ASSEMBLEA REGIONALE DEI DELEGATI DELLA CGIL LOMBARDIA 25 SETTEMBRE 1992

Relazione di Riccardo Terzi

L’Assemblea regionale dei delegati, decisa come momento conclusivo della consultazione degli iscritti, si tiene in un momento drammatico, con l’esplosione di una crisi economica e monetaria devastante, con le misure di emergenza adottate dal governo che stravolgono aspetti essenziali dello stato sociale e scaricano sul lavoro dipendente il peso di nuove iniquità.

Tutta la situazione politica e sociale del paese è sottoposta ad una fortissima tensione, e vengono ormai al dunque, in modo stringente, tutti i nodi di questa difficilissima fase di crisi del vecchio ordine e di transizione verso nuovi equilibri tutti ancora da costruire.

Sono dunque eccezionalmente grandi ed impegnative le nostre responsabilità, ed esse vanno assunte con il massimo di chiarezza, di trasparenza, in un rapporto democratico reale con i lavoratori.

Nei giorni scorsi ha preso avvio in tutto il paese uno straordinario movimento di lotta, le cui dimensioni e la cui ampiezza sono il segno non di una generica protesta ma di una rottura profonda che è avvenuta nell’equilibrio sociale del paese.

In tutta la Lombardia l’adesione allo sciopero e la partecipazione alle manifestazioni sindacali sono state massicce e caratterizzate da grande combattività e determinazione. È un movimento che vuole ottenere risultati concreti, e chiede al sindacato e ai suoi gruppi dirigenti una linea di coerenza per dare tenuta e continuità alla lotta.

È questo il dato politico essenziale, e gli episodi gravi di provocazione non possono oscurare questo dato di fondo.

È del tutto inaccettabile la tesi strumentale e propagandistica di chi, dando una copertura politica alla provocazione violenta, parla di rivolta di massa contro il sindacato unitario.

È una manovra irresponsabile e gravissima, che punta allo sfascio, alla rottura dell’unità dei lavoratori; e che può innescare una spirale di esasperazione e di violenza.

Gli atti di violenza debbono essere condannati e isolati, senza giustificazionismi ipocriti.

Vanno giudicati per quello che sono; teppismo organizzato di gruppi minoritari che non rappresentano il mondo del lavoro.

I fatti più gravi sono accaduti a Firenze, e noi esprimiamo qui la nostra piena solidarietà al compagno Trentin, vittima di un’aggressione premeditata, e il nostro impegno a difendere da questa campagna di provocazione l’onore della CGIL e dei suoi dirigenti.

Il movimento sindacale ha sicuramente molti problemi da affrontare e molti difetti da correggere; c’è una crisi della rappresentanza che coinvolge anche il sindacato, e ci sono elementi diffusi di sfiducia e di critica con i quali occorre fare i conti a viso aperto.

Alla discussione, anche la più aspra, non intendiamo sottrarci. Ma altra cosa è il dileggio, l’insulto e la violenza. C’è un confine oltre il quale non c’è più discussione politica possibile, e ogni condiscendenza o comprensione diviene inaccettabile perché sono in gioco le ragioni fondative del sindacato, i suoi valori di fondo.

Arriviamo all’appuntamento di oggi, a questa importante assemblea regionale dei delegati, con la forza e con le grandi potenzialità di un movimento di grande ampiezza, al quale dobbiamo saper dare uno sbocco, scegliendo con chiarezza gli obiettivi prioritari, dandoci una piattaforma che non sia velleitaria, ma capace di sorreggere con efficacia lo scontro sociale che è in atto.

La capacità di scelta e di selezione è una condizione indispensabile, ed è una prova di responsabilità dei, gruppi dirigenti. Perché è sempre facile sommare tutte le rivendicazioni possibili, per non scontentare nessuno, ma una tale operazione non è “di sinistra” ma è la fuga dalle responsabilità di direzione: scegliere tutto equivale a non scegliere nulla, e allora saranno altri ad imporci le loro selezioni.

Stiamo attenti, quindi, a non farci trascinare su un terreno che è solo propagandistico. Non si correggono così i limiti egli errori dell’azione sindacale.

Naturalmente è necessario che le scelte siano verificate democraticamente, anche attraverso un conflitto politico chiaro ed esplicito tra posizioni diverse. A questo confronto democratico il gruppo dirigente non si può sottrarre. La democrazia non è una perdita di tempo, o una concessione all’assemblearismo e al populismo.

La democrazia è difficile, ma non c’è altra via, altrimenti si afferma nella pratica uno stile di direzione burocratico e un atteggiamento di irresponsabilità dei gruppi dirigenti. E processi involutivi di questo tipo sono presenti nella nostra organizzazione, e vanno combattuti, vanno con più forza contrastati, perché offuscano gravemente il ruolo e il prestigio della CGIL.

