LE RADICI DEL FUTURO

Convegno Sassari 18 gennaio 2008

Intervento di Riccardo Terzi al convegno in memoria di Paolo Polo

Questa iniziativa, in memoria di Paolo Polo, mi coinvolge sul piano personale ed emotivo, perché Paolo era una delle poche persone con cui posso dire di avere avuto un vero rapporto di amicizia. Amicizia è una parola spesso abusata e svuotata di senso. Sembra oggi prevalere una fraternizzazione superficiale: si esibisce una vicinanza, ma si resta sostanzialmente estranei. Occorre invece saper tenere le distanze, e fare, quando ne vale la pena, il lavoro faticoso per superare questa distanza e per conquistare, gradualmente, un rapporto di fiducia.

È questo, dell’amicizia, un antico tema filosofico. Dove si produce amicizia, tra diversi o tra simili? Io credo che siano necessari l’uno e l’altro elemento, una certa affinità spirituale, ma anche una dialettica, un contrasto, per cui si sviluppa un confronto non ripetitivo, in cui ciascuno si misura con l’altro.

Per Paolo era proprio questo l’elemento essenziale, la rete delle relazioni, la qualità dei rapporti umani. E credo di poter leggere così, con questa chiave di interpretazione, la sua stessa vicenda politica. Era comunista, non per dottrina, non per dogmatismo, ma perché il PCI ha rappresentato per lui, come per tanti altri, una comunità, uno spazio collettivo, nel quale era possibile dare un senso più ricco e più pieno alla propria identità personale, allargando le proprie relazioni e superando così le proprie angustie individuali. Paolo viene giovanissimo a Milano, un po’ spaesato, e il partito è il luogo della sua formazione, della sua crescita, fino ad assumere ruoli importanti di direzione, nella FGCI di Milano, in quella nazionale, e poi tornando a Sassari come segretario provinciale. È la storia di molti, la storia di chi nella politica, intesa così, come passione civile che ci accomuna, trova una identità, un senso, una ragione di vita.

Ma ogni comunità ha sempre due facce, una accogliente e una oppressiva, e occorre stare in guardia e cercare di salvaguardare il bene prezioso della nostra autonomia. In altre parole, la comunità è il contesto necessario nel quale ci troviamo ad agire, ma non deve essere una dimensione esclusiva e totalizzante nella quale lasciamo che si esaurisca la nostra vita. Sta qui, a me pare, in questa dialettica di libertà individuale e comunità, la ragione della rottura che a un certo punto si determina nella sua storia politica. La sua adesione fiduciosa alla comunità viene messa in crisi dalla rivelazione di quel sottofondo di competizione individuale, di intrigo, di manovra, che entra sempre in gioco quando si tratta dell’accesso al potere, piccolo o grande, vero o anche solo apparente. La comunità rivela così il suo lato oscuro, che occorre saper tenere sotto controllo, ma spesso finisce per essere il lato vincente, e allora accade che molte energie vitali vengano sacrificate, che la gerarchia dei valori venga sovvertita.

Ancora una volta, possiamo dire che la storia di Paolo è la storia di molti, di tutti quelli che non si sono adattati al gioco brutale del potere. A me importa qui mettere in evidenza il lato umano, esistenziale, di questa vicenda. Non è la storia di un dissenso politico, ma è la rottura delle relazioni umane, la scoperta che queste relazioni sono avvelenate, inquinate. Da qui viene una profondissima amarezza e disillusione, che gli è rimasta dentro, fino all’ultimo. Con ciò, nonostante questa lacerazione, non finisce certo la passione politica, ma finisce quell’idealismo un po’ ingenuo che ha nutrito la nostra giovinezza.

