LA CITTÀ METROPOLITANA

Intervento di Riccardo Terzi

La città metropolitana prende finalmente forma dopo una lunghissima e tortuosa gestazione.

La nostra scelta è chiara: un sostegno totale al progetto, senza nascondere le numerose criticità, ma lavorando per superarle e per dare al nuovo organismo tutta la necessaria forza vitale.

L’Italia giunge in ritardo rispetto agli altri grandi paesi europei, ed è Milano soprattutto a soffrire per questo ritardo, perché qui è più evidente l’arretratezza istituzionale rispetto alla dinamica reale dei processi sociali ed economici.

È un fenomeno mondiale quello delle grandi concentrazioni urbane e questo processo, se non viene regolato, produce squilibri, disuguaglianze, fenomeni acuti di marginalità e di degrado.

Anche nell’area milanese sono evidenti i segni di una crescita sregolata, di una tumultuosa trasformazione che non ha trovato il suo punto di equilibrio.

I vecchi assetti istituzionali sono del tutto inadeguati, e la realtà di Milano si trova sbilanciata tra l’invadenza del potere regionale e la frammentazione degli enti locali.

Si è così aperto un vuoto (di potere, di governo politico, di amministrazione) e in questo vuoto sono le forze del mercato – legittime o illegali, produttive o speculative – che hanno determinato i ritmi e la qualità dello sviluppo, con l’effetto perverso di un gigantesco consumo di suolo, a scapito dei beni pubblici, e di una crescente sperequazione tra le aree pregiate e le aree periferiche.

C’è quindi la necessità di rimettere in equilibrio l’intero sistema territoriale, con l’obiettivo di dare vita a una struttura policentrica, dove in prospettiva perde di senso la stessa distinzione tra centro e periferia, perché le diverse funzioni sono tra loro integrate.

Ma in quale contesto istituzionale prende avvio l’esperienza delle città metropolitane?

In tutti questi anni abbiamo assistito ad una progressiva ricentralizzazione dei poteri e delle risorse, scaricando sulle autonomie territoriali tutti i costi del risanamento finanziario.

Non c’è un chiaro disegno riformatore, ma su tutto è prevalsa l’idea ossessiva della riduzione dei costi della politica, e questa impostazione di partenza ha finito per inquinare il dibattito su alcuni grandi nodi istituzionali: il superamento dell’attuale bicameralismo con la trasformazione del Senato, e il superamento delle provincie.

Se tutto ciò viene motivato solo in termini di risparmio economico, si finisce per mettere in ombra la necessità di un riordino complessivo e razionale delle nostre istituzioni. E proprio per questo si scatenano le reazioni di difesa corporativa.

Se non si chiarisce bene la traiettoria delle riforme istituzionali, anche le città metropolitane nascono in un contesto di ambiguità e di incertezza, non come una vera innovazione, ma come la ricaduta burocratica di una riforma improvvisata, con il rischio quindi di essere solo una replica delle vecchie province, con poteri confusi e con risorse scarse.

Il capitolo delle risorse è evidentemente decisivo, e tuttora irrisolto, non per costruire delle grandi macchine amministrative, perché non è questo il senso delle nuove strutture di governo, ma per poter svolgere con efficacia i loro compiti propri di pianificazione territoriale e di sostegno allo sviluppo locale.

Abbiamo scelto per questo nostro incontro tre parole chiave: territorio, progetto, partecipazione.

Il territorio metropolitano, che è il luogo di un’incessante e rapida trasformazione, si definisce proprio per il suo essere un territorio mobile, dai confini incerti e mutevoli, non riconducibili alle tradizionali unità amministrative.

Si capisce che si devono pur delimitare dei confini, ma che senso ha identificare la città metropolitana con il territorio della vecchia provincia?

Se partiamo dalle grandi funzioni strategiche (la mobilità, le infrastrutture, le politiche di sviluppo, il mercato del lavoro) dobbiamo necessariamente operare su una scala più larga, il che può essere fatto sia con un aggiustamento progressivo dei confini, sia anche con forme di collaborazione inter-istituzionale.

Ma forse era preferibile un processo inverso: prima definire le funzioni, e poi individuare l’area di riferimento più adeguata per queste funzioni.

Come è stato fatto, ad esempio, a Barcellona, con un approccio di tipo funzionale, che ha dato vita prima a organismi tecnici settoriali e solo in un secondo tempo, sulla base dell’esperienza svolta, ad un governo politico unitario.

Non è un ostacolo insormontabile, a condizione che sia chiaro dall’inizio che la città metropolitana ha senso perché ci sono “funzioni” metropolitane, oggi disperse in tanti rivoli, che occorre aggregare in funzione di un progetto.

In questo senso, la città metropolitana non è un “grande comune”, ma è una struttura di governo che sta ad un altro livello, quello appunto della programmazione strategica, lasciando alla rete dei comuni tutto il campo dei servizi alle persone.

E lo sbocco logico di questa impostazione dovrebbe essere anche il superamento dell’unità amministrativa del comune di Milano, con la trasformazione delle attuali circoscrizioni in vere e proprie municipalità.

Si rischia altrimenti una sovrapposizione confusa tra le due istituzioni, Comune di Milano e città metropolitana, con due sindaci tra loro in competizione.

E forse, proprio per questo, la parola “sindaco” non è quella più pertinente per designare la figura di vertice del governo metropolitano, e sarebbe bene evitare un eccesso di personalizzazione, per dare vita ad un “sistema di governo” che tiene insieme le diverse competenze.

Il “progetto” è il cuore pulsante da cui tutto il resto discende. Tutta l’attività di programmazione, nei diversi campi, su quali obiettivi, su quali traguardi di civiltà viene costruita?

Per ora possiamo dire solo alcune parole generiche, perché c’è tutta una discussione da fare, un intenso approfondimento programmatico da svolgere, con il concorso di tutte le forze vive della società civile: forze sociali, associazioni, centri di ricerca, sistema delle imprese.

Io indicherei per ora due bussole orientative.

La prima è la vocazione internazionale di Milano, il suo essere il tramite fondamentale delle relazioni con l’Europa e con il mondo, il luogo dello scambio, dell’integrazione, del confronto culturale.

In particolare è nel campo della ricerca e dell’innovazione che questa dimensione internazionale può meglio svilupparsi, offrendo una nuova prospettiva di crescita a tutte le nostre istituzioni universitarie e al sistema delle imprese, stando così dentro la globalizzazione non in modo passivo e subalterno, ma con un’iniziativa e con un progetto.

In secondo luogo Milano deve recuperare la sua vocazione sociale, e porsi con grande forza il problema della coesione, della solidarietà, del contrasto alla povertà e alle disuguaglianze.

Anche questo, a nostro giudizio, è un asse strategico su cui la città metropolitana deve misurarsi, attivando in questa direzione nuove risorse, pubbliche e private, per costruire una comunità nella quale siano effettivi per tutti i fondamentali diritti di cittadinanza, a partire dal diritto al lavoro. Infine, la partecipazione.

Nel momento in cui tutto il rapporto tra società civile e istituzioni è entrato drammaticamente in crisi è urgente ricercare nuove vie, nuove forme di democrazia organizzata.

Non possiamo ridurre la democrazia al suo momento procedurale, al formalismo delle regole, e soprattutto dobbiamo offrire ai cittadini la possibilità di decidere non solo il chi ma il che cosa, non solo il leader ma il progetto.

Questo problema non si risolve con l’elezione diretta e con il meccanismo delle primarie, perché qui restiamo pur sempre all’interno di una competizione tutta interna alle oligarchie politiche. Diventano allora decisivi due temi, tra loro connessi, sui quali ci sono nello Statuto approvato per la città metropolitana di Milano alcune importanti indicazioni.

Il primo riguarda la sperimentazione di nuove forme di democrazia diretta, sottoponendo ai cittadini, sulla base di un dibattito pubblico trasparente, tutte le scelte più rilevanti che incidono sull’assetto del territorio e quindi sulla qualità della vita collettiva.

Il secondo aspetto è quello del coinvolgimento nel processo decisionale e nelle scelte politiche di governo di tutti i corpi sociali intermedi, perché solo così, con una mobilitazione democratica di tutto ciò che c’è di vivo nella società civile, prende davvero corpo la dimensione metropolitana, come luogo di una cittadinanza attiva e di una partecipazione consapevole. Il “Forum della società civile”, previsto nello Statuto, può essere lo strumento, a condizione che non si tratti solo di qualche operazione di facciata, ma di un nuovo stile di governo, fondato su una rete forte e continua di relazioni, di confronti, nell’autonomia reciproca, ma nella ricerca costante di possibili punti di convergenza e di condivisione.

Per quanto ci riguarda, noi eserciteremo fino in fondo il nostro ruolo di vigilanza democratica e di stimolo propositivo, nella convinzione che entriamo, con la costituzione della città metropolitana, in una fase nuova, e che non possiamo lasciar morire questa nuova grande occasione, per un risveglio democratico e civile e per aprire la stagione di un nuovo sviluppo.


Numero progressivo: C27
Busta: 3
Estremi cronologici: [2015?]
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -