2° CONGRESSO FILPT-CGIL REGIONE LOMBARDIA DEL 1988

Intervento di Riccardo Terzi – Segretario Regionale CGIL

Cari compagni, io vorrei in primo luogo fare qualche riflessione, generale, anche perché non penso di potere contribuire in modo particolare sui problemi della vostra categoria.

Credo che questo mio intervento possa soprattutto dare qualche riflessione.

Vorrei anzitutto pormi una questione circa le caratteristiche principali della fase in cui ci troviamo in questo momento.

Siamo in presenza di un processo di riorganizzazione guidato da gruppi capitalistici e, a causa della mondializzazione dell’economia, sicuramente non limitato alla dimensione nazionale.

Tutto ciò porta dei cambiamenti profondi nella distribuzione del potere, si muta in un processo di concentrazione del potere decisionale dei grandi gruppi e manifesta una capacità dei gruppi dominanti di prospettare una linea di dinamismo e di innovazione.

Non siamo in presenza di sole forze conservatrici, ma anche in presenza di una loro capacità di dinamismo. Queste forze conservatrici danno una risposta ai problemi dello sviluppo e mostrano una capacità dinamica, un’accelerazione dei processi di innovazione che, da questo lato, ci era parsa quantomeno insospettabile. E appunto su queste basi – quindi per questo carattere dei gruppi dominanti – questi gruppi, queste forze, hanno tenuto una certa egemonia, politica e culturale. L’ondata neoliberistica è passata lasciando delle conseguenze.

Io credo che la crisi del sindacato, e non solo del sindacato, ma dell’intera sinistra, ha queste radici, parte da questi processi. Quindi non si tratta solo di singole questioni e aspetti; credo che nella discussione su noi stessi, sul sindacato e le sue difficoltà e sulle prospettive, dobbiamo misurarci con questa complessità e con quella dei processi a venire.

Credo, cioè, che non ne usciamo con delle ricette puramente organizzative o degli appelli attivistici. Ne usciamo con un ripensamento politico e strategico; il che rende più impegnativa la nostra discussione. Questo processo che ho chiamato, semplificando, di riorganizzazione capitalistica, apre nuove contraddizioni.

Io non penso affatto che sia ormai chiusa una prospettiva e che le forze dominanti abbiano ormai, in via definitiva, il controllo della situazione e del futuro. Mi pare anzi di vedere una serie di elementi di contraddizione, un potenziale di conflitto sociale, e da questo punto di vista vale la pena fare qualche considerazione per vedere cosa sta maturando.

Nel corpo della società sono presenti profonde contraddizioni che possono avere ulteriore sviluppo. Ne cito alcune: vi è allargamento di tutta l’area del lavoro non garantito e c’è, inoltre, una contraddizione tra area protetta e non protetta nel mondo del lavoro; c’è il fatto che tutto il problema della disoccupazione sta assumendo dimensioni di massa, nel Mezzogiorno anzitutto; e c’è un allargamento della forbice tra Nord e Sud. Ma non soltanto ci sono i conflitti relativi a quella parte della società esclusa dallo sviluppo. Anche nei punti forti, si aprono nuove contraddizioni.

Un carattere più subalterno alla macchina del lavoro umano; una riduzione dei livelli di autonomia e responsabilità del lavoro; una crisi dei valori professionali; una marginalizzazione del lavoro rispetto allo sviluppo tecnico e l’adozione, nell’impresa, di modelli organizzativi che centralizzano il momento della decisione.

D’altra parte, altri elementi di conflitto, nella società, assumono peso rilevante. Ricordiamo la contraddizione tra sviluppo produttivo e ambiente, tra sviluppo e qualità della vita.

C’è – nel tentativo di imporre i valori dell’impresa – un progressivo degrado delle strutture pubbliche; l’attacco al ruolo dello Stato, sia per quanto riguarda gli aspetti dello stato sociale, sia per quanto riguarda la presenza pubblica nelle politiche industriali.

Io credo, allora, che per tutte queste ragioni ci sia un grande potenziale a cui possiamo fare riferimento. Questo potenziale appare oggi non del tutto espresso, è un potenziale disperso, frantumato. Ci sono spinte corporative, movimenti parziali. Facciamo fatica a unificare il fronte. A trovare delle risposte politiche, degli obiettivi politici generali che ci consentono di fronteggiare il confronto sui grandi temi dello sviluppo economico del Paese.

E, a fronte di questa nostra carenza vengono avanti in modo confuso tutti gli elementi di disgregazione corporativa.

Io sono d’accordo con i compagni che dicono: stiamo attenti; il prevalere di queste spinte ci chiama in causa. C’è l’insufficienza del sindacato a unificare il movimento indicando gli obiettivi di carattere generale; quindi, bisogna partire dalla società, dai conflitti sociali, dalle imprese e dalle concrete condizioni di lavoro nelle imprese; ripartire dalla concretezza delle condizioni di lavoro. Ma questo non basta: Insieme a questo c’è bisogno di alcuni interventi politici, e non credo che soltanto una volontà di rituffarci nel sociale, ristabilire i collegamenti con la realtà sociale ci faccia uscire di per sé dallo stallo. Dobbiamo avere un grande impegno in questo lavoro a stretto contatto con le concrete condizioni di lavoro e i bisogni dei lavoratori. Ma insieme a questo bisogna impostare alcuni obiettivi di carattere generale.

Per esempio: porre il problema di una democratizzazione dell’economia, o sulla concentrazione del potere. Come l’affrontiamo?

Bisogna rilanciare una politica di programmazione economica. Un controllo sociale, un controllo dal basso, una linea politica che ridefinisca obiettivi generali di contrattazione economica.

Così noi abbiamo bisogno di una grande articolazione del lavoro sindacale e, insieme, di porre con più forza alcune grandi vertenze politiche: Fisco, Mezzogiorno e altri temi unificanti.

Io credo che ci sia bisogno di questo intreccio tra il momento politico generale unificante e una capacità di articolazione dell’azione del sindacato nei singoli posti di lavoro.

Cercando di avere, di impostare una linea sindacale che si misura con questa capacità delle nostre controparti di fornire delle prospettive e indicare una certa ipotesi di sviluppo. Misurarsi con il cambiamento: non la linea difensiva, che alla fine può dirsi perdente.

Tutti questi problemi relativi al cambiamento sociale e al processo di modernizzazione in atto sono particolarmente presenti in una categoria come la vostra.

È questo un settore dove i cambiamenti sono molto rapidi: tutto il settore della comunicazione è investito dalla trasformazione. Su questo terreno si misura la capacità del Sindacato.

Qui si ridefinisce e rilancia il settore pubblico.

Qui c’è un pezzo grande che riguarda le partecipazioni statali.

Non credo che dobbiamo avere pregiudiziali rispetto ai processi di riorganizzazione. Si tratta di vedere bene in quale contesto ciò avviene, con quali prospettive. Ecco perché, come sindacato, abbiamo una riserva critica molto forte nei confronti della linea di Prodi.

C’è, poi, un chiarimento da fare, una verifica circa il grado di attuazione degli impegni per un rapporto nuovo con il sindacato alle prese con il protocollo IRI, in grande misura inattuato, rispetto ai frutti che ci attendevamo.

È mancata una visione comune circa l’idea complessiva.

Come favoriamo un processo che garantisca maggiore efficienza e funzionalità? Io non credo che obiettivi di efficienza e democrazia debbano essere antagonisti.

Se fosse così sarebbe tragico. Credo che noi dobbiamo porci obiettivi di maggiore funzionalità, dentro un processo in cui il sindacato penetra e i lavoratori determinano le scelte.

Fatte queste considerazioni, non posso non dire che abbiamo qualche elemento di ripresa.

Il quadro attuale è meno negativo di quanto non fosse un anno fa.

Abbiamo qualche inizio di ripresa del sindacato; una ripresa di iniziativa unitaria, capacità, grande, di mobilitazione su grandi temi.

Le varie manifestazioni nazionali di questi ultimi periodi ne sono una prova: Battaglie sul Fisco, sull’Occupazione, sul Mezzogiorno.

Abbiamo pure un quadro politico con elementi di novità e cambiamento. Anche se quest’ultima cosa è meno chiara. Meno netta.

C’è una evidente crisi del vecchio blocco di potere. Si apre un confronto nuovo, anche su problemi di riforma delle istituzioni.

Però questi elementi, parzialmente positivi, possono essere, se riusciamo ad avere un’accelerazione, quello che avevo chiamato il progetto di rifondazione del sindacato; e qui questa accelerazione non c’è: non c’è in generale, non dico solo qui, in questa Categoria. Tornare a chiarire su questo punto quali sono gli obiettivi di questo progetto di rifondazione è decisivo, altrimenti non possiamo dare continuità a questi elementi di ripresa e di iniziativa di quest’ultimo periodo.

Il Padronato sta abbandonando l’idea di uno scontro frontale col Sindacato, e vuole offrire a questo un certo patto: un “riconoscimento”, ma dentro un quadro di relazioni centralizzate. Cioè la liquidazione del Sindacato in fabbrica e, insieme a questo, delle sue possibilità di controllo sociale.

Noi dobbiamo rispondere a questo, chiarendo qual è il senso del progetto di rifondazione e cioè quello di un recupero di rappresentanza e di ruolo,

Dobbiamo sapere che si è determinato, per varie ragioni, un processo che ha provocato la messa in crisi del rapporto di fiducia con i lavoratori, e non è superato. L’esigenza della democrazia sindacale, di un nuovo tipo di rapporto, non è una questione democraticistica, ma politica. È l’esigenza di invertire una tendenza, ristabilire una capacità vera di comunicazione. E questo va al di là degli istituti formali, (es. il referendum). È necessario un nuovo stile.

E in questa direzione va vista la questione della contrattazione decentrata.

Contrattazione decentrata che vuol dire qualità della contrattazione.

Noi dobbiamo misurarci su questo.

Un certo sviluppo c’è stato – anche se senza un’alta qualità e senza riuscire ad alterare radicalmente la strategia padronale nel suo complesso. Su questo lo scontro è forte. Ma su questo parametro misuriamo i risultati della contrattazione.

Sul tema del rapporto tra il sindacato e i cittadini dobbiamo fronteggiare la campagna per regolamentazione del conflitto.

Qui ci serve un maggiore consenso, quindi dobbiamo affrontare in maniera corretta il problema dello sciopero e del diritto di sciopero.

Chiudo.

Mi pare che tutto questo comporti la necessità di un impegno a un livello più alto, per tutto il quadro sindacale; abbiamo bisogno di uno sforzo di ricerca e conoscenza, appunto per misurarci a livello più alto ed essere in grado di interferire sulle strategie dell’impresa, misurarci con i bisogni veri dei lavoratori. Il pericolo maggiore è un processo di burocratizzazione. Per cui la macchina lavora per forza di inerzia, senza produrre idee e progetti nuovi, senza un nuovo rapporto con la gente.

È questa la questione.

C’è bisogno tra di noi di una discussione che ci impegni seriamente, che tenga conto di ciò.

E così come stanno le cose, (io non posso dire molto della vostra struttura), sento che c’è un disagio, presente in alcuni interventi. In molti mi pare di trovare la convinzione che ci sia bisogno di uno scatto in avanti, e non un congresso rituale.

C’è una vicenda recente sul congresso comprensoriale milanese.

Io non ho capito: Qual è il senso politico di questo?

Non penso che debbano sempre essere d’accordo tutti i comunisti tra di loro e tutti i socialisti. Ci può essere una dialettica.

E questo voglio dire, non mi risulta chiaro. Non mi risultano chiare le cose, e perciò non voglio prendere posizioni né esercitare interferenze. Pongo, piuttosto, un interrogativo politico.

Io vedo il rischio di una discussione interna e di una lotta interna di cui non sono chiari gli obiettivi politici. Una lotta basata su conflitti burocratici, il rischio di una feudalizzazione sindacale in cui ciascuno vuole difendere la propria fetta. Questo sarebbe grave e dobbiamo impedirlo: ma l’impedirlo dipende da tutti.

Spero che le cose non siano a questo punto e credo, anzi, che ci siano energie e volontà di rinnovamento.

Facciamo in modo che con il congresso si sciolgano questi nodi e sia dia un contributo di chiarezza e di trasparenza alla nostra discussione.


Numero progressivo: A39
Busta: 1
Estremi cronologici: 1988, maggio-giugno
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Telepost”, maggio-giugno 1988, pp. 9-11