperazione per attuare una politica di inclusione e di universalizzazione dei diritti. È indispensabile quindi una cultura riformista, capace di agire nella realtà per una riforma dei rapporti sociali.

La costruzione politica dell’Europa deve inoltre riattivare un rapporto democratico trasparente che dia piena legittimità alle diverse istituzioni di governo, contrastando le tendenze di tipo oligarchico o tecnocratico che riducono la politica ad un affare tutto interno alle élites di potere. Le riforme istituzionali vanno ripensate in questa chiave, lungo una strategia che ricostruisca gli spazi di un’effettiva partecipazione democratica. Decisivo sarà, in questo senso, il lavoro della Convenzione europea, per la definizione delle basi costituzionali della nuova Europa, dei diritti di cittadinanza, del ruolo delle rappresentanze politiche e sociali, della distribuzione dei poteri e delle competenze istituzionali.

L’Italia, rispetto a questo più ampio quadro delle relazioni politiche a livello internazionale, non costituisce un’anomalia, un caso a sé stante, anche se vi sono ovviamente alcuni elementi di specificità. La coalizione di centrodestra era nata inizialmente da un assemblaggio di forze assai eterogenee e per l’impulso decisivo di una formazione politica, come Forza Italia, del tutto inedita, senza retroterra storico e senza riferimenti internazionali. Ma ora il quadro sta mutando, e Forza Italia si sta inserendo con efficacia nella dimensione europea ed ha prodotto una trasformazione assai rilevante delle basi politiche e culturali del Partito Popolare Europeo. Restano aperte evidenti contraddizioni nella coalizione di centrodestra, sulle quali è possibile lavorare, e non c’è ancora la stabilizzazione di un blocco sociale, o addirittura, come qualcuno teme, di un regime. Ma la politica italiana fa ormai parte di una più generale dinamica europea, e non funziona quindi una linea di attacco che punti ad isolare il caso italiano dal contesto europeo.

La miscela di liberismo economico, di populismo plebiscitario, di intolleranza xenofoba e di arroganza nell’occupazione del potere non è un prodotto solo nazionale, ma una pericolosa tendenza che attraversa tutte le società europee. È questo oggi il volto della destra. Non si tratta quindi di rimpiangere una tradizione rispettabile di liberalismo borghese che appartiene ormai ad una fase storica tramontata, ma di vedere i nuovi termini del conflitto, anche nel campo conservatore, tra una linea populista, che assorbe e ingloba anche le posizioni più estreme, e una linea, come quella di Chirac in Francia, che tiene ben fermo il confine tra democrazia ed intolleranza. È una partita che si gioca su scala europea, e la sinistra deve anche sapere utilizzare i possibili margini di convergenza con le forze moderate che intendono restare all’interno di una tradizione democratica e salvaguardare le regole dello stato di diritto.

Il problema quindi non è riducibile alla figura di Berlusconi, alla sua anomalia, al suo potere di controllo sulla rete dell’informazione di massa, perché Berlusconi rappresenta un blocco di potere e la sua forza è il risultato di un’operazione politica. Concentrare tutto il fuoco dell’opposizione solo su Berlusconi, come se si trattasse di un dittatore-fantoccio, come se dunque il problema fosse solo quello di togliere di mezzo un’anomalia italiana per tornare ad una normale dialettica democratica, è un errore di prospettiva e di analisi, perché l’avversario che dobbiamo fronteggiare non è una dittatura di tipo sudamericano, ma un più complesso e strutturato blocco politico e sociale.

Per questo è un errore una linea di radicalizzazione, di muro contro muro. L’opposizione è efficace non se è gridata, estremizzata, ma se riesce a disarticolare il blocco sociale su cui si regge il governo delle destre. Il radicalismo produce solo l’effetto di bloccare la situazione nei suoi attuali rapporti di forza, in quanto cristallizza gli schieramenti e chiude l’opposizione nelle sue trincee, senza più saper comunicare con tutto ciò che sta oltre. Un’efficace politica riformista si dispiega solo nel momento in cui si parla al paese, ai suoi interessi di fondo, alle sue domande, e si riesce a prospettare un nuovo equilibrio, ad unire un nuovo blocco di forze che sia potenzialmente maggioritario.

La situazione italiana non è stabilizzata, ma c’è un processo politico ancora molto aperto. Il consenso alla maggioranza di governo e alle sue politiche è entrato in una fase di sofferenza, soprattutto per l’incapacità di garantire una prospettiva credibile di crescita economica e di sicurezza, per lo scarto sempre più vistoso tra la demagogia delle promesse e la precarietà dei risultati. L’Italia oggi appare più debole nella competizione internazionale, e più conflittuale al suo interno, senza una guida politica che salvaguardi l’unità del paese. L’opposizione, quindi, ha molte carte da giocare. E i recenti risultati delle elezioni amministrative hanno segnalato, in modo inequivoco, un forte cambiamento nel clima politico generale e la possibilità per il centrosinistra di un’efficace controffensiva.

Su diversi terreni c’è stata nella società italiana una capacità di reazione e di mobilitazione, in risposta alle politiche del governo, dalle questioni del lavoro a quelle della giustizia, dalla scuola all’informazione, fino alla grande manifestazione di Firenze per un ordine mondiale di pace e di cooperazione È una realtà nuova che andrà attentamente analizzata nelle sue dinamiche e nei suoi contenuti. Il punto non risolto è quello della proposta politica, della costruzione di una chiara e visibile alternativa di governo. I movimenti e le lotte sociali sono una straordinaria risorsa, ma non possono di per sé risolvere questo problema, e non può bastare quindi una linea di sostegno passivo ai movimenti. D’altra parte, anche sul terreno dei movimenti di massa, è aperto un problema decisivo per le future sorti politiche del paese, ed è quello del rapporto unitario tra le confederazioni sindacali. Le difficoltà e le divisioni attuali non possono essere considerate come un dato ormai strutturale, ma al contrario possono essere superate attraverso un lavoro impegnativo di rielaborazione delle prospettive strategiche del movimento sindacale nella nuova fase che si è aperta. Di fronte al progetto politico della destra, il sindacalismo confederale deve riaffermare con grande nettezza la sua autonomia, il rifiuto di ogni forma di collateralismo e il suo ruolo decisivo in quanto soggetto sociale che rappresenta il mondo del lavoro e interviene sulle grandi scelte strategiche e sugli indirizzi di fondo della politica economica. La forza del sindacato è in questa sua autonoma funzione di rappresentanza, e in questa prospettiva, unità e autonomia del sindacato sono due condizioni indispensabili e strettamente collegate. La sinistra politica deve favorire questo rilancio del ruolo del sindacato, rispettandone l’autonomia e considerandolo come un interlocutore essenziale, assumendo la concertazione come un modello necessario di relazioni per lo sviluppo del paese e per la sua coesione sociale. In questo senso, vanno apertamente contrastate le posizioni che puntano ad una divaricazione strategica tra i sindacati e che caricano sul sindacato il compito improprio di essere il luogo di elaborazione e di gestazione di una nuova politica.

Sul piano politico, il problema resta la costruzione di un partito socialista e riformista, la ricomposizione della sinistra italiana, nei diversi filoni e culture del riformismo, in un nuovo quadro strategico, non solo nazionale, ma necessariamente europeo e internazionale È questo il problema che è da tempo aperto nel dibattito politico della sinistra italiana. Occorre dunque un partito che, partendo dalla tradizione del movimento operaio e socialista e dalle elaborazioni più avanzate del pensiero riformatore, sappia prospettare un nuovo disegno di riforma sociale intorno al quale unire le forze del lavoro, dell’impresa e del sapere. Senza un’autonoma forza socialista, non c’è per l’Italia nessuna seria prospettiva. Rischiamo, se non si fa questa operazione politica, di essere continuamente strattonati tra moderatismo e massimalismo, tra la rincorsa al centro e le sirene di un fondamentalismo ideologico che si pone fuori dalla realtà ed è quindi del tutto incapace di modificarla. Se il nostro campo è il riformismo, di ispirazione socialista, non ha senso introdurre in questo campo nuove divisioni di carattere ideologico, tra riformismo radicale e riformismo moderato, ma ha senso una comune ricerca, aperta a tutti i contributi, per affermare le ragioni dell’interesse generale del paese e per mettere a fuoco un programma realistico di trasformazione degli assetti sociali.

Il punto di riferimento obbligato è il partito dei Democratici di sinistra, è il suo progetto riformista. Questo partito e questo progetto vanno difesi dalle manovre di destabilizzazione e dalle ipotesi scissionistiche. Se viene meno questo punto di riferimento, è tutta la situazione politica italiana che precipita in un marasma senza sbocchi. Da un’eventuale deflagrazione dei Ds non usciranno salvatori della patria, ma solo gravi rischi di pericolose avventure e pesanti sconfitte.

