CONSIGLIO GENERALE CGIL LOMBARDIA DEL 30 MAGGIO 89

Relazione di Riccardo Terzi – Segretario generale aggiunto CGIL Lombardia

1) Dopo la Conferenza programmatica di Chianciano, che ha rappresentato l’avvio di una nuova ricerca culturale e progettuale della CGIL, è ora aperto in tutto il corpo dell’organizzazione un ampio dibattito politico.

Ci proponiamo, in questa sede, non ancora una sintesi conclusiva, quanto piuttosto l’indicazione di un percorso di ricerca, di approfondimento e di iniziativa sindacale.

In questa fase la discussione non può che essere ancora aperta, essendo necessario il più ampio coinvolgimento democratico di tutte le strutture, non in modo burocratico, come se si trattasse solo di ratificare una svolta di linea già decisa e già confezionata, ma stimolando un apporto creativo e una ricerca critica.

La prossima tappa di verifica sarà il Consiglio nazionale della CGIL, previsto per i primi di luglio, che dovrà predisporre un documento programmatico, sul quale successivamente tutta l’organizzazione sarà chiamata ad esprimersi, rendendo esplicite eventuali posizioni alternative, sia di impostazione generale, sia su singole questioni.

In autunno, la Conferenza di organizzazione dovrebbe caratterizzarsi come un ulteriore momento di sviluppo della nostra elaborazione, affrontando essenzialmente i nodi politici della democrazia sindacale e della rappresentanza.

In questo modo, e con queste tappe, a partire dalla Conferenza di Chianciano si delinea un processo nuovo di ricerca, che consente di far maturare il discorso sul rinnovamento, o sulla rifondazione, della CGIL, il quale non può affidarsi ad uno scatto di volontà, ma comporta un’operazione più complessa di ridefinizione della cultura e della strategia del sindacato.

2) Per i contenuti della Conferenza di Chianciano, posso rinviare ai materiali che sono stati pubblicati e in particolare alla relazione di Trentin. Cercherò solo di fare qualche valutazione intorno all’ispirazione di fondo che mi sembra abbia guidato i lavori della Conferenza. I punti centrali mi sembrano essere i seguenti: una nuova concezione dello sviluppo, la ricerca di una nuova capacità rappresentativa del sindacato in quanto sindacato generale e di classe che sa assumere pienamente al proprio interno ii valore delle diversità e i nuovi bisogni soggettivi, anche individuali dei lavoratori, il tema della democrazia, la centralità del lavoro nell’ottica di una battaglia politica per l’umanizzazione del lavoro e per la conquista di nuovi diritti.

C’è un filo conduttore che lega questi diversi aspetti: la convinzione che siamo di fronte a eccezionali e profondi mutamenti che investono insieme la struttura sociale, i modi e le tecniche della produzione e le stesse forme della coscienza individuale e collettiva, per cui il sindacato ha bisogno di un processo audace di rinnovamento, e insieme a questo la convinzione che in questo processo di cambiamento vanno riconquistati e riattualizzati i valori essenziali della nostra storia, che insomma l’esito di questa fase storica non è inevitabilmente la frantumazione, l’individualismo degli interessi, ma può essere, a un livello nuovo e più elevato, la costruzione di una nuova solidarietà di classe.

È questa la sfida politica e culturale in cui è impegnata la CGIL, il che significa essere in prima fila in un durissimo scontro culturale e sociale, che è tuttora in pieno svolgimento.

3) Giunta a esaurimento l’idea di uno sviluppo lineare, illimitato, emerge oggi la necessità di scegliere tra diverse opzioni, tra diverse alternative, che danno luogo a modelli qualitativi diversi. Ciò è del tutto evidente per quanto riguarda il rapporto tra sviluppo e ambiente, che richiede a questo punto un radicale rovesciamento nell’impostazione culturale e soprattutto nella concreta prassi sociale.

Così, se valutiamo in tutta la sua portata la nuova domanda sociale che è posta dal movimento delle donne, vediamo con chiarezza che in questione sono scelte qualitative, che è posto in discussione tutto un modello di organizzazione sociale.

Di qui viene la necessità di un sindacato di progetto, che non agisce solo come elemento di accelerazione dello sviluppo, subendo passivamente la gerarchia di valori che nell’attuale sviluppo è incorporata, ma pone propri vincoli, proprie compatibilità, secondo una scala di priorità liberamente e consapevolmente scelta.

Ciò si pone sempre più nell’ottica di un processo di integrazione mondiale dell’economia, e si tratta quindi di una battaglia che non si può vincere in un orizzonte solo nazionale. Tra i valori da recuperare, la solidarietà internazionale si ripropone oggi come esigenza di estrema attualità e concretezza.

