[L’IDENTITÀ DELLA SINISTRA]

Intervento di Riccardo Terzi decontestualizzato

Il nuovo anno non sembra avere schiarito l’orizzonte della sinistra. Si è cominciato male. Gli ottanta anni dalla fondazione del PCI potevano essere l’occasione per un bilancio, per una riflessione storica, per tentare un riposizionamento politico e teorico, così da presentarsi al prossimo appuntamento elettorale con una identità minimamente riconoscibile.

Nulla di tutto ciò è avvenuto.

Il maggior partito della sinistra, che dovrebbe essere l’erede legittimo di quella storia, ha scelto, ancora una volta, la strada della rimozione, dell’oblio, fingendo pudicamente di essere nato da una cicogna liberal-democratica.

E i due partiti che si dichiarano tuttora comunisti, più per testardaggine che per coerenza, hanno colto l’occasione per uno scambio fraterno di insolenze.

Nel campo del socialismo italiano le cose non vanno meglio. A Milano un congresso di rifondazione del PSI applaude con entusiasmo un affarista miliardario che dichiara, con la tipica arroganza paternalistica dei potenti: mi impegno io a riportarvi in Parlamento.

Il socialismo era l’espressione politica delle classi subalterne. Ora, nella nuova versione di Martelli e De Michelis, è solo il cameriere della villa di Arcore.

La storia politica della sinistra viene così completamente annullata, travisata, caricaturizzata, tra dimenticanze e improbabili resurrezioni, tra chi finge di non avere un passato e chi finge di avere un futuro.

L’identità di un movimento politico è il punto di congiunzione tra tradizione e progetto, tra passato e futuro, ed è proprio questa dimensione storica concreta che la sinistra ha smarrito. Oggi sembra esserci solo l’appiattimento sul presente, la politica del giorno per giorno.

I DS hanno scelto come loro carta d’identità la totale indeterminatezza, mentre altri fingono una robustezza ideologica che è ormai solo un espediente per sopravvivere. In entrambi i casi la sinistra non fa presa sulla realtà, perché non ha una teoria per interpretarla.

E allora, che fare? Una possibile risposta, giusta ma insufficiente, è di carattere storico: l’identità della sinistra è nella sua storia, nella realtà concreta di un processo storico-politico che ha segnato in profondità le società dell’Occidente, determinando un nuovo punto di equilibrio tra democrazia e capitalismo, tra Stato e mercato.

Ciò significa, in Italia, riconoscere tutto il valore dell’esperienza politica del PCI, come grande forza democratica e nazionale.

Con questo approccio storicistico ci si sbarazza, giustamente, di quella sinistra velleitaria che pensa di rinascere dalle ceneri del passato, per andare sempre oltre, verso l’ignoto o più probabilmente verso il nulla.

Ma il socialismo, in tutta la storia del Novecento, non è solo movimento reale, è anche progetto, ideologia, finalizzazione di tutto l’agire politico ad un modello sociale idealizzato.

L’idea di fondo è la regolazione politica della società, la costruzione di un nuovo potere statale che si sostituisce all’ economia di mercato, e proprio qui, in questo nocciolo teorico del pensiero socialista, si è aperta una crisi profonda, perché è storicamente provato che il dominio della politica non libera la società, ma la asserve a un nuovo dispotismo.

C’è dunque una crisi teorica, perché non è più chiaro il punto di arrivo, l’obiettivo, il progetto di società. La sinistra italiana di questa crisi teorica non sembra volersene occupare, per vecchio dogmatismo o per rinuncia.

Ma è un punto politico essenziale, perché un grande movimento collettivo non si mette in moto e non si sviluppa se non c’è un’idea-forza, un obiettivo storico in vista del quale assumono un loro preciso significato tutti i passaggi intermedi, i movimenti parziali, le oscillazioni sempre incerte e provvisorie dei rapporti di forza.

In questo senso, l’ideologia è il sostrato necessario della grande politica.

Non è vero solo per il passato, perché oggi, a ben guardare, la forza della destra è il risultato di una efficace offensiva ideologica.

Per questo, la crisi teorica ci riguarda così da vicino. Per questo, anche, non possiamo trovare nella storia passata del nostro movimento una risposta a questo interrogativo, un modello da riattualizzare, perché quel particolare impasto, che si era realizzato nel PCI, di finalismo storico e riformismo concreto, di ideologia e di duttilità tattica, si è sfaldato di fronte alle prove della storia.

Le ragioni della sinistra, dunque, devono essere rifondate, e lo si può fare ripartendo non dalle risposte della teoria socialista, ma piuttosto dalle domande, ovvero dal tema tuttora drammaticamente attuale dell’eguaglianza.

Se le risposte hanno fallito, le domande sono ancora tutte lì, irrisolte e ingigantite dagli effetti della globalizzazione, dalla progressione impressionante delle disuguaglianze, della negazione dei diritti, della precarietà come normale condizione di vita, così che il mondo attuale si configura sempre più come il dominio dell’insicurezza.

Nel mondo globalizzato, la sinistra può essere oggi, realisticamente, l’organizzazione su scala globale di un’azione coordinata per l’uguaglianza e per i diritti, può essere il punto di coagulo di una pluralità di movimenti, di culture, di soggetti sociali che si vanno organizzando.

Non più affidandosi al primato della politica, al dirigismo statalistico, ma organizzando un nuovo campo di conflitto, e dando voce politica e rappresentanza sociale ai soggetti che nel mondo globale sono spinti verso un destino di emarginazione.

In questa ottica, è del tutto priva di senso la teoria, bertinottiana e veltroniana, delle due sinistre: una sinistra alternativa e una di governo. Questa teoria significa che l’alternativa è velleitaria e impotente, e che il governo non può che essere l’accettazione degli equilibri dati.

La dimostrazione pratica l’abbiamo avuta nella guerra dei Balcani: la sinistra che protesta, e la sinistra orgogliosa della sua prova di responsabilità e del suo prestigio internazionale. Le due sinistre sono entrambe perdenti, per opposti motivi, ed entrambe poco attrattive, perché destinate l’una alla marginalità, l’altra all’immobilismo.

È un tema attuale, in vista delle prossime elezioni, ed in presenza di una destra politica che sta organizzando con efficacia il suo blocco sociale e anche, contestualmente, il suo armamentario ideologico.

La riapertura del dialogo a sinistra, di una ricerca comune di fronte alle sfide del nostro tempo, è una necessità assoluta. Se gli attuali gruppi dirigenti della sinistra non lo capiscono, dovremo rassegnarci a cambiarli.



Numero progressivo: H2
Busta: 8
Estremi cronologici: 2001
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -