ATTI DEL CONVEGNO DELL’ELISEO DEI GIOVANI COMUNISTI SOCIALISTI E SOCIALISTI DI UNITÀ PROLETARIA

Nel ventennale della Resistenza le federazioni giovanili discutono dell’unità socialista - Roma 28-29-30 giugno 1965

Relazioni di Dino Fioriello, Achille Occhetto, Giuseppe Pupillo
Interventi di Gabriele Moretti, Gianmario Cazzaniga, Riccardo Terzi, Marco Caneparo, Roberto Barzanti, Fabrizio Cicchitto, Claudio Petruccioli, Gastone Sclavi, Pio Marconi, Clemente Ciocchetti, Roberto Gagliardi, Alberto Scandone, Michele Figurelli
Conclusioni di Achille Occhetto, Giuseppe Pupillo, Claudio Signorile

Intervento di Riccardo Terzi (FGCI)

La discussione che abbiamo avviato implica una serie di difficoltà, in quanto il tema dell’unificazione della sinistra si presenta secondo piani e prospettive diverse.

In primo luogo, è possibile considerare la proposta di unificazione, avanzata dal partito comunista, come una iniziativa politica, che costringe le diverse componenti della sinistra italiana ad un confronto ravvicinato delle proprie prospettive, a breve e lunga scadenza. Ciò non è senza peso, in una situazione di immobilismo e di dibattito cristallizzato quale è quella attuale. Per questa via, giungiamo ad una giustificazione tattica dell’iniziativa per l’unificazione, nel senso che questa iniziativa ha già in se stessa una ragione d’essere. Queste considerazioni vengono avvalorate dal fatto che è in via di maturazione il progetto di unificazione socialdemocratica; e, posta di fronte a questa eventualità, la sinistra non può rifiutarsi ad una risposta immediata, anche se parziale e insufficiente. Si tratta cioè di non eludere il problema dell’unità politica, che per vie diverse e secondo indirizzi divergenti si viene ponendo, e di spostare, se possibile, a sinistra la ricerca di una linea unitaria valida per tutta la sinistra italiana.

Questa prima motivazione, di ordine tattico, non deve rimanere estranea agli obiettivi del presente convegno, anche se, per la sua indefinitezza, esige di essere superata da un discorso più rigoroso e qualificato nei contenuti. L’andamento della discussione rivela la presenza di difficoltà serie nella costruzione di questo discorso più ampio. Infatti, da un lato, la proposta unitaria resta generica e volontaristica, testimonianza di una esigenza e di una aspettativa, e non ancora atto politico; d’altro lato, se si vuole ancorare la prospettiva dell’unità a precisi contenuti, non si sfugge al rischio di una ricostruzione astratta della storia del movimento operaio, fondata su categorie in larga misura arbitrarie (stalinismo, frontismo, ecc.). Per cui, in sostanza, si rimane al livello della motivazione tattica: il dibattito sull’unificazione è un’occasione di discussione, che consente alle forze di sinistra un ripensamento generale e un tentativo di comprensione del proprio passato.

Ma un interrogativo resta aperto: in vista di che cosa vogliamo discutere? qual è l’ipotesi politica sulla quale misuriamo i nostri orientamenti? in breve, qual è il punto di riferimento oggettivo dell’attuale dibattito?

E allora, se questo è il vero problema irrisolto, va in parte modificata l’angolatura del nostro discorso, va assunta come base di riflessione e di ricerca l’analisi degli attuali schieramenti di classe.

La proposta di unificazione può assumere un carattere non solo tattico o interlocutorio, alla condizione che sia dedotta da una definizione del quadro obiettivo in cui si colloca oggi l’azione della sinistra, da una individuazione delle, reali forze antagoniste, alla condizione quindi, che si accompagni ad una prospettiva ravvicinata di lotta politica. Senza di ciò, il discorso resta indefinito e privo di sbocchi.

C’è una prima possibile motivazione politica della proposta di unificazione, che va respinta perché fondata su un travisamento della situazione presente.

L’errore di questa impostazione sta nel ritenere che si sia venuto creando un vuoto politico, in seguito alla crisi del centro-sinistra, e che quindi l’unificazione della sinistra può avere la forza di riempire questo vuoto, di presentarsi subito come alternativa vincente.

In realtà, se è riscontrabile una debolezza dell’equilibrio governativo, se esiste una crisi della componente riformista, se la situazione rimane dunque aperta, tuttavia la tendenza di fondo del centro-sinistra è andata avanti, è emerso più chiaramente lo sfondo conservatore di questa politica, e l’equilibrio complessivo si è rassodato ed è oggi diretto, più saldamente che mai, dal blocco delle forze borghesi.

Non c’è un vuoto da riempire, con un atto di volontà, ma c’è un arco di forze da battere.