4) È del tutto coerente con queste premesse la configurazione della CGIL come sindacato generale, che rifiuta cioè di ridursi ad una sommatoria di interessi parziali e corporativi, e che si propone di ricostruire intorno ad un progetto politico una nuova unità del mondo del lavoro.

Ciò però non può avvenire in modo semplice, perché occorre tener conto di tutta l’estrema articolazione presente nella classe lavoratrice, delle diversità reali, che vanno riconosciute come tali, delle contraddizioni anche, per cui si richiede un percorso assai complesso di ricostruzione di un tessuto di solidarietà. Non funziona più la centralità che ha avuto nel passato la grande fabbrica industriale e la figura sociale dell’operaio-massa, non esiste più quel grado di coesione sociale e anche di coesione ideologica, che dava luogo fino agli anni ‘70 ad una configurazione di classe relativamente più semplice, scandita intorno ad alcuni emblematici luoghi sociali e intorno ad alcuni valori collettivi radicati nella coscienza comune.

Per questo la nostra linea rivendicativa e le nostre forme di organizzazione hanno oggi bisogno di grande duttilità. Occorrono politiche differenziate, verso le diverse figure sociali e professionali, verso i diversi settori dell’industria e dei servizi. Occorre una grande capacità di articolazione, cogliendo e valorizzando tutte le diversità. Solo così si riconquista una dimensione generale, che resta altrimenti una velleità, un apriori ideologico astratto, o una pretesa dirigistica che vorrebbe costringere una realtà sociale dentro un unico rigido modello. La crisi del Sindacato Confederale è la crisi, appunto, di un modello politico organizzativo che è rimasto uniforme e centralizzato mentre la realtà andava nella direzione opposta. Ciò pone in modo nuovo, più complesso, il problema della democrazia sindacale.

La democrazia diviene oggi, più che nel passato, un requisito essenziale, perché solo nella trasparenza di un autentico rapporto democratico tra sindacato e lavoratori si può stabilire una base di consenso, che non può più essere affidata ad un naturale rapporto di fiducia di tipo ideologico.

Questo bisogno di democrazia che si afferma come reazione alla crisi delle vecchie ideologie è, come sappiamo, un grande fenomeno mondiale, e non possiamo sperare di esserne esentati.

Ma nel contempo è tutto da affrontare il problema delle forme, delle regole, vedendo le specificità dell’organizzazione sindacale per la quale non può valere l’applicazione, in modo meccanico, delle regole della democrazia politica, in quanto si tratta di interessi sociali e collettivi, diversi, talora contrastanti, tutti legittimi ma tali da richiedere una mediazione.

In assenza di un sistema organico di regole, rischiamo di oscillare fra una concezione democraticistica di tipo referendario, che sminuisce il ruolo di direzione dell’organizzazione sindacale ed una posizione di decisionismo dei gruppi dirigenti, che si auto-attribuiscono il ruolo di rappresentanti dell’interesse generale senza alcuna verifica democratica, in una situazione di irresponsabilità e di arbitrio.

Occorre in ogni caso che funzionino precisi vincoli democratici, e che sia chiaro, trasparente, il rapporto, anche dialettico, tra gruppi dirigenti e lavoratori, in un intreccio tra direzione politica e esercizio della democrazia che si svolge secondo regole del gioco chiaramente definite. Ma si tratta, come sappiamo, di una discussione ancora sofferta, con posizioni diverse, e per questo c’è ancora molto lavoro da fare, in vista della Conferenza di organizzazione.

Con l’ipotesi di accordo con CISL e UIL sulle strutture di rappresentanza nei luoghi di lavoro, si apre la possibilità di una discussione di merito concreta, al di là di generiche affermazioni di principio, e si affronta una questione nevralgica per il funzionamento di un’effettiva democrazia rappresentativa. Ma su questo aspetto tornerò successivamente.

5) L’ultimo elemento della Conferenza di Chianciano che intendo sottolineare è il tema dell’umanizzazione del lavoro: nuova qualità del lavoro, nuova attenzione ai bisogni soggettivi, anche di tipo individuale, nuovi diritti di conoscenza, di autonomia, di crescita professionale, il diritto, in sostanza, non ad un lavoro qualsiasi, ma ad una piena valorizzazione delle capacità individuali.

