PERCHÉ È IN CRISI PALAZZO MARINO

Milano: una logica che appare in contraddizione con gli sviluppi nazionali

di Riccardo Terzi

Si vuol fare della città un banco di prova per la teoria dell’omogeneizzazione della maggioranza negli enti locali rispetto alla schieramento di governo. Inaccettabile il metodo di una trattativa alle spalle delle forze politiche cittadine. Il ruolo svolto dai repubblicani. Gli equivoci della sinistra DC

 

La crisi che ha investito l’amministrazione comunale di Milano non è di facile comprensione, in quanto essa si muove in una logica che appare contraddittoria rispetto agli sviluppi della situazione politica nazionale. Proprio nel momento in cui si e compiuto, su scala nazionale, un cambiamento politico che ha condotto alla liquidazione dell’operazione centrista, e si è affermato nella Democrazia Cristiana, vincendo notevoli resistenze interne, un orientamento nuovo, a Milano la situazione politica si viene invece deteriorando, e i gruppi dirigenti della DC, sinistra compresa, hanno assunto, nei confronti dei partiti alleati, un atteggiamento integralista e ricattatorio, che fa pesare, sulla compagine di centro sinistra, una ipoteca conservatrice.

Si ha quindi l’impressione di un improvviso rovesciamento di fronte: mentre nel recente passato la DC milanese si è collocata indubbiamente su posizioni più avanzate, contribuendo, insieme con le altre forze democratiche, a respingere e sconfiggere le gravi manovre reazionarie che proprio a Milano hanno avuto lo sviluppo più insidioso, ora sembra piuttosto che la DC milanese si muova a rimorchio delle forze conservatrici e si collochi, rispetto alle conclusioni del XII Congresso della Democrazia Cristiana, su una linea arretrata e frenante.

È esatta questa impressione? È giusto dire che la DC va a sinistra a livello nazionale e va invece a destra nella realtà milanese? Impostando così la questione, non coglieremmo appieno tutti gli elementi dell’attuale situazione. Anzitutto, occorre non dimenticare che nella nuova linea politica della DC è presente anche, soprattutto nell’impostazione di Fanfani, il tentativo di reimpostare i rapporti con il PSI sulla base di una accresciuta forza contrattuale, di uno spiccato senso del ruolo egemone che spetta alla Democrazia Cristiana, e sotto questo profilo l’esperimento andreottiano non viene rinnegato, ma piuttosto viene utilizzato come arma di ricatto, come dimostrazione pratica della libertà di movimento della DC, della reversibilità delle sue alleanze, del ruolo subalterno che quindi spetta agli alleati di governo. L’apertura della crisi a Milano può allora intendersi come un momento di questa linea, come un’iniziativa volta a consolidare le posizioni della DC. I dirigenti milanesi democristiani, infatti, hanno ricevuto, dalle consultazioni avvenute presso la direzione del loro partito, soltanto l’invito ad una maggiore prudenza, per evitare che la crisi milanese fosse di ostacolo alla formazione del nuovo governo, ma non certo una sconfessione della loro linea di condotta, La preoccupazione del centro del partito era quella di non dare alla crisi un significato che uscisse fuori dal quadro del centrosinistra, di non dare spazio alle velleità di rivincita del centrismo andreottiano, presenti anche a Milano in alcuni gruppi non irrilevanti della DC, di inquadrare quindi la crisi milanese entro la linea generale che è stata assunta dal partito democristiano.

In questo senso, non mi pare si possa avvertire una vera e propria contraddizione, tra la situazione milanese e quella nazionale, in quanto la scelta del centrosinistra significa per la DC anche la scelta di un rilancio del suo ruolo dirigente, la riaffermazione netta della sua funzione “centrale” nel sistema politico del nostro paese. E questo “spirito di partito”, che spesso dà luogo a manifestazioni di integralismo e di arroganza, lo si ritrova in tutte le componenti della DC, al di là delle loro diverse posizioni politiche e ideali.

La crisi di Milano ha origine in primo luogo in questa volontà di egemonia e di potere, che non ha potuto finora realizzarsi in modo incontrastato, che ha trovato una resistenza nell’insieme della realtà politica milanese. In realtà, le posizioni di potere della DC sono, a Milano, al di sopra di quella che è la sua forza elettorale; ma la Democrazia Cristiana è abituata ad avvalersi di alleati servili, subalterni, e non ha quindi tollerato che da parte del PSI, e del sindaco socialista, venissero assunte iniziative politiche autonome, stabilendo spesso anche un rapporto con l’opposizione comunista. È stata sufficiente la pubblicazione di un comunicato congiunto delle due segreterie cittadine, comunista e socialista, attorno ai problemi del decentramento amministrativo, per scatenare l’offensiva democristiana, che ha voluto vedere pretestuosamente in questo fatto un ribaltamento delle alleanze e un offuscamento della linea di demarcazione che divide la maggioranza dalle forze della opposizione.

Sollevando il problema della “delimitazione della maggioranza”, la DC intendeva quindi mettere in discussione la direzione socialista dell’amministrazione comunale ed avanzare una propria candidatura. Naturalmente una tale richiesta non poteva che insabbiare le trattative, ed allungare il tempo della crisi. La DC si è così assunta la responsabilità grave di creare una situazione di marasma e di paralisi, senza indicare una via d’uscita, e non vi è dubbio che alcune forze all’interno di quel partito hanno puntato coscientemente su questa prospettiva. Entro la fine del mese di luglio venivano a maturazione nel consiglio comunale alcune importanti scadenze, e probabilmente i motivi della crisi vanno ricercati anche in questa direzione. Anzitutto, si trattava di varare la seconda fase del decentramento amministrativo, assegnando nuovi poteri e funzioni ai consigli di zona, i quali già in questo periodo, pur privi di poteri effettivi, hanno condizionato l’attività dell’amministrazione comunale, hanno saputo intervenire in alcuni settori decisivi, in particolare nel campo dell’urbanistica, e hanno costituito un punto di riferimento per i movimenti di lotta che si sono creati nei quartieri della città e che hanno strappato alcune importanti conquiste. È comprensibile che le forze conservatrici, largamente presenti all’interno della DC milanese, siano interessate a scoraggiare questa esperienza, ad impedire che i consigli di zona assumano una più rilevante ed efficace funzione, Non era tuttavia possibile, per la DC, prendere apertamente posizione contro lo sviluppo del decentramento amministrativo, perché una tale linea sarebbe stata contrastata aspramente anche all’interno del partito, e perciò si è seguita una via tortuosa, esasperando tutti i motivi anche secondari di contrasto con i socialisti, e provocando infine la crisi della maggioranza, scegliendo come pretesto proprio quel documento unitario del PSI e del PCI sui problemi del decentramento.

La crescita di attività democratica nei quartieri che si è verificata negli ultimi anni ha creato non poche difficoltà per la DC, e ha aperto anche al suo interno delle contraddizioni profonde. Quando si realizzano, nei consigli di zona, significative convergenze unitarie di tutte le forze democratiche, quando avviene che le proposte dei comunisti sono accolte dall’intero schieramento politico e divengono la base su cui si costruisce un movimento di lotta, allora, è evidente, i gruppi dirigenti della DC vedono messa in pericolo la propria capacità di controllo della situazione, e le stesse correnti di sinistra vedono con preoccupazione il fatto che il decentramento acquista un mordente e una incisività che vanno oltre le teorie fumose sulla “democrazia partecipata”. Vi è un secondo problema che merita di essere ricordato: il consiglio comunale di Milano aveva deciso di aprire una indagine sulla gestione della metropolitana milanese, di cui è consigliere delegato l’avvocato Salvini, esponente di primo piano della destra democristiana. I risultati di questa indagine, dovevano, appunto, essere portati in consiglio nel corso del mese di luglio, e da questi risultati emergeva chiaramente la anormalità della situazione esistente nella MM, sia per i gravi abusi di potere che erano stati commessi, sia per la mancanza di un rapporto corretto con il consiglio comunale, per la natura di “corpo separato” che la MM ha assunto, rendendo così impossibile una seria programmazione della politica dei trasporti.

La Democrazia Cristiana ha usato tutte le pressioni possibili per snaturare le conclusioni cui era giunta la commissione consiliare, ha cercato di imporre al partito socialista un atteggiamento di capitolazione e di compromesso, incontrando però una ferma resistenza, ha costretto i propri rappresentanti a dissociarsi dalle conclusioni dell’indagine, facendo loro compiere una repentina inversione di rotta. La questione scottante della MM, attorno alla quale si è aperto anche un procedimento giudiziario, non è certo estranea alla crisi del comune di Milano, essendo in questione uno dei centri di potere della DC, e verificandosi, in questa come in altre circostanze, una solidarietà di partito che supera i dissidi di corrente. Occorre inoltre ricordate che nel gruppo consiliare democristiano le forze di destra hanno una posizione maggioritaria, che il capo gruppo è quel De Carolis, animatore delle marce silenziose, protagonista dell’agitazione reazionaria contro gli “opposti estremismi”, avversario coerente di ogni processo di unità democratica.

Può stupire, piuttosto, il fatto che le correnti di sinistra non abbiano saputo sottrarsi alla manovra che ha condotto alla crisi, e abbiano lasciato che l’iniziativa della DC si sviluppasse secondo una logica di destra egemonizzata dalle correnti conservatrici. Si tratta di un errore di miopia politica, o invece la stessa sinistra democristiana è così profondamente compromessa nell’attuale sistema di potere da non disporre più di una capacità autonoma di iniziativa politica? Probabilmente agisce sia l’uno che l’altro elemento. Resta il fatto che le correnti di sinistra non hanno contrastata l’operazione crisi, e non hanno saputo dirigerla, lasciando spazio all’agitazione antisocialista e a tutte le pericolose manovre dilatorie.

Noi non consideriamo certo chiuso il discorso con le forze progressiste della Democrazia Cristiana, ma siamo altrettanto convinti che questo discorso presuppone una lotta ferma contro ogni atteggiamento di prepotenza e di integralismo, che occorre costringere la Democrazia Cristiana a un rapporto politico corretto, corrispondente ai reali rapporti di forza. L’iniziativa della DC non ha incontrato, finora, condizioni favorevoli, anzi il partito di maggioranza relativa si è trovato in una posizione di isolamento, solo in parte mitigata dall’apporto del partito repubblicano, che ha svolto e svolge a Milano una funzione di coagulo indiscriminato delle varie spinte conservatrici e che ha condotto nei confronti della giunta di centro sinistra una opposizione di destra. È indicativo, invece, che gli stessi socialdemocratici abbiano giudicato negativamente la linea scelta dalla DC, considerando pretestuosa l’apertura della crisi, grave il pericolo di paralisi che pesa sull’attività dell’amministrazione comunale, inopportuna la richiesta avanzata dalla DC, contro gli accordi stipulati nel ‘70, di rimettere in discussione la carica del sindaco. La Democrazia Cristiana ha quindi tirato troppo la corda e si presenta pertanto la possibilità che la crisi abbia uno sbocco ben diverso da quello che era nelle sue previsioni, Non è ancora possibile, al momento attuale, prevedere con chiarezza gli sviluppi politici dei prossimi giorni. Si possono fare tre ipotesi. La prima è che il tutto venga rinviato all’autunno, lasciando così aperta la situazione di crisi e paralizzando l’attività dell’amministrazione comunale, ed è questo l’obiettivo cui tendono le forze di destra, interessate ad aggravare la situazione, e forse anche propenso all’eventualità di uno scioglimento anticipato del consiglio comunale. La seconda possibilità è che venga raggiunto un accordo per la formazione di una nuova giunta di centro sinistra, che non porrebbe discostarsi sensibilmente, nella composizione e nei programmi, da quella precedente. Infine, è possibile convocare il consiglio comunale e portare in quella sede il dibattito politico, verificando anche la possibilità di soluzioni politiche di tipo nuovo.

Ciò che però interessa, in questa sede, è piuttosto il giudizio di fondo e l`individuazione delle prospettive. Il centrosinistra, a Milano come in numerosissime altre città, soffre ormai di una crisi cronica, invischiato nelle sue interne contradizioni e incapace di far fronte, con il respiro necessario, ai problemi che si pongono nella società moderna, Il bilancio del centro sinistra milanese non è certo incoraggiante, e la crisi attuale non ha un carattere episodico, non è un momentaneo intralcio che può essere facilmente rimosso, ma è invece il segnale che indica una situazione generale di inadeguatezza, di ritardo rispetto alle esigenze della città, di logoramento dei rapporti politici.

La questione da affrontare è quindi quella di una prospettiva politica nuova, la quale non può costruirsi senza un mutamento profondo sia nei metodi di gestione del potere, sia nei rapporti tra le forze politiche, il che richiede necessariamente il riconoscimento del ruolo insostituibile del nostro partito. Qualche passo in questa direzione può essere fatto, fin da ora, se le forze democratiche e di sinistra non si lasciano imprigionare nella manovra conservatrice e passano all`offensiva. Occorre inoltre respingere il tentativo di collegare la crisi del comune di Milano con la situazione esistente a Torino o in altre amministrazioni comunali, ed è inaccettabile il metodo di una “trattativa” su scala nazionale, perché ciò è in contraddizione aperta con il principio dell’autonomia degli enti locali, e ha inoltre l’effetto di rendere ancora più difficilmente risolvibile la situazione di crisi che investe attualmente numerose amministrazioni comunali.

Abbiamo sempre considerato aberrante la teoria della “omogeneizzazione” della maggioranza negli enti locali rispetto allo schieramento di governo, in quanto le singole realtà locali debbono avere la possibilità di decidere, in piena autonomia, le soluzioni che si presentano necessarie, e possono avere, nel contesto nazionale, una funzione dialettica e dinamica. Per la medesima ragione è da respingere l’idea di una spartizione del potere, decisa centralmente, sopra la testa delle assemblee elettive e della loro autonomia. La crisi di Milano dovrà essere risolta indipendentemente da ogni calcolo politico che sia estraneo alla realtà milanese e ai rapporti che in questa realtà esistono tra le forze politiche, E una soluzione, positiva e costruttiva, può essere ricercata, attraverso un rapporto tra tutte le forze democratiche, partendo dall’esigenza di far funzionare le istituzioni democratiche nell’interesse della città e dei lavoratori, di far loro assolvere pienamente il ruolo di difesa attiva nei confronti delle manovre eversive di destra e delle provocazioni reazionarie.

Milano, che ha avuto una funzione di protagonista nella lotta antifascista e democratica, deve e può trovare, nel momento attuale, la via di una politica rinnovatrice e progressiva, che sia basata sul contributo essenziale della classe operaia e sull’unità di tutte le forze popolari.



Numero progressivo: G43
Busta: 7
Estremi cronologici: 1973, 27 luglio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - PCI -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 30, 27 luglio 1973, pp. 5-6