COSA FARE PRIMA DEL 1991

L’accordo del 6 luglio è un successo per il sindacato. Ma ora occorre una nuova strategia

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

L’accordo del 6 luglio, in base al quale è stato revocato lo sciopero generale, rappresenta un indubbio successo del sindacato. La Confindustria si è trovata del tutto isolata nel rapporto con le altre associazioni imprenditoriali e nei rapporti politici, con l’eccezione ininfluente di liberali e repubblicani, e ha dovuto così adattarsi a una vistosa inversione di marcia. Le posizioni oltranziste sono state battute, e ora possono riprendere, senza pregiudiziali e senza veti politici, le trattative per i contratti dell’industria. Ha certamente pesato in misura determinante lo straordinario successo dello sciopero dei metalmeccanici e dei chimici del 27 giugno, con le grandi manifestazioni di Milano e di Napoli. Il sindacato ha così dimostrato di poter contare su un forte potenziale di lotta e di combattività operaia, che ha scompaginato molti giudizi correnti, e in questo contesto l’annuncio dello sciopero generale non poteva da nessuno essere considerato come un bluff, come una minaccia priva di forza. Ciò ha costretto la stessa mediazione governativa a svolgersi in un quadro di grande chiarezza. Il punto centrale del conflitto riguarda il rinnovo dei contratti. Si tratta di decidere se esso può procedere normalmente, attraverso una trattativa che affronti l’insieme delle materia contenute nelle piattaforme, nell’autonomia dei soggetti contrattuali. È proprio questa normalità delle relazioni sindacali che la Confindustria ha cercato di spezzare, drammatizzando i punti di contrasto, sostenendo l’incompatibilità delle richieste sindacali, e proponendo quindi un preventivo accordo globale sulla struttura contrattuale, sul costo del lavoro e sulla scala mobile, come condizione per fare i contratti, con l’obiettivo dichiarato di fissare rigidamente la dinamica delle retribuzioni e di comprimere gli spazi della contrattazione articolata.

Questo disegno è stato completamente ribaltato. Con la fissazione al 1 giugno 1991 dell’inizio del negoziato sulla struttura del salario, i contratti vengono restituiti al loro ambito naturale, e c’è tutto lo spazio per una loro positiva conclusione, di quelli già scaduti come di quelli di prossima scadenza. Naturalmente ciò non significa che l’intesa sia già a portata di mano. Significa solo che le trattative possono essere sbloccate e che vengono accantonate le pregiudiziali politiche. E restano, soprattutto per i metalmeccanici, contrasti di merito ancora molto rilevanti. Potranno essere quindi necessari nuovi momenti di lotta. Questo i lavoratori lo sanno, e sono pronti a scendere in campo se e quando sarà necessario. Ora il sindacato, dopo aver conseguito questo primo risultato politico, dovrà gestire con estrema accortezza questa nuova fase che si è aperta. C’è tutto il tempo necessario, da qui al giugno del ‘91, per impostare una nuova strategia contrattuale e per affrontare anche il nodo spinoso della scala mobile. C’è il tempo, ma si dovrà iniziare presto una riflessione approfondita per non arrivare all’appuntamento, come altre volte è avvenuto, impreparati, incerti, a rimorchio delle proposte di altri, per non dover giocare una battaglia solo difensiva. Che cosa vuole la Confindustria è del tutto chiaro: una totale centralizzazione delle relazioni sindacali che metta la parola fine a tutta l’esperienza di partecipazione operaia e di contrattazione articolata e che consenta di realizzare nelle imprese una assoluta unicità di comando.

Per respingere in modo efficace questa impostazione occorre che il sindacato sia in grado di proporre un nuovo sistema di regole e che sappia offrire sufficienti garanzie e certezze anche al sistema delle imprese. La contrattazione articolata può essere presidiata solo a condizione che essa venga definita con chiarezza nei suoi contenuti, nelle cadenze, nei criteri ispiratori, dentro una precisa architettura contrattuale, e che nel contempo siano individuati i soggetti titolari della contrattazione e le regole democratiche dal cui rispetto dipende la legittimità delle decisioni. Il sindacato non può più pensare di affidarsi solo ai rapporti di forza. Deve essere ormai superata la falsa contrapposizione di sindacato-movimento e sindacato-istituzione, e deve essere pienamente assunta l’esigenza di definire un sistema di regole, utilizzando in modo adeguato anche lo stesso strumento legislativo. La questione della rappresentanza è il primo indispensabile anello di questo ridisegno complessivo delle relazioni industriali. È il primo e il più urgente problema da affrontare e risolvere, perché è qui in questione il rapporto di fiducia con i lavoratori, e quindi la possibilità che non si disperda l’attuale potenziale di lotta. Non è più possibile affidarsi ad accordi, parziali, precari, che da un giorno all’altro possono essere vanificati per il veto di una singola organizzazione. E non è più possibile difendere il monopolio delle organizzazioni maggiormente rappresentative, in assenza di strumenti certi di verifica della effettiva rappresentatività. Per questo c’è bisogno di una legge, di un forte fondamento di legittimità per le rappresentanze sindacali.

Le organizzazioni sindacali, che hanno finora visto con sospetto, come un’interferenza indebita, ogni ipotesi legislativa, devono ora prendere atto del fatto che il problema della democrazia sindacale è divenuto un grande problema politico e istituzionale, e devono quindi concorrere alla sua soluzione. Tutti questi temi, dal modello contrattuale alle regole della rappresentanza, sono da oggi all’ordine del giorno. Su di essi si misura la capacità del sindacato di superare le divisioni che l’hanno in questi anni paralizzato e di ridefinire una propria prospettiva strategica.


Numero progressivo: H112
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 22 luglio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Riflessioni politiche - Scritti Sindacali -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 24, 22 luglio 1990, p. 25