C’È UN’IDEA GIUSTA PER UNA NUOVA SINISTRA: È IL FEDERALISMO

di Riccardo Terzi

Il primo risultato visibile del nuovo quadro politico, instauratosi con le elezioni del 27-28 marzo, è l’uso massiccio dell’enfasi retorica e della declamazione. Travolta la vecchia partitocrazia consociativa, saremmo entrati a vele spiegate nella seconda Repubblica, e i nuovi governanti si pavoneggiano come fondatori di un nuovo Stato. Le cose stanno assai diversamente, perché si può parlare legittimamente di seconda Repubblica solo nel momento in cui cambia la forma dell’ordinamento statale e si costruisce un nuovo edificio istituzionale. Nulla di tutto ciò è finora avvenuto, e siamo quindi ancora nel mezzo di una fase di transizione fluida ed incerta. Si è cambiata solo la legge elettorale, passando dal sistema proporzionale ad un sistema maggioritario bastardo. È tutto qui il cambiamento di cui il paese aveva bisogno?

I nuovi meccanismi elettorali hanno accelerato il processo di scomposizione del sistema dei partiti, hanno spinto verso nuove aggregazioni, e hanno quindi favorito il ricambio del ceto politico. Si tratta di novità rilevanti, e tutta la situazione politica presenta elementi nuovi di dinamismo e di accelerazione di tutti i processi di cambiamento.

Ma non si sono ancora per nulla affrontati i problemi di riforma dell’ordinamento statale, non si è ancora dato nessuno sbocco al movimento di opinione che, attraverso i referendum, poneva un problema sostanziale di cambiamento non solo del ceto politico, ma delle forme della politica. Vedo quindi il rischio di una grande operazione di trasformismo, per cui tutto cambia nell’apparenza, ma nella realtà continuano i vecchi meccanismi del potere.

Le dichiarazioni programmatiche di Berlusconi, e il modo stesso in cui il governo si è formato, confermano questo sospetto. Nel programma non c’è nessuna ipotesi di riforma, nessuna idea di riorganizzazione del sistema politico e istituzionale. È un programma vuoto, che sostituisce all’indicazione puntuale delle priorità e degli obiettivi l’appello retorico alla fiducia: fidatevi di me, delle mie capacità imprenditoriali, fidatevi di me perché sono un uomo di successo.

Con ciò si realizza una significativa regressione della cultura politica, perché la democrazia nasce dalla diffidenza, nasce nel momento in cui si mette in dubbio la saggezza del principe, e si pretendono regole, controlli, garanzie.

Il tema delle garanzie viene completamente eluso: abbiamo vinto, e ci prendiamo tutto perché questa è la logica del nuovo sistema maggioritario. Siamo quindi di fronte ad una operazione di mera occupazione del potere, ad una nuova oligarchia politica che non promette di essere meglio di quelle precedenti.

Attraverso Forza Italia si compie questo passaggio, con la formazione di un nuovo notabilato, e con il riciclaggio di vecchi arnesi del precedente sistema politico. Se non fosse così, che ci starebbero a fare nel governo Ferrara, o Fiori, o Mastella, che erano i portavoce della vecchia oligarchia?

 

I problemi istituzionali sono quindi tutt’altro che avviati a soluzione, e si presenta anzi il rischio di una pratica di governo che considera come ingombranti le regole e i vincoli che sono propri di uno Stato di diritto. Il tema della seconda Repubblica e ancora tutto aperto, e va costruito un nuovo edificio di regole, scegliendo come fondamentale criterio ispiratore l’articolazione dei poteri, l’autonomia dei diversi livelli di governo, la diffusione della democrazia come autogoverno e come partecipazione al processo decisionale dei diversi soggetti sociali.

La destra semplifica i meccanismi del potere e li concentra, e con ciò tende al regime. La risposta è in un sistema istituzionale che rompe la centralizzazione e moltiplica i centri di direzione e di responsabilità politica. La risposta è nella costruzione di un ordinamento di tipo federalista.

Il federalismo può essere la chiave per una vera e profonda riforma dello Stato, perché costringe a riesaminare nel suo complesso il funzionamento della macchina amministrativa e burocratica, e permette così un’opera vasta di rinnovamento di tutte le istituzioni pubbliche, facendole uscire dall’attuale stato di sclerosi e di inefficienza.

Il processo da realizzare, anche attraverso le necessarie modifiche costituzionali, è una nuova dislocazione dei poteri, nel senso che Regioni ed Enti locali non sono più i terminali dello Stato centrale, ma sono depositari di poteri primari, e nell’ambito delle funzioni loro assegnate dispongono di una piena sovranità, di proprie autonome risorse, del cui uso devono rispondere davanti ai cittadini.

È questa la via per formare una nuova classe dirigente locale, attraverso una pratica concreta di autogoverno, e ciò è decisivo anche per le regioni del Mezzogiorno, che possono così finalmente liberarsi dei rapporti di vassallaggio e di dipendenza clientelare, garantendo una distribuzione delle risorse che tenga conto delle esigenze di solidarietà e di unità nazionale.

Su questi temi dobbiamo metterci subito al lavoro, pur nelle difficolta della situazione politica. È un terreno d’azione decisivo non solo per le sinistre, ma per tutte quelle forze che hanno creduto nel cambiamento, che l’hanno sollecitato, e che davvero vogliono liberarsi del vecchio sistema, e che per questo hanno bisogno non di nuovi salvatori della patria, ma di nuove regole e di nuove istituzioni.



Numero progressivo: C51
Busta: 3
Estremi cronologici: 1994, 31 maggio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Pubblicazione: “L’Unità”, 31 maggio 1994