[PROGRAMMAZIONE DEMOCRATICA DELL’ECONOMIA]
Intervento di Riccardo Terzi decontestualizzato
1) In Italia l’intervento diretto dello Stato nell’economia è già considerevolmente sviluppato, in diversi settori produttivi. La questione essenziale non è quella di un ulteriore allargamento del settore pubblico, ma piuttosto di un uso più efficiente di tutti gli strumenti di intervento di cui già oggi lo Stato dispone, e che potrebbero consentire un’azione di guida sull’insieme dello sviluppo economico. Così non è stato finora perché i partiti di governo hanno sostanzialmente rinunciato a questo obiettivo e si sono limitati ad assecondare le scelte dei gruppi capitalistici privati.
Pertanto, a poco servirebbero nuove nazionalizzazioni in assenza di una svolta negli indirizzi politici. D’altra parte per esercitare una direzione sui processi economici e sociali non è necessario, a nostro avviso, che l’intero apparato produttivo sia di proprietà pubblica, ma è sufficiente il controllo dei settori fondamentali, di importanza strategica, dai quali dipendono le prospettive di sviluppo del paese.
2) Il giudizio sull’esperienza dei paesi socialisti non può limitarsi alla questione della proprietà pubblica dei mezzi di produzione. È questo un aspetto, di per sé non sufficiente a garantire il raggiungimento degli obiettivi e delle finalità del Socialismo. Si tratta, infatti, di valutare in quale misura si realizza un effettivo controllo democratico, da parte dei lavoratori e dell’intera società, sulle scelte di politica economica, di vedere cioè se il processo di nazionalizzazione dell’economia comporta anche, nello stesso tempo, una democratizzazione delle decisioni e l’assunzione da parte dei lavoratori di un effettivo ruolo dirigente. In generale ci sembra che nei paesi socialisti ancora non sia stato affrontato in modo adeguato quest’ultimo problema, che la questione della democrazia sia tuttora un nodo non risolto. Ma, naturalmente, il giudizio deve essere più approfondito e precisato, valutando le concrete e diverse esperienze dei singoli paesi.
3) Il controllo sulla vita economica può essere realizzato sia con un intervento diretto dello Stato in alcuni settori fondamentali, sia con una politica di programmazione che orienti e indirizzi l’iniziativa privata secondo determinati obiettivi, sia con un più esteso intervento delle organizzazioni sindacali nella vita delle imprese, nelle scelte produttive, nell’organizzazione del lavoro, nei processi di innovazione tecnologica. Il potere politico può inoltre utilizzare gli strumenti del credito, del fisco e della politica monetaria; si può così configurare una situazione nella quale continua a funzionare una economia di mercato, ma si esercita anche, in forme varie un controllo democratico, da parte dei poteri pubblici e da parte delle organizzazioni dei lavoratori.
4) Nelle fabbriche il movimento operaio italiano ha già ottenuto negli ultimi anni importanti conquiste; e attraverso i consigli di fabbrica eletti da tutti i lavoratori, controlla, in un confronto aperto con la dirigenza aziendale tutti gli aspetti dell’organizzazione produttiva.
Uno strumento importante è dato dai “diritti di informazione”, sanciti nei contratti di lavoro con i quali i rappresentanti dei lavoratori possono entrare in possesso delle informazioni essenziali riguardanti l’andamento dell’impresa, le sue prospettive, i suoi programmi.
Vi è così la possibilità per i lavoratori e per i loro rappresentanti sindacali di un continuo intervento politico e di un certo controllo sulle scelte dell’impresa.
Si tratta, a nostro giudizio, di consolidare e sviluppare questo sistema, garantendo anche sul piano legislativo i diritti di partecipazione dei lavoratori.
5) Il mercato deve essere condizionato e orientato attraverso l’intervento del potere politico, sia al livello nazionale sia al livello delle singole realtà regionali e locali.
Non pensiamo ad una pianificazione centralizzata di tutta la vita economica, ma ad un’azione di guida, di indirizzo e di coordinamento da parte dello Stato, compatibile con l’iniziativa autonoma di gruppi privati e di imprese cooperative.
Si tratta di realizzare una politica di programmazione democratica dell’economia, che sin qui non è stata mai realizzata e che incontra, come è evidente, un’aspra resistenza da parte delle forze conservatrici. Queste forze vorrebbero un minore intervento dello Stato, e cercano di rilanciare le vecchie teorie del liberismo, sostenendo che si tratta di lasciar funzionare liberamente i meccanismi del mercato.
Una politica di questo tipo provocherebbe certamente un’acutizzazione drammatica dei conflitti sociali e degli squilibri, in particolare tra il Nord e il Sud del paese.
6) Rispetto al modello jugoslavo, basato essenzialmente sull’autogestione, lo sforzo che noi cerchiamo di compiere è quello di individuare forme di partecipazione democratica e di controllo che riguardino l’insieme delle scelte di politica economica, al di là della dimensione della singola impresa. Di qui l’importanza degli strumenti della democrazia politica (il Parlamento, le Regioni), di qui anche il peso politico crescente che viene assumendo il movimento sindacale nella discussione intorno agli indirizzi generali della politica economica.
Per quanto riguarda l’autogestione, riteniamo necessario lavorare per uno sviluppo di esperienze cooperative e di forme di autogestione, in diversi campi, in modo che si consolidi un “terzo settore” accanto a quello politico e a quello privato.
L’esperienza jugoslava costituisce, indubbiamente, un punto di riferimento interessante, ma non è possibile risolvere i problemi della società italiana adattando modelli che hanno una loro validità in un contesto storico e politico assai diverso. Ciò vale anche per le altre esperienze realizzate in altri paesi socialisti.
7) Il problema sociale più drammatico, nel momento attuale, è quello dell’occupazione, per la crisi che ha investito importanti settori industriali, per gli effetti dell’innovazione tecnologica, per la perdurante situazione di abbandono e di arretratezza delle regioni meridionali.
Una risposta al problema dell’occupazione può venire solo da una ripresa dello sviluppo economico, da un rilancio degli investimenti, dallo sviluppo di nuove attività nell’industria e nel terziario.
Occorre però anche poter disporre di uno strumento per poter governare il mercato del lavoro, attualmente lasciato alla spontaneità.
Il servizio nazionale del lavoro, che noi proponiamo, dovrebbe essere uno strumento pubblico che intervenga su tutti gli aspetti del mercato del lavoro: formazione professionale, collocamento, mobilità, sussidi di disoccupazione, cassa integrazione.
Il servizio nazionale del lavoro dovrebbe non solo garantire un controllo democratico su tutti questi aspetti, ma anche attivare e promuovere nuove iniziative, sia di enti pubblici sia di privati, che possano assorbire almeno parzialmente l’offerta di lavoro giovanile, soprattutto nelle regioni meridionali.
8) Noi riteniamo che il compito della programmazione democratica dell’economia debba spettare essenzialmente agli organi del potere politico democratico: Parlamento, Governo, Regioni. Ciò implica una riforma nel funzionamento delle assemblee elettive e nella pubblica amministrazione dello Stato, che nelle condizioni attuali è del tutto inadeguata rispetto ai compiti della programmazione.
Riteniamo inoltre che debbano funzionare procedure di consultazione con le organizzazioni sociali, (sindacati, imprenditori, movimento cooperativo, ecc.), in modo che le scelte della programmazione siano basate sul più largo consenso delle forze sociali.
9) La nostra proposta di politica economica si basa sull’idea di un’“economia mista”, di una pluralità quindi di forme di proprietà.
Accanto alla proprietà pubblica e a quella privata un peso sempre più rilevante dovrebbe assumere la proprietà di tipo cooperativo, che consente una partecipazione più diretta dei lavoratori alle scelte di gestione e quindi uno sviluppo di forme di democrazia diretta.
10) Il problema è quello della definizione di strumenti di democrazia e di controllo in tutti i comparti dell’economia, anche nel settore privato. La proprietà privata non implica un’assoluta discrezionalità nelle