Nel nostro rapporto di amicizia, non era però questo il punto essenziale, non era il risentimento, lo sguardo sul passato. Cercavamo piuttosto di guardare oltre, di vedere quali nuove strade percorrere, quali progetti, quali orizzonti possibili, ciascuno col suo particolare temperamento, io più freddo e realista, Paolo più visionario e inventivo. L’idea comune è che la politica, nel suo significato più ampio e universale, non è né l’utopia, l’immaginazione dell’impossibile, né l’adattamento pragmatico allo stato di cose esistente, ma è invenzione, apertura verso nuovi tentativi, verso nuovi cammini possibili. Utopia e pragmatismo sono le due facce della morte della politica. E spesso si produce una commistione di questi due elementi, in quanto l’utopia è solo la maschera che copre una politica opportunistica. Ecco allora i professionisti dell’utopia, che sono forse i peggiori. Oggi, la politica cosa è, cosa sta diventando? Mi piacerebbe di nuovo, su questo tema, poter conversare con Paolo, interagire con lui, e cercare di vedere le diverse facce del problema. C’è un tramonto della politica? O si tratta solo di un passaggio, di un mutamento che è necessario? Probabilmente è la seconda risposta quella più corretta, ma per dare davvero attuazione a questo mutamento è necessario che si recuperi una vera capacità di pensiero. Quando invece si dice: siamo post-ideologici, ciò significa solo che non c’è più nessuno spazio per la progettazione politica, e resta solo il gioco delle convenienze. Recuperare la dimensione politica vuoi dire recuperare il progetto, la capacità di “guardare oltre”, nella convinzione che non ci sono mai situazioni chiuse, bloccate, ma è sempre possibile sperimentare cose nuove.

Paolo era pessimista, ma non disperato, amareggiato e inquieto, ma deciso a guardare avanti, a dare un senso al proprio futuro. Non era un nostalgico, un passatista, anche se aveva un senso della vita, del suo ritmo, di ciò che in essa è davvero importante, assai lontano dai ritmi frenetici delle nostre società competitive. E in questo c’era tra noi una totale sintonia. Era stato affascinato da Lisbona, una città all’antica, con uno stile di vita sobrio, con un ritmo lento, e sognava di finire lì la sua esperienza di vita. Ecco un problema per lui mai del tutto risolto: dove stare, dove sono le radici. A Milano si sentiva sardo, in Sardegna milanese. C’era in lui, evidentissimo, lo spaesamento, lo sradicamento, non il cosmopolitismo, ma il non sapere più dove stanno le radici. È anche questo un aspetto della nostra crisi attuale, per effetto di una globalizzazione che travolge le identità tradizionali, per cui ci troviamo come sospesi tra l’appartenere al mondo e il rifugiarci nella piccola e chiusa identità del localismo. E all’inquietudine dello spazio si accompagna l’inquietudine del tempo, la difficoltà di trovare un equilibrio tra passato e futuro, il rischio di smarrire la memoria, e il rischio opposto di vivere solo nella memoria, inchiodati alle proprie radici.

Tutta questa incertezza, che è tipica della nostra modernità, si manifestava in Paolo come una permanente tensione esistenziale, data la sua forte sensibilità emotiva. Ma è questo un problema che riguarda ciascuno di noi, per dare un senso alla vita, per raggiungere una condizione di equilibrio e di saggezza. La saggezza non è la rinuncia, o l’indifferenza, ma la capacità di restare sempre aperti al nuovo, aperti alle diverse verità possibili, con partecipazione e insieme con distacco. Partecipazione e distacco, possono stare insieme? Questa è la difficoltà: mantenere intatti tutti gli stimoli vitali, ma nello stesso tempo non farci mai pienamente coinvolgere. In Paolo c’era forse un eccesso di partecipazione, di coinvolgimento emotivo. Ma sono sicuro che avrebbe trovato infine il suo equilibrio, perché non si accontentava mai della mediocrità, ma cercava il meglio, e chi cerca il meglio, chi cerca l’autenticità della vita, è già sulla strada giusta per raggiungere l’obiettivo. Io l’ho incontrato più volte in questo cammino, in diversi momenti, e oggi – vi ringrazio per questo – mi avete costretto a fare con me stesso un’operazione di verità e di sincerità, vincendo le chiusure del mio carattere. Ed era appunto la sincerità e la fiducia reciproca la chiave della nostra amicizia.


Numero progressivo: L42
Busta: 9
Estremi cronologici: 2008, 18 gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Cultura -