Per queste ragioni, è stata di grande importanza la scelta di aprire una consultazione democratica di tutti gli iscritti.

È .una scelta sulla quale la CGIL della Lombardia ha scommesso con grande impegno, intendendo la consultazione come un confronto del tutto aperto e libero, fuori da qualsiasi schema di corrente: non la ripetizione degli schieramenti congressuali, non la ratifica formale di accordi e di mediazioni preventive, ma una discussione vera, dove l’elemento essenziale è il ripristino di un circuito democratico con i lavoratori, e l’affermazione di uno stile di lavoro e di direzione per il quale non c’è solo la trasmissione di direttive dall’alto verso il basso, ma c’è sempre, ed è essenziale, la verifica democratica del consenso.

Su questa impostazione ci siamo tutti impegnati, senza distinzione tra maggioranza e minoranza, e io ‘considero che questo sia un segnale molto positivo che ci può aiutare a liberare la nostra vita interna da logiche precostituite, di schieramento, le quali hanno un effetto letale sulla democrazia dell’organizzazione perché ciascuno finisce per essere costretto a recitare un copione già scritto da altri.

Se la dialettica interna è solo sindacale, di merito, con piena libertà e autonomia di giudizio per ciascuno di noi, e con la garanzia che le regole democratiche siano effettivamente funzionanti, è la CGIL nel suo insieme che si rafforza, è il progetto del Congresso di un sindacato di programma, dotato di una propria autonomia progettuale, che riesce finalmente a prendere corpo.

Trentin ha denunciato, al direttivo nazionale, il permanere di un “male oscuro”, ovvero i limiti, i condizionamenti che rendono fragile la nostra autonomia, e che rischiano di fare del sindacato il terreno di caccia sul quale forze esterne giocano la loro battaglia per l’egemonia.

È un discorso che riguarda tutti noi, senza esclusioni, ed è un discorso di grande attualità, perché rischia di incepparsi il processo di autonomia che è stato deciso dal Congresso e la pressione su di noi, da varie parti, è assai forte, per ricostruire vecchi collateralismi.

Anche in questo caso, la soluzione è l’applicazione rigorosa delle regole democratiche, perché nel rapporto con i lavoratori saltano le logiche partitiche, si sgonfiano le cordate, le correnti e le sotto-correnti, e tutto ciò che appassiona in modo talora ossessivo e morboso i gruppi dirigenti e gli apparati torna ad essere, come è giusto che sia, un problema del tutto secondario.

La consultazione è stata, per tutto il gruppo dirigente, un passaggio difficile, perché abbiamo toccato con mano l’esistenza corposa di una posizione di diffidenza e di una sensazione diffusa tra i lavoratori di essere lasciati a sé stessi, di non contare, di non pesare nelle decisioni, di essere usati e manovrati per obiettivi che prescindono dalle loro reali condizioni.

È un tema di riflessione autocritica che dobbiamo affrontare con grande impegno, non per correre dietro a qualsiasi spinta che viene dal basso, non per rincorrere tutti gli umori, ma per porre al centro del dibattito nella CGIL e sulla CGIL il problema della democrazia sindacale di cui si è parlato molto ma senza avviare nella pratica quel lavoro faticoso e necessario di ricostruzione dei canali di comunicazione con la massa dei nostri iscritti. Anche la democrazia ha finito per essere solo un messaggio simbolico nella lotta interna al gruppo dirigente, e non una pratica reale.

Bene, con la consultazione possiamo avviare un’inversione di tendenza.

È difficile fare una sintesi politica di quanto è emerso dalla consultazione, perché non c’era un solo quesito a cui rispondere sì o no, non era un referendum, ma una discussione assai più complessa, e i tempi stretti che abbiamo scelto di darci – giustamente, io credo, perché i tempi della decisione sono quanto mai ravvicinati – non ci consentono di fare un esame approfondito, dettagliato dei verbali e dei documenti delle assemblee e degli attivi territoriali.

Ma questa assemblea è sufficientemente rappresentativa per prendere delle decisioni impegnative.

La segreteria regionale ha predisposto una bozza di documento, che sarà immediatamente distribuita, in modo che la nostra discussione non sia dispersiva ma si concentri sulle scelte da fare, sulle valutazioni politiche e sulle proposte di iniziativa.

Essendo già disponibile un documento che affronta tutte le principali questioni sulle quali dobbiamo deliberare, io rinvio a questo testo, e non ho pertanto la necessità di illustrare in modo disteso le nostre valutazioni sui singoli punti.

Questa relazione vuole solo chiarire alcune premesse e alcune considerazioni di quadro generale, e spero di poterlo fare con sufficiente sobrietà.

Ho già detto delle difficoltà, delle tensioni, del clima che ha segnato la consultazione. Ciò ha origine non solo nell’accordo del 31 luglio, ma ha motivazioni più lontane e più complessive, anche se certamente quell’accordo è stato vissuto dai nostri quadri come una sconfitta e come un cedimento e ha quindi creato un clima generale di sfiducia. Si è aperta una ferita che non sarà facile rimarginare.

C’è talora della esasperazione non giustificata. Ma il giudizio critico e negativo su quell’accordo credo sia pienamente motivato, sia per gli aspetti di metodo, per la mancanza di una qualsiasi verifica democratica, sia soprattutto per gli aspetti di merito non accettabili, a partire dal blocco della contrattazione articolata nei suoi riflessi salariali, il che significa che la fase della ristrutturazione dell’apparato produttivo e dei servizi sarà gestita in modo unilaterale, e che tutti i discorsi sulla· partecipazione, sulla valorizzazione del fattore umano come elemento decisivo di una strategia che punta alla qualità e all’efficienza, restano lettera morta. È questo che ha determinato nei nostri quadri una reazione così negativa, perché è il loro potere contrattuale, il loro ruolo, la loro capacità di proposta, che vengono colpiti.

Su questo aspetto del protocollo una correzione sostanziale si rende necessaria, e già la CGIL ha messo in moto una propria autonoma iniziativa con la lettera indirizzata al Presidente del Consiglio.

Deve essere chiaro, ed esplicito per tutti, che questo blocco della contrattazione lo consideriamo impraticabile e illegittimo, e che la CGIL darà tutto il proprio sostegno all’azione delle strutture di fabbrica per la presentazione di piattaforme aziendali e per l’avvio di negoziati con le controparti.

In questa medesima direzione vanno pronunciamenti unitari di molte strutture, tra le quali, in particolare, ha· grande importanza la posizione assunta dalle segreterie nazionali di FIM, FIOM e UILM.

La contrattazione, d’altra parte, dovrà seguire precisi criteri selettivi e di qualità, e dovrà essere coerente con gli obiettivi di lotta all’inflazione, il che significa selezionare gli obiettivi rivendicativi e legare la politica salariale a criteri di produttività e di efficienza.

Ma la discussione sul protocollo del 31 luglio deve oggi essere non archiviata, ma ricollocata nella nuova situazione.

Tutto lo scenario è mutato.

Le premesse politiche su cui quell’accordo si reggeva sono completamente saltate: la stabilità del cambio, la riduzione dell’inflazione, la difesa del salario reale, la concertazione della politica dei redditi.

Davvero non resta in piedi più nulla, ed è il governo ad essere inadempiente rispetto agli impegni che si era assunto.

Quel protocollo è del tutto svuotato, e tenere ferma la nostra discussione a quel momento, a quella scelta certamente travagliata e discutibile, ha oggi poco senso perché nel frattempo tutta la situazione è mutata.

Dobbiamo allora dire che con il governo occorre un nuovo negoziato, e che quella che si è chiamata “seconda fase” della trattativa sul costo del lavoro e sulla contrattazione, non si può aprire se non in presenza di un nuovo quadro di riferimento, che ricostituisca le condizioni minime dell’intesa sugli obiettivi e sugli strumenti della politica economica.

Andare avanti alla cieca, e fingere un’intesa che non c’è più, che è stata travolta dagli avvenimenti e dalle scelte del governo, ci porterebbe in un vicolo cieco e in una posizione di impotenza.

II punto oggi è la critica della manovra decisa dal governo, e l’indicazione di una proposta alternativa.

Se non otteniamo risultati su questo che è il terreno decisivo, tutti i nostri obiettivi e tutte le nostre piattaforme sono compromesse.

La critica è efficace se c’è la comprensione della realtà, se prendiamo atto della crisi drammatica che ha investito la nostra situazione economica e monetaria.

Per questo lo sforzo che dobbiamo fare è quello di indicare una linea propositiva, di non dire solo una somma di no, ma di svolgere un ruolo di responsabilità nazionale. Altrimenti saremo sicuramente sconfitti.

Non c’è alternativa ad una politica di integrazione europea, e non c’è alternativa ad una politica di risanamento e di riequilibrio che affronti i nodi strutturali della nostra economia a partire da quello del debito pubblico.

Ma ci sono – in questo quadro – diverse possibili alternative sociali, e di questo ora si tratta, della qualità sociale degli interventi, del loro segno di classe, del loro carattere di equità, dei loro effetti sugli equilibri sociali del Paese.

Non accettiamo il ricatto dell’emergenza, con il quale si vorrebbe piegare e fiaccare il ruolo autonomo del sindacato.