Non si tratta affatto, come qualcuno ha erroneamente interpretato, di una sorta di svolta liberal-democratica, come se la CGIL si mettesse a correre dietro alle mode culturali del nuovo individualismo. Il punto di partenza è il lavoro, di cui dobbiamo esplorare, oggi, le nuove condizioni, le nuove forme di alienazione, le nuove potenzialità di liberazione. A questa concretezza della condizione di lavoro vanno ricondotte le nostre scelte. Così, ad esempio, ogni possibile sperimentazione di nuove forme di democrazia economica deve poter avere un riscontro concreto dal punto di vista dei lavoratori, della loro collocazione nel processo produttivo, della loro crescita professionale, della loro effettiva partecipazione alle decisioni, evitando così soluzioni di tipo tecnocratico.

La tematica dei diritti, se viene così intesa, non si restringe ad un orizzonte solo giuridico, ma chiama in causa i modelli di organizzazione del lavoro, e le strutture di potere dell’impresa. Come è apparso chiaro alla Fiat, dove la battaglia per i diritti entra in conflitto con tutto un ordinamento sociale, come è chiaro per tutto il sistema delle piccole imprese, per le quali è necessario un nuovo sistema di relazioni sociali e sindacali.

Parlare di diritti significa parlare di poteri, di un processo democratico che trasforma le strutture di potere.

6) Sulla base di queste premesse, va impostata la nostra prossima azione contrattuale. Qui siamo ancora agli inizi di una discussione, e ancora non siamo riusciti ad individuare un asse unificante.

C’è il rischio di una contrapposizione astratta tra rivendicazioni salariali o di riduzione dell’orario, mentre dovremmo partire da un’esigenza più di fondo, di riconquista di un potere sociale, di controllo sull’organizzazione del lavoro e sui processi di innovazione, utilizzando a questo fine sia gli strumenti di politica salariale sia gli interventi sull’orario di lavoro, ed esplorando tutte le nuove possibilità per quanto riguarda i nuovi diritti di formazione, di accesso alle conoscenze, di partecipazione. In ogni caso è essenziale una linea che abbia il suo baricentro nella contrattazione articolata, a livello di impresa o territoriale, ripensando in questa ottica tutta la struttura della contrattazione.

Come già abbiamo fatto in occasioni precedenti, la struttura regionale della CGIL dovrà dare un suo contributo di analisi e di elaborazione, anche utilizzando l’ampio materiale di indicazioni che emerge dalla ricca stagione di contrattazione articolata dall’87 a oggi.

Orario, professionalità e organizzazione del lavoro, ambiente, possono essere questi i temi centrali della riflessione.

Un importante aspetto innovativo da considerare è quello che riguarda l’allargamento della rappresentanza e dei modelli di contrattazione a nuovi soggetti finora esclusi: le associazioni ambientaliste, come stiamo tentando di fare nelle aziende a rischio o per la verniciatura dell’Alfa di Arese, gli utenti nei pubblici servizi, i consumatori, riconsiderando a questo proposito le esperienze scarsamente efficaci che abbiamo fin qui prodotto. È questo un aspetto che può arricchire le forme della democrazia sindacale, correggendo così certe angustie corporative, in quanto entrano in campo altri soggetti che sono portatori di interessi per noi essenziali. La medesima esigenza sta alla base dell’impegno politico e organizzativo per la costruzione dei Comitati del Lavoro.

Questo sforzo di innovazione è essenziale in tutto il settore pubblico, dove più pesante è il condizionamento degli interessi corporativi; un impegno nuovo di sperimentazione che deve avere come chiara premessa il sostegno per i contratti del pubblico impiego, contro ipotesi di rinvio o di acconto.

7) Dopo Chianciano, dobbiamo evitare che l’organizzazione sia impegnata solo in una discussione, che rischierebbe di farsi astratta e accademica, e dobbiamo lavorare per una sperimentazione sui terreni nuovi che abbiamo individuato: l’Europa, l’ambiente, la democrazia economica, i diritti, collegando riflessione e iniziativa, elaborazione e azione sindacale concreta. A questo fine è indispensabile migliorare e rendere più efficace l’iniziativa unitaria con CISL e UIL della Lombardia abbiamo, in questo senso, alcuni appuntamenti importanti, anche in vista di un confronto che è stato unitariamente richiesto alla Federlombarda e che dovrà affrontare alcuni problemi di carattere generale: la formazione professionale, le politiche per l’ambiente, l’integrazione europea, la questione delle aree industriali.

D’altra parte, tutta la situazione è in movimento e nuove, importanti possibilità si aprono alla nostra iniziativa. Dobbiamo quindi discutere vedendo i processi nuovi, evitando di chiuderci in una discussione tutta interna. Prima l’iniziativa di lotta e i risultati ottenuti sul fisco, poi la lotta contro i decreti governativi culminata nella giornata dello sciopero generale, che ha segnato una prova eccezionale di forza e di consenso.

