IL PARTITO E LE NUOVE GENERAZIONI

Verso l’assemblea nazionale dei segretari di sezione del PCI

di Riccardo Terzi

Dopo il nostro articolo: I giovani non sono “una difficoltà” apparso sul n. 9 di Rinascita del 3 marzo u.s. e quello del compagno Giuliano Pajetta: I giovani non sono “una difficoltà” ma sono un problema (Rinascita n. 10), ci sono pervenute alcune lettere che volentieri pubblichiamo, riservandoci di tentare, poi, una risposta complessiva.

 

Discutere con i giovani

Cara Rinascita,

il dibattito aperto sulle tue colonne dal compagno Luca Pavolini a proposito dell’atteggiamento della nostre sezioni verso i giovani merita l’attenzione del partito.

Il problema è più complesso di quello che può apparire, perché il discorso sui giovani non può che essere profondamente intrecciato con tutti gli aspetti della società italiana. Ci si deve allora porre un prima interrogativo: in che misura esiste ed è reale la questione giovanile, e cioè il problema del rapporto fra le diverse generazioni? Spesso, nel partito, si risponde a questa domanda con una specie di insofferenza, negando ogni autonomia ai problemi della gioventù. Lo scontro nella società italiana riguarda le classi, le forze politiche, non le generazioni: e allora perché tanta agitazione per un problema che rischia di essere fittizio, che può farci deviare dalle questioni vere? E perché i giovani non riescono a capire che soltanto nell’azione politica possono trovare la loro prospettiva?

È una risposta questa, che non ci può soddisfare. Certo, per chi ha saputo comprendere i movimenti di fondo della società e ha colto le cause segrete delle contraddizioni, viene facilmente superata ogni polemica di generazione. È il caso dei giovani che decidono coscientemente di essere dei militanti comunisti, e con questa scelta sanno di entrare in un movimento che ha radici lontane, che ha un suo patrimonio storico, che vuole fondere nella lotta le energie e le esperienze di generazioni diverse. Ma per la maggioranza dei giovani la rivolta comincia a manifestarsi nel nome del loro essere giovani, il contrasto fra il vecchio e il nuovo s’identifica con l’antagonismo delle generazioni. E allora, dietro il giovanilismo, dietro le forme di costume che i giovani si scelgono in polemica con tutte le convenzioni, vi può essere un contenuto positivo, un atteggiamento non solo superficiale. Sarebbe un errore rispondere con il rifiuto, con la critica sprezzante. Ma sarebbe un errore anche fermarsi alla tolleranza, alla generica comprensione, e accogliere nella vita del partito tutto quanto viene proposto da vari gruppi giovanili, senza setacciarne le idee, senza una discussione, senza la critica. Guai a noi se dovessimo nutrire sospetto per ogni forma di protesta (ci hanno tante volte accusati di essere un partito protestatario!); ma bisogna pur vedere come e contro che cosa si protesta.

Il problema può essere allora formulato in questo modo: in che direzione si muovono i giovani, di che cosa vanno prendendo coscienza, quale potrà essere il loro domani? I movimenti di protesta non sono una cosa di oggi, sono anzi un fenomeno ricorrente nella storia dalla società borghese e della sua decadenza. E questa protesta, proprio per il radicalismo che la contraddistingue, può percorrere due strade opposte. O rinuncia alla sua carica innovatrice, e accetta di essere una moda, oppure si evolve e conduce a una coscienza più ricca. Nella situazione di oggi, tutte e due le strade restano aperte. C’è il tentativo di trasformare la protesta giovanile in un’impresa speculativa su larga scala, e ci deve essere un’azione per impedire questa conclusione avvilente. A questo fine non serve il moralismo, che ridurrebbe più profondo il solco d’incomprensione e di sfiducia che separa parte della gioventù di oggi dai problemi della politica, e non serve la condiscendenza, che lascia le cose come stanno e non vede i problemi da affrontare e da risolvere.

Bisogna che il partito discuta con i giovani, e discuta con impegno, con serietà, riproponendo al dibattito e alla verifica quel patrimonio di idee che ci ha consentito finora di penetrare sempre più a fondo nel tessuto vivente della società italiana. E attraverso la discussione si potranno discernere, nel campo ancora confuso del mondo giovanile, le tendenze diverse e il loro significato. Credo che, nel vivo della discussione, appariranno, dietro l’uniformità esteriore degli atteggiamenti, posizioni diverse, livelli di coscienza differenti. C’è una larga parte della gioventù che ha bisogno di conoscere il partito, le sue idee, la sua organizzazione, per essere conquistata. E ci sono anche gruppi che nutrono verso il partito una diffidenza di fondo, che vogliono discutere per disorientare, che portano nel nostro movimento pregiudizi, sfiducia, spirito piccolo borghese. È necessario saper distinguere, e impedire che nella nostra discussione con i giovani vengano deformati i connotati del partito, venga lasciato crescere un clima dannoso di falsa tolleranza, di scarso impegno nella ricerca della chiarezza e dell’unità politica.

Siamo in presenza di una generazione che con più difficoltà può capire quale sia oggi il fronte della lotta, e che può essere condotta ad armarsi si contro falsi bersagli. Indirizzare la protesta nella direzione giusta, mostrare contro chi si deve lottare: è questo un problema che, nella sua semplicità, si presenta difficile, di non immediata comprensione. E se la protesta sbaglia il bersaglio ne nasce la sfiducia o la rabbia estremistica o la rinuncia. Non ci può essere per noi soluzione valida del problema dei giovani senza lavorare intensamente per la chiarezza politica, senza una discussione che sia per tutti impegnativa e faticosa.


Numero progressivo: G115
Busta: 7
Estremi cronologici: 1967, 17 marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Rinascita”, 17 marzo 1967