Questo deve essere il nostro punto di riferimento obiettivo. La polemica e la discussione sul passato del movimento operaio, che già per se stessa difficilmente evita l’intellettualismo delle facili generalizzazioni e finisce per offuscare la sostanziale continuità del movimento storico, rischia di essere un alibi per non affrontare questo preciso nodo politico-sociale che ci viene offerto dall’attuale fase di sviluppo del capitalismo italiano. E i dissensi reali, quali quelli emersi dall’intervento di Moretti, si chiariscono e si spiegano solo alla luce di questa realtà.

Quale deve essere dunque il nostro atteggiamento? Vogliamo forse sollevare il polverone dell’antistalinismo e giungere così ad una unità solo negativa e fallita in partenza? L’unità si deve qualificare alla luce dell’attuale scontro di classe; l’unità si fa contro il centro-sinistra, come schieramento che divide il movimento operaio, e come politica che riduce il ruolo della classe operaia ad una semplice contestazione interna, funzionale alla conservazione del sistema, senza che vengano rimosse o intaccate le basi della società capitalistica.

Ora, questo centro-sinistra non è in disfacimento, ma è andato avanti, ed esige quindi che il movimento operaio si appresti ad un duro scontro di classe.

Questa coscienza del fronte di lotta è la prima condizione da richiedere, è il limite invalicabile oltre il quale stanno non forze vive del movimento operaio, ma i nuovi burocrati del capitalismo, preoccupati solo di gestire le forme di potere esistenti.

In questo quadro va posto e risolto il problema della socialdemocrazia. Indubbiamente va respinto ogni atteggiamento settario, va superata la concezione moralistica del “tradimento”, ma va colto ad un tempo il ruolo obiettivo che la socialdemocrazia ricopre, ruolo organico allo sviluppo capitalistico. Ogni criterio sociologico di interpretazione del fenomeno della socialdemocrazia è destinato a fallire, perché la tradizione operaia da cui muove non solo non basta a qualificarlo (sarebbe sbagliato parlare semplicemente di ala destra del movimento operaio), ma è invece un elemento che, anziché correggere, si lega organicamente all’utilizzazione conservatrice della politica socialdemocratica. Caduto il vecchio blocco interclassista, la classe dominante ha bisogno di un rapporto nuovo con la classe operaia, ed è appunto la socialdemocrazia a fornirglielo, lavorando nel senso di una integrazione, se non ideologica almeno pratica, agli obiettivi finali del capitalismo.

Partendo da questo giudizio, va esclusa una linea di tipo volontaristico, che crede di risolvere nodi storici le cui radici vanno ricercate in profondità, con un appello unitario, e va respinta altresì, come altrettanto illusoria, una linea che creda sufficiente contrapporre la spontaneità della base alla corruzione dei vertici, perché in realtà una politica non nasce mai da tendenze soggettive, ma da condizioni più generali.

È allora possibile soltanto la sfiducia di chi vede come irreversibile la tendenza all’integrazione? Al contrario, dobbiamo essere coscienti della possibilità di smascherare ogni tentativo di cattura ideologica della classe operaia, possibilità che nasce dalla realtà delle contraddizioni generate dallo sviluppo capitalistico.

Si tratta allora di individuare le condizioni obiettive da cui muove la tendenza socialdemocratica, e di trovare gli strumenti per rimuovere queste condizioni; si tratta non già di subire, ma di battere la prospettiva socialdemocratica. Su questo obiettivo va costruita la linea strategica del movimento operaio, e vanno misurate le possibilità di iniziativa unitaria.

Se è vero che la sinistra italiana si trova di fronte a questo nodo irrisolto, e che da ciò discendono le strozzature a cui è soggetta la lotta operaia, allora è necessario uno sviluppo della strategia, una crescita dell’elaborazione, con la consapevolezza autocritica dei limiti in cui oggi ci troviamo.

In questo quadro generale, come possiamo collocare il problema dell’unificazione?

Se consideriamo questa prospettiva già matura nelle cose, allora dobbiamo assumere tutte le conseguenze, assai gravi, di questo discorso. Se intatti non interviene nessun dato qualitativamente nuovo, se l’elaborazione del movimento operaio rimane al punto attuale, allora inevitabilmente il processo unitario avviene su basi riformiste, perché è appunto la presenza in vasti settori di una ipotesi riformista che caratterizza la situazione attuale.

Si tratta invece di introdurre una nuova dinamica di sviluppo, di rovesciare le tendenze all’integrazione, di ricostruire una strategia di lotta sulla misura della realtà capitalistica più avanzata, e solo a questo punto si può porre, con chiarezza, la questione dell’unità organica.

Unità in nome di che cosa?

