MILANO: PROFILO DEL NEOCAPITALISMO
di Riccardo Terzi
Uno dei compiti fondamentali della politica è quello di far venire alla luce i movimenti di fondo della società, le cause segrete che stanno alla base di tutto ciò che ci appare nella vita di ogni giorno.
Ora, la realtà di Milano, nella quale ci troviamo ad agire, richiede che questo lavoro di chiarimento e di analisi critica non venga mai messo in disparte o dimenticato.
Milano è la città dove il capitalismo ha raggiunto il suo livello più avanzato, e questa grande città moderna, con la sua vita intensa e col suo traffico, coi grattacieli e con le vetrine lussuose del centro, può colpire l’immaginazione e far dimenticare la realtà sociale drammatica che sta dietro alla superficie.
Qualche anno fa, quando si profilava la linea del centro-sinistra, era di moda teorizzare sul neo-capitalismo, che avrebbe risanato le antiche piaghe sociali e avrebbe garantito un diffuso benessere. E l’ala destra del movimento operaio, presa come da un senso d’impotenza di fronte a questa prospettiva, non trovava di meglio che inserirsi in questo processo di ammodernamento, con l’illusione che solo così la classe operaia potesse ormai far sentire il suo peso.
Nuove forme di sfruttamento
Questi miti e queste illusioni hanno trovato la loro smentita non solo nell’arretratezza del Sud, che continua a provocare miseria ed emigrazione, ma anche nel cuore delle città industriali, nelle quali lo sfruttamento prende forme nuove, ma non certo meno pesanti.
E torniamo a Milano. È questa forse la città che ha sanato le più ingiuste diseguaglianze, la città del neo-capitalismo?
Qui la divisione di classe è tanto poco risolta, che la classe lavoratrice viene sempre più spinta fuori della città, nei quartieri della periferia, nei centri della provincia. E insieme con la classe operaia si spostano le fabbriche, e nascono così intorno alle fabbriche i quartieri “popolari”, fatti soltanto di grandi caserme affollate.
Il centro di Milano è ormai soltanto il luogo della vita parassitaria: gli uffici amministrativi delle grandi aziende, le sedi della burocrazia, i grandi magazzini e le abitazioni dell’alta borghesia. Un centro deturpato dalla moderna speculazione e reso impraticabile dal traffico caotico.
Per la gloria del profitto
Per capire la realtà sociale di Milano bisogna esaminarne insieme tutti gli aspetti, e si avverte allora la profonda miseria di questa capitale del capitalismo, che innalza grattacieli solo per la gloria del profitto e che esclude dai propri disegni tutto quanto riguarda le esigenze umane della massa dei lavoratori.
Che ruolo viene affidato alla classe operaia? Nelle fabbriche domina oggi, come sempre, il dispotismo personale del padrone; e fuori dalla fabbrica, nei quartieri, non v’è nessuna forma di vita collettiva e democratica che consenta ai lavoratori di esprimersi come forza politica.
Solo nelle organizzazioni di classe, nei sindacati operai e nel partito politico, i lavoratori trovano la via della loro emancipazione: la lotta di classe è l’unico atto di libertà possibile.
Nei partiti della borghesia gli operai sono soltanto massa di manovra; nella vita culturale della città riescono ad essere, nel caso migliore, degli spettatori; alla scuola possono accedere con grandi sacrifici personali ed imparano a svolgere meglio la loro funzione di salariati.
Più netta divisione di classe, più esteso sfruttamento sociale non può darsi che in una società capitalistica ancor più sviluppata. Più il capitalismo procede nella sua espansione e razionalizza le sue energie, più diventano insopportabili e umilianti le condizioni di vita del popolo.
Nell’ingranaggio dello sfruttamento capitalistico si trovano coinvolte sempre nuove forze sociali, dagli immigrati che hanno lasciato la campagna per entrare nella moderna azienda industriale ai tecnici che nel processo produttivo si trovano ormai a svolgere funzioni del tutto subalterne. Il dominio dei gruppi monopolistici si allarga e travolge tutte le forme autonome di resistenza che hanno finora potuto conservarsi. I monopoli controllano gli organi di stampa, la vita associativa delle masse, i servizi sociali.
Offuscamento della coscienza
Tutta questa situazione, con il carico pesante di disagi morali e di sacrifici materiali che comporta, sarebbe insopportabile se non intervenisse l’azione ideologica, l’opera lenta e continua di offuscamento della coscienza di classe.
La classe dominante si serve di tutti i mezzi possibili per far sì che possa sembrare atto di libertà la sottomissione cieca alla legge del profitto privato.
Ecco che allora i giornali pagati dal padronato diventano “giornali indipendenti”, il crumiraggio diviene un diritto democratico, la corsa sfrenata ai consumi imposti dallo sviluppo monopolistico (basti pensare al mercato dell’automobile) sembra essere una libera scelta del consumatore. È con questo metodo, col metodo della falsificazione e dell’inganno ideologico, che la società dello sfruttamento di massa finisce per essere presentata come “la società del benessere”.
La protesta giovanile
La vecchia tradizione socialista, superficiale nella sua analisi e debole nei suoi obiettivi di lotta, non ha saputo reggere al confronto con la moderna ideologia capitalistica, e si è accontentata di questa parvenza di benessere, rinunciando ai valori e alle prospettive rivoluzionarie da cui traeva forza l’esperienza del movimento operaio.
Oggi a Milano vi è un forte partito socialdemocratico che ripete in modo stanco le vecchie formule del socialismo e lavora per svigorire la protesta e la lotta della classe operaia. Ma la protesta non si è spenta e si ripresenta in forme nuove, anche se spesso immature.
Un profondo disagio morale serpeggia nelle forze cattoliche più sensibili, colpite dal vuoto ideale e dallo squallore di questo falso benessere. I cattolici che hanno creduto nei principi di libertà proclamati dal capitalismo cominciano ad avvertire quanto fosse strumentale ed insincera la propaganda anticomunista e vedono con preoccupazione il pericolo che la Chiesa stessa sia coinvolta in questo processo di degenerazione di tutta l’ideologia borghese.
Gruppi di giovani scelgono la strada del rifiuto, della protesta, e, pur nella carenza di prospettive, si prendono il compito di provocare la pubblica opinione, di sollevare nuovi problemi.
E i militanti socialisti si domandano se davvero non ci sono altre alternative, se qualcosa non è andato perduto della passione politica e della coerenza ideale che animava il movimento socialista negli anni della sua formazione e negli anni della lotta antifascista. Atteggiamenti di protesta e senso di disagio che debbono ancora maturare, e che potranno maturare per la spinta delle cose e per l’azione politica dell’avanguardia operaia impegnata nelle file del Partito Comunista. Il compito dei comunisti non è facile: bisogna vincere la sfiducia e le impazienze, bisogna organizzare in una lotta consapevole quello che oggi è soltanto inquietudine e malessere.
Socialismo sbocco reale
A questa azione dobbiamo andare con intelligenza, cercando di capire e di orientare, e con la convinzione che ogni sforzo val la pena di essere compiuto, perché si tratta di una lotta decisiva, contro la sostanza stessa della società capitalistica.
Al senso di impotenza bisogna opporre la fiducia nella lotta, alla via dell’individualismo bisogna opporre la lotta di massa, alla protesta generica bisogna sostituire l’azione politica organizzata.
Bisogna dimostrare la necessità e la possibilità del socialismo, e far sentire alle masse che il socialismo non è un ideale lontano, ma è l’unico sbocco reale alle aspettative e ai problemi di oggi.
Busta: 7
Estremi cronologici: 1967, marzo
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “La nostra lotta”, marzo 1967