Siamo in presenza di un fatto nuovo, non epidermico, non di sola protesta occasionale, che segnala l’esistenza a livello di massa di un bisogno più generale di trasformazione, l’emergere di un conflitto sociale che ha motivazioni complesse.

Qui vediamo già in atto i lineamenti di un sindacato che sa essere sindacato generale, soggetto politico, portatore di un autonomo progetto riformatore.

Da qui è venuta un’accelerazione anche sul terreno politico, fino alla crisi di governo.

Per cui oggi la nostra iniziativa si intreccia, in modo sicuramente non facile, con gli interrogativi della situazione politica, e si pone il problema di come riusciamo a pesare anche politicamente, allargando la nostra iniziativa, ponendo cioè sul tappeto in tutta la sua ampiezza l’esigenza di nuovi indirizzi di politica economica e di politica sociale.

Fisco, riforma dello stato sociale, individuazione di una linea alternativa per il risanamento della spesa pubblica. Su questi temi va rilanciata e precisata tutta la nostra elaborazione programmatica.

Non ci limitiamo, quindi, alla questione dei ticket sanitari e alla lotta contro il decreto.

Deve essere però chiaro che lo sciopero generale non può restare senza effetti, senza risultati, che è aperta una questione sindacale concreta, di fronte alla quale il governo non solo non ha dato risposta, ma ha rilanciato una sfida al sindacato con la reiterazione del decreto, pur trattandosi di un governo dimissionario. E un atto grave a cui dobbiamo reagire con una campagna di iniziative, volta ad informare l’opinione pubblica e ad esercitare una forte pressione sulle forze politiche perché si giunga ad una soluzione del problema.

La crisi di governo e la campagna elettorale determinano nuove condizioni ed anche nuove difficoltà, perché la difesa di una linea di autonomia del sindacato risulta meno agevole.

Noi dobbiamo stare al merito del problema, alle proposte alternative che abbiamo elaborato, riconfermando tutte le ragioni che erano alla base dello sciopero generale.

Con il governo, non appena sarà superata la crisi, si dovrà aprire un vero confronto sindacale su tutta la materia che è in discussione.

E intanto abbiamo posto alla Giunta regionale il problema delle norme di applicazione del decreto, per eliminare disparità di trattamento e comportamenti vessatori, ottenendo l’impegno a varare direttive vincolanti, in conformità con le intese sindacali precedenti.

8) Con la Giunta regionale è in corso una verifica più ampia, che tocca tutti gli aspetti del programma di governo di quest’ultimo anno di legislatura.

Ciò riguarda molte questioni di rilevante interesse sindacale: il sistema delle tariffe dei trasporti, l’attuazione della legge sui piani integrali di area, gli strumenti del mercato del lavoro dopo la decisione governativa sulle agenzie regionali per l’impiego, il piano Lambro, la politica sanitaria e socio-assistenziale e così via.

Dato che questi confronti sono in corso, cercando finalmente di dare attuazione al protocollo siglato, con la Presidenza della Giunta, e dovrebbero concludersi nelle prossime settimane, possiamo proporci una valutazione conclusiva in una prossima riunione da convocare specificamente su questo tema, attuando nel frattempo tutte le verifiche operative necessarie con tutte le strutture interessate.

9) Infine, vorrei dare qualche valutazione sull’andamento della trattativa con la Confindustria e sull’ipotesi di accordo con CISL e UIL sulle strutture di rappresentanza. Nella trattativa con la Confindustria abbiamo fin qui evitato di subire una logica di centralizzazione, delimitando chiaramente l’ambito del confronto e le materie da trattare. Rifiutiamo qualsiasi logica di scambio, qualsiasi ipotesi di regolazione centralizzata della dinamica salariale o delle strutture contrattuali, che restano di competenza esclusiva delle organizzazioni di categoria.

Il negoziato, che ha fin qui affrontato alcuni aspetti relativi alle relazioni tra le parti e alla regolazione dei conflitti, dovrà ora affrontare il problema della rappresentanza, e ciò potrà avviarsi solo sulla base di una piattaforma unitaria concordata tra le tre Confederazioni.

C’è una prima bozza d’accordo che è stata discussa nell’ultima riunione dell’esecutivo della CGIL. La soluzione ipotizzata si muove lungo la linea che già da tempo abbiamo individuato, quella di una struttura binaria, con una parte dei delegati eletta da tutti i lavoratori e una parte eletta dalle singole organizzazioni, dando cioè luogo ad un esplicito compromesso tra esigenze diverse e tra diverse concezioni circa il ruolo e la natura del sindacato. È una discussione che abbiamo già fatto, e che dovrebbe a questo punto essere acquisita.