C’è una tentazione, a cui certe forze socialiste sono particolarmente sensibili: la tentazione di rinnovare, con l’unificazione, la tradizione socialista, di intendere quindi l’unità come la sconfessione storica delle divisioni e delle scissioni che hanno tra vagliato il movimento operaio. In questo c’è una proposta di egemonia della componente socialista, che si presenta come l’unica autentica forza di classe, libera dall’ipoteca stalinista e aderente ai caratteri di una via nazionale al socialismo.

Ma in questo discorso c’è un’ambiguità di fondo, in quanto proprio in quella tradizione socialista stanno i germi di tutte le contraddizioni e rotture che oggi vogliamo superare, per cui ne deriverebbe un’unità che lascia irrisolti i problemi e sfumate le prospettive.

L’unità non va fondata su questo senso confuso di una tradizione da salvare, ma piuttosto su una linea di lotta che si ponga all’altezza dei problemi più avanzati, della realtà nuova che si è maturata.

In questa direzione ci sorregge la convinzione che, in base al metodo di analisi marxista, è possibile approdare ad una visione univoca e scientifica della strategia.

L’unità di classe deve essere il portato di questa analisi scientifica, e a questo scopo vanno rimosse tutte le resistenze stratificate, va abbandonato l’orgoglio di partito, per poter cogliere i termini reali del dissenso.

Questa esigenza della scientificità (da cui discende anche una certa nozione della democrazia di partito, come inseparabile dalla disciplina intellettuale) deve rimanere ferma come caratteristica che qualifica il partito rivoluzionario; se manca questo riferirsi continuo dell’azione politica al rigore dell’analisi scientifica, allora il partito scade a semplice corporazione di interessi, diviene un’espressione della classe che non supera i limiti spontanei della classe.

Se dunque sono necessari un rilancio creativo della ricerca e un’azione intellettuale che liberi il campo dalle resistenze settarie, allora il terreno per l’unificazione va costruito, preparato, e a questo proposito è necessario tenere presenti alcune discriminanti generali.

Già abbiamo visto, nella volontà di lotta contro il blocco sociale che si esprime nel centro-sinistra, la prima fondamentale linea di demarcazione. Va aggiunto che questa lotta presenta dei compiti immediati, e sarebbe pertanto un errore grave sacrificare alla prospettiva di unità organica tutte le possibilità di unità d’azione su alcuni fronti della lotta.

Vi è la tendenza ad una sottovalutazione della battaglia immediata, l’illusione grave che tutto debba essere subordinato ad una astratta esigenza di strategia, e non si vede come i ritardi del movimento operaio traggono spesso origine da una mancata saldatura della tattica alla strategia.

Di qui anche una certa astrattezza del dibattito in corso, che troppo scarsamente riesce a contribuire alla definizione dei compiti di lotta immediati e alla comprensione della situazione presente.

In secondo luogo, va riaffermata la necessità storica della rottura rivoluzionaria, e il partito unificato deve essere il partito capace di far fronte a questa prospettiva. La rottura rivoluzionaria che prospettiamo trae alimento da una crescita politica del movimento operaio, si realizza quindi non in modo indiscriminato, come una semplice carica negativa, ma intorno ad obiettivi qualificati, che danno il senso di una prospettiva generale e pongono all’ordine del giorno la necessità della trasformazione socialista.

Ciò richiede un rafforzamento della direzione politica, una coscienza precisa del carattere non spontaneo del processo rivoluzionario, e per questo il tema del partito si presenta come un nodo essenziale della strategia.

Queste indicazioni possono sembrare un ritorno ad una visione schematica e strumentale della lotta di classe. Si tratta forse solo di programmare le lotte? No, nel corso della lotta va raccolto tutto il potenziale democratico che la stessa società borghese ha messo in moto, e va orientato in una direzione socialista.

Va data quindi una risposta ai problemi della democrazia socialista, e su questa sostanza liberatrice della nostra prospettiva va perseguito e realizzato l’incontro con le altre forze.

Su questo rapporto originale fra democrazia e socialismo poggia anche l’esigenza di una nostra autonomia in campo internazionale.

Senza nessuna presunzione, ma ad un tempo con la coscienza della nostra funzione, dobbiamo rivolgerci ai paesi socialisti per richiedere non già una reintroduzione spuria delle forme borghesi di democrazia, ma uno sviluppo della sostanza originale della rivoluzione socialista.

Fissate queste discriminanti generali, il discorso deve procedere e arricchirsi, in vista di uno sbocco unitario che non renda più gravi le incertezze della sinistra, ma consenta invece un’azione più sicura e una radicalizzazione della lotta.


Numero progressivo: F14
Busta: 6
Estremi cronologici: 1965, giugno
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “La città futura” n. 14, Quaderno 1, 15 ottobre 1965, pp. 51-53