Il problema del partito autonomo della sinistra va necessariamente correlato al problema della coalizione, del suo rilancio, delle sue regole, della sua coesione. Partiti e coalizione non sono i termini di una contraddizione, di un conflitto, ma di una relazione che va costruita e regolata. Spetta alla responsabilità dei partiti individuare le forme e gli strumenti democratici per organizzare l’Ulivo come strumento unitario di una collaborazione non episodica o solo elettorale, ma programmatica e strategica. Purché sia chiaro che si tratta di una coalizione, che si regge su partiti distinti e autonomi, non destinati a dissolversi in un unico contenitore, non sopravvivenze del passato, non burocrazie ormai morte che devono cedere il passo ad una mitica società civile. L’Ulivo non cresce sulla crisi dei partiti, ma sulla loro leale collaborazione e sulla definizione di un comune programma di governo.

E, a sua volta, l’Ulivo non è uno spazio chiuso, ma deve cercare le più larghe collaborazioni politiche con tutte le forze che si oppongono alle politiche della destra, si tratti di partiti organizzati, come Rifondazione Comunista, o di movimenti. L’Ulivo, insomma, non può che essere un processo politico aperto e plurale, il luogo di un incontro e di una collaborazione che riconosce le diversità e lavora per un loro progressivo avvicinamento. La sinistra partecipa, nella sua autonomia, a questa comune impresa. È parte di un progetto comune, e a questo progetto contribuisce sviluppando e rinnovando la sua cultura politica e non dissolvendola. L’autonomia della sinistra non è quindi un ostacolo, ma una condizione per il successo del centrosinistra e per la sua capacità di aggregare le forze fondamentali del paese.

Il nodo quindi è il partito, la sua autonomia, la sua identità. Sono in atto due speculari manovre di svuotamento della funzione politica del partito: verso la prospettiva di un partito democratico all’americana che tagli definitivamente i ponti con la tradizione socialista, o verso un populismo di sinistra, movimentista e demagogico, senza cultura politica e senza strategia, che sostituisce la struttura collettiva del partito con la delega a qualche figura carismatica. Oggi è necessario, con grande determinazione, una lotta sui due fronti, senza concessioni e senza arretramenti. Occorre costruire un gruppo dirigente coeso e allargato che assuma con chiarezza questa prospettiva. È questa la condizione per aprire davvero una nuova fase politica e per uscire dalle incertezze e dalle contraddizioni attuali.

 

Hanno aderito:

Marilena Adamo, Luigi Agostini, Guido Alborghetti, Aldo Amoretti, Vittorio Angiolini, Aldo Aniasi, Giuseppe Augurusa, Carlo Baccalini, Gabriele Baccalini, Daniela Benelli, Matteo Bianchi, Maria Chiara Bisogni, Matteo Bolocan, Gianni Bombaci, Silvia Botti, Marco Campione, Silvano Campioni, Graziella Cameri, Mimmo Carrieri, Roberto Cassinis, Franco Cazzaniga, Bruno Cerri, Federico Coen, Nadia Corradi, Nino Cortorillo, Gianni Cozzi, Marco Cuniberti, Cesare Damiano, Silvia Da Vite, Biagio De Giovanni, Massimo Di Marco, Annalisa D’Orazio, Antonio Duva, Franco Fedele, Giorgio Franchi, Fiorella Ghilardotti, Franco Giuffrida, Graziano Gorla, Massimo Guerrieri, Stefano Landini, Amleto Luraghi, Giorgio Macciotta, Loris Maconi, Michele Magno, Andrea Margheri, Ettore Martinelli, Agostino Megale, Alessandro Meneghini, Franco MirabelIi, Claudio Negro, Augusto Ninni, Giorgio Oldrini, Ardemia Oriani, Antonio Panzeri, Filippo Penati, Gianni Piatti, Ornella Piloni, Cesare Pinelli, Santino Pizzamiglio, Michele Prospero, Domenico Pulitanò, Nora Radice, Franco Rampi, Ignazio Ravasi, Marino Regini, Alfredo Reichlin, Giorgio Roilo, Onorio Rosati, Carmela Rozza, Giorgio Ruffolo, Enzo Rullani, Antonio Simondo, Fabio Sormanni, Carlo Stelluti, Fabio Tambone, Riccardo Terzi, Sergio Vaccà, Giordano Vimercati, Sandro Zaccarelli, Gianni Zampariolo, Maurizio Zanetti, Enrico Zanzottera, direzione e redazione de Gli argomenti umani e I quaderni



Numero progressivo: H44
Busta: 8
Estremi cronologici: 2002, settembre
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Argomenti umani”, 2002, pp. 7-15