Si tratta ora di valutare gli elementi positivi e i limiti della bozza di accordo, partendo dalla premessa che è per noi un’esigenza vitale quella di porre fine ad una fase di incertezza, di precarietà, nella quale di volta in volta vengono ipotizzati accordi e vengono successivamente vanificati, e che l’obiettivo fondamentale è l’intesa su una struttura unitaria che sia soggetto unico di contrattazione e alla quale siano delegati effettivi poteri di decisione, battendo le spinte alla liquidazione definitiva dell’esperienza unitaria dei Consigli e alla requisizione di tutto il potere contrattuale da parte delle strutture sindacali esterne.

Questo obiettivo generale e fondamentale trova nell’accordo una risposta positiva. E non a caso ciò sta determinando reazioni e dissensi in alcuni settori sindacali, in particolare nella UIL.

Vi sono però limiti e aspetti negativi, in particolare il fatto che si afferma, in modo assai pesante, un meccanismo di pariteticità che riguarda tutta la parte, pari al 50% di rappresentanza delle organizzazioni sindacali, determinando così una distorsione rispetto alle esigenze di proporzionalità democratica della rappresentanza.

L’esecutivo ha affidato un mandato alla segreteria generale per verificare la possibilità di un miglioramento dell’accordo, e per porre in particolare due questioni: la disponibilità ad un accordo generale, non limitato ai settori dell’industria, e la definizione di meccanismi di verifica del consenso tra tutti i lavoratori nei casi in cui nel Consiglio si determinano significativi contrasti, tali da rendere incerta la volontà della maggioranza.

A queste condizioni, può essere un passo in avanti, un passaggio utile per rimettere in campo l’iniziativa a livello di fabbrica, per dare una prima risposta al problema della rappresentanza, che dovrà avere successivi sviluppi, anche sul terreno legislativo.

Si dovrà misurare il problema con questo metro, valutando se, rispetto al punto di partenza, si può prevedere una qualche dinamica positiva, e sapendo quindi che non si tratta di una soluzione corrispondente per intero alle nostre posizioni, e che pertanto resta aperto un confronto politico nel movimento sindacale.

Su tutta la materia c’è bisogno di una discussione e di un’informazione più ampia. E per questo proponiamo di organizzare, nei prossimi giorni, degli attivi delle Camere del Lavoro, per acquisire al più presto tutti gli elementi di valutazione tra gli iscritti alla CGIL.

Si dovrà esaminare in tutti i suoi elementi il negoziato con la Confindustria, che presenta molte questioni aperte, e che affrontiamo realisticamente, ma ponendo tuttavia questioni di grande rilievo, di grande peso.

È aperto tutto il problema della tutela per i lavoratori delle piccole imprese. E, nella parte che riguarda la struttura della contrattazione, mentre si esclude un accordo centrale, rinviando alle competenze di categoria, si pongono due obiettivi di straordinario rilievo: il riconoscimento di un livello territoriale di contrattazione per l’area delle piccole imprese e il principio del confronto preventivo su tutte le scelte rilevanti (tecnologiche, organizzative, produttive) che abbiano effetti sulle condizioni di lavoro e sull’occupazione.

Altri aspetti dovranno essere meglio precisati, come, in particolare, quello, riguardante il rapporto salario-produttività, che limita in modo non accettabile lo spazio della contrattazione articolata.

Questa seconda fase del negoziato sarà, quindi, quella decisiva e qualificante, e ancora la partita è tutta da giocare e non è da escludere, per le grandi difficoltà tuttora presenti, un esito negativo.

A questo punto diviene indispensabile una discussione nell’organizzazione, in modo che tutti i termini del problema siano attentamente valutati.

10) Affrontiamo questo complesso di problemi in una situazione interna alla CGIL che, mi sembra, abbia avuto alcuni sviluppi positivi.

È in corso un processo complesso e difficile di chiarimento politico e strategico, di rinnovamento, di ricambio dei gruppi dirigenti, che dovrà procedere a tutti i livelli.

In questo processo la CGIL della Lombardia deve fare interamente la sua parte, contribuendo al dibattito politico nazionale, con spirito critico e costruttivo e affrontando, sul suo proprio terreno specifico, tutte le esigenze, politiche e organizzative, del rilancio e del rinnovamento dell’organizzazione sindacale.



Numero progressivo: A34
Busta: 1
Estremi cronologici: 1989, 30 maggio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nota settimanale della CGIL Lombardia”, n. 20, 5 giugno 1989, pp. 3-7