L’emergenza non annulla la politica, e lascia aperte diverse alternative. Il sindacato, quindi, deve affrontare i problemi di questa fase di crisi con una propria autonomia, con un proprio progetto, e deve difendere la sua funzione di rappresentanza sociale e il suo ruolo contrattuale.

Nel giudizio sulla manovra economica decisa dal Governo, si pone in primo luogo un problema di democrazia e di consenso.

Non si creano le condizioni di un effettivo risanamento con atti d’autorità, con i decreti, e con la richiesta di poteri straordinari, ma occorre una base larga di consenso, politico e sociale.

Il governo non ha neppure tentato di verificare la possibilità di un accordo e di una concertazione. E alle proposte del sindacato ha risposto in modo sprezzante.

Occorre quindi conquistare uno spazio negoziale che oggi ci è negato.

Nel merito, le questioni da affrontare, le misure da correggere sono numerose, perché è l’insieme della manovra che è inaccettabile perché scarica sul lavoro dipendente gli oneri maggiori del risanamento, accentuando così squilibri e iniquità.

Sottolineo solo due aspetti che sono di principio.

Il primo è l’equità del sistema fiscale, in assenza della quale nessuna misura è socialmente tollerabile, e si finisce così per creare una condizione generale nella quale ciascuno difende in modo chiuso e corporativo i propri interessi.

Il sistema fiscale va radicalmente rinnovato, affrontando finalmente in modo deciso il nodo dell’evasione, e mettendo su un piano di uguaglianza tutte le forme di reddito, del lavoro dipendente e di quello autonomo, del lavoro e delle rendite finanziarie.

Si possono chiedere sacrifici ai lavoratori solo se viene ristabilito questo quadro di equità.

In secondo luogo, ci sono aspetti sostanziali di difesa dello stato sociale e dei suoi requisiti di universalità che vengono completamente stravolti dalle proposte governative, in particolare nel settore della sanità, dove se queste proposte dovessero attuarsi, non c è più il diritto alla salute, ma c’è solo un’assistenza per redditi bassi (e per gli evasori) in un quadro di liberalizzazione e di privatizzazione.

Per questo, non possono bastare correttivi parziali, aggiustamenti, ma è il senso complessivo della manovra che va modificato, e per questo abbiamo bisogno di momenti di generalizzazione della mobilitazione.

Nel documento trattiamo in modo più preciso dei vari problemi: il fisco, la sanità, le pensioni, il pubblico impiego, e posso quindi fermarmi, nella relazione, a queste considerazioni generali.

La prova a cui siamo chiamati è assai aspra e impegnativa. Non la possiamo affrontare con successo se non c’è un nuovo clima nella CGIL, una unità di intenti sugli obiettivi di fondo, uno sforzo unitario che impegni tutto il gruppo dirigente e tutti i nostri quadri.

Qualche risultato l’abbiamo ottenuto in questa direzione: ora occorre un grande scatto di volontà e di responsabilità da parte di tutti.

E, nel contempo, non avremo risultati se non c’è un grande impegno dell’unità tra le tre Confederazioni, se non lavoriamo con grande tenacia e pazienza e rispetto per le diverse posizioni, al fine di consolidare l’azione unitaria del sindacato.

È un’illusione e una velleità pensare che la CGIL possa essere autosufficiente, e ogni errore di intolleranza o di settarismo lo pagheremo a caro prezzo. Anche questa Assemblea non è solo un momento interno, ma è la definizione di un percorso che dovremo verificare unitariamente, e questo metodo di ricerca unitaria ha già dato, qui in Lombardia, risultati importanti e apprezzabili, sia sul terreno dell’elaborazione sia su quello dell’iniziativa e della mobilitazione. E ponendo così con forza il problema della democrazia e del rapporto coi lavoratori, dovremo concordare con CISL e UIL regole chiare di verifica democratica del mandato prima di giungere a qualsiasi conclusione, e dare inoltre attuazione all’accordo sulle rappresentanze aziendali’

Tutto, ciò è possibile se la nostra volontà e disponibilità unitaria è davvero convinta e determinata. Ce la possiamo fare compagni.

Le decisioni che qui prenderemo saranno per il gruppo dirigente della Lombardia un vincolo e un impegno, e saranno un contributo importante anche nel dibattito nazionale e nella preparazione dell’Assemblea nazionale dei delegati.

Cerchiamo di usare bene questa occasione, nell’interesse della CGIL e dei lavoratori, per un sindacato più unito, più autonomo e più forte.



Numero progressivo: A11
Busta: 1
Estremi cronologici: 1992, 25 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nota quindicinale della CGIL Lombardia”, n. 12, 9 ottobre 1992, pp. 4-8