CONVEGNO CULTURA PER LA CITTÀ

Milano, [1978?]

Intervento di Riccardo Terzi

Con questo dibattito si offre un’occasione per un confronto, culturale e politico ad un tempo, nella consapevolezza, certo, dell’autonomia che deve intercorrere tra questi due momenti, ma ancor più dei pericoli che possono derivare da una loro definitiva separazione.

La politica che si immiserisce nella tecnica del potere, e la cultura che rinuncia ad ogni visione d’insieme della condizione umana e che si rinchiudo in un proprio ambito separato e specializzato: è questo un pericolo non immaginario, ma incombente. Rischia così di stabilirsi, tra politica e cultura, una convivenza basata sull’opportunismo. I politici sono generosi di riconoscimenti per l’autonomia e la libertà della cultura, e ciò avviene proprio in quanto questa autonomia-separazione mette al riparo l’ordine sociale vigente dall’intervento critico della ragione. Dobbiamo proporci di uscire da questa logica, di ristabilire quel collegamento vitale tra azione politica e ricerca culturale che è la condizione perché la società possa progredire e possa rispondere ai propri interrogativi. È in questa direzione – io credo – che dobbiamo, con pazienza e con lucidità di propositi, proseguire il nostro lavoro.

Se la conclusione pratica di questo convegno dovesse invece essere soltanto la riaffermazione generica, anche se non priva di indicazioni concrete, di un impegno amministrativo a sostegno delle istituzioni culturali della città, avremmo allora mancato l’obiettivo fondamentale.

Se guardiamo al panorama degli enti culturali che sono operanti nella realtà milanese, possiamo legittimamente respingere quella descrizione apocalittica che alcuni ci vorrebbero presentare. In realtà, certe lamentazioni sulla crisi del ruolo di Milano e della sua cultura sono troppo scopertamente propagandistiche per meritare una risposta documentata. E tanto più appare chiara questa forzatura di parte, questo carattere strumentale, quando avviene, come è frequente, che questa acuta sensibilità critica si manifesti all’improvviso proprio in coloro che hanno accettato ciecamente i miti della società opulenta e che hanno quindi contribuito a trascinarci, con la loro miopia interessata, nella crisi attuale.

Credo che pochi, ad esempio, possano riconoscersi nella rievocazione mitologica che l’on. De Carolis ha compiuto degli anni ‘50. Il fatto che egli non abbia vissuto in prima persona il dramma dell’immigrazione convulsa e delle lotte sociali durissime che i lavoratori hanno dovuto affrontare non lo autorizza ad ignorare questi non trascurabili dettagli. Nessuno può seriamente sostenere che quella fosse un’epoca di perfetta armonia sociale, di progresso ininterrotto, non segnato da profonde lacerazioni.

Ma non sta qui, a mio giudizio, il problema centrale. Alla mitologia del passato sarebbe assurdo e ridicolo opporre una mitologia del presente. Noi ci troviamo indubbiamente in una crisi grave, non per quanto riguarda il funzionamento dei singoli istituti culturali, o perché la vita del centro cittadino sia meno scintillante di un tempo. La crisi riguarda i contenuti sostanziali della nostra convivenza civile, la sua ragion d’essere, i suoi valori.

Per illustrare questo stato di cose potremmo ricorrere alla famosa e discussa distinzione tra cultura e civilizzazione. Il nostro livello di civilizzazione è certamente soddisfacente, anche se perfettibile; la società milanese funziona, la sua economia ha una capacità di tenuta sufficiente, la sua attività culturale rimane a livelli di considerevole prestigio. Ma la città, dopo aver sperimentato tutta la fragilità e l’inconsistenza delle ideologie neo-capitalistiche, stenta a ritrovare la propria identità, a ritrovarsi in una cultura che sia l’espressione dei suoi bisogni più profondi.

Si parla spesso di crisi delle ideologie, e ciò può essere parzialmente vero, anche per ciò che riguarda il pensiero marxista. Ma io non giudico affatto questa crisi come un fatto benefico, mi pare al contrario che qui vi sia il rischio più grave di decadenza. La società borghese tende a proporre come orizzonte culturale il mero rispecchiamento dell’esistente, ed entra quindi in conflitto con ogni progetto che trascende la realtà immediata, con ogni idea di cultura che voglia indicare agli uomini una prospettiva di ricomposizione della propria umanità alienata e parcellizzata, con ogni intromissione della ragione nel corso spontaneo delle cose.

Il furore anti-ideologico, l’avversione per ogni sistema totalizzante, per ogni tentativo cioè di ricostruire la condizione dell’uomo nella sua totalità, è il tratto distintivo che caratterizza le attuali tendenze borghesi. Entro questo quadro trovano la loro verità inconfessata molte posizioni radicali e libertarie: si può infatti agevolmente scoprire come il loro rifiuto di ogni principio organizzativo unitario della vita, di ogni esigenza di sovra-individualità, di ogni ordinamento etico che regoli i rapporti tra gli uomini, si risolve nell’esaltazione acritica della condizione umana quale si presenta nello stadio della sua estrema alienazione e frantumazione, e ha come suo contenuto il libero, incondizionato e definitivo adattamento dell’uomo entro la società presente.

 

Nella discussione che si è avuta finora, abbiano potuto cogliere, in modo più o meno chiaro ed esplicito, i lineamenti di una proposta politica che si nuove nell’ottica di un dispiegamento delle società borghese e di una sua definitiva accettazione. Tutto l’impianto culturale dell’intervento di De Carolis, secondo cui l’avvenire della società deve essere affidato essenzialmente al progresso della tecnologia, si colloca nel quadro ora descritto.

Il nostro avvenire possibile e auspicabile è già tracciato, e lo si può ritrovare nei lineamenti delle società capitalistiche più evolute. La filosofia è morta perché la verità è già stata trovata; la cultura è ormai solo questione di mezzi, non di fini.

L’on. De Carolis, che è un assiduo frequentatore della società americana, potrebbe trovare in quel paese ciò che io ritengo essere un esempio di cultura viva, e lo troverebbe al di fuori delle sua cerchia abituale; mi riferisco allo sforzo di dar vita ad una cultura afro-americana che sia portatrice di una profonda esigenza di riscatto e di emancipazione.

Ciò che mi ha piuttosto stupito e preoccupato è l’aver avvertito le medesima sordità e avversione all’idea di una cultura militante nell’intervento del socialista Ugo Finetti. Egli si è precipitato a dichiarare cadaverica la cultura dell’antifascismo, sorvolando disinvoltamente sul fatto che quello fu uno dei rari momenti della nostra storia in cui la cultura seppe essere all’altezza dei suoi compiti e si fece interprete di un grande movimento di unità e di riscatto nazionale.

Naturalmente non ci possiamo basare oggi solo su questa eredità, ma ad essa è pur necessario richiamarsi, se vogliano essere, anche nell’attuale momento, protagonisti della storia e animati da una autentica passione civile, e non invece i burocrati di un’industria culturale priva di vita.

In sostanza, io ritengo che la crisi delle società italiana e milanese non possa essere affrontata e risolta senza un’opera culturale che tenda ad organizzare ed attivizzare le energie morali profonde del popolo. Non è solo questione di diffusione del sapere. Non può bastare il fatto che oggi nuovi ceti possano finalmente accedere alle grandi istituzioni culturali cittadine.

La crisi morale profonda in cui si trovano oggi le giovani generazioni non può essere sanata da una buona rappresentazione teatrale. I giovani, che si ritrovano in una società esposta al rischio di una crescente frantumazione individualistica e corporativa, chiedono alle forze politiche e culturali indicazioni più sostanziali, e non è un caso se si può oggi registrare una nuova vitalità delle organizzazioni cattoliche, tradizionalmente sensibili, sia pure entro un orizzonte ideologico non più adeguato ai problemi della società moderna, alle istanze di moralità, all’opera di costituzione di una personalità umana che sappia realizzare coerentemente una propria pienezza di vita.

La cultura laica deve accettare positivamente questa sfida, e commetterebbe un errore irrimediabile se pensasse di liquidare i nuovi fermenti di religiosità con la facile e superficiale accusa di in integralismo.

Si apre dunque l’esigenza di un confronto culturale, a cui partecipino le grandi forze popolari del Paese, con la convinzione di avere ciascuno una propria identità da difendere, ma anche di avere un vasto campo di ricognizione e di ricerca dove non vi sono verità definite e non possono essere di nessuna utilità le rigidezze dogmatiche.

Rispetto al grande e unitario movimento di popolo della lotta antifascista, vi è oggi indubbiamente un’articolazione maggiore, una differenziazione più marcata.

Il ventaglio dei problemi si è dilatato, ed ha investito anche, in misura sempre più rilevante, le questioni della vita soggettiva, dell’individuo, del suo posto all’interno della società, della sua identità che non può esaurirsi nel generale processo di socializzazione.

La politica culturale deve tendere a mettere in opera le condizioni per questo confronto, unitario e differenziato.

L’attuale amministrazione comunale, che ha una sua precisa qualificazione politica, non può certamente adattarsi ad una gestione dignitosa ma incolore. Non solo non ha timore del dibattito, del dissenso, dalla critica, come provocatoriamente cerca di sostenere chi si inventa il fantasma di un regime conformista, ma al contrario chiede a tutti il contributo più aperto o lo sforzo critico più rigoroso, e ciò per la semplice ragione che non abbiano da difendere un sistema di potere cristallizzato, ma anzi ci siano attribuiti il compito di dar vita a un movimento di trasformazione profondo della società, e quindi non possiamo che essere per una cultura che intervenga con tutta la sua forza critica, al di là degli spazi di autonomia predeterminati, per rimettere in discussione tutto ciò che ha solo l’apparenza della razionalità.


Numero progressivo: F21
Busta: 6
Estremi cronologici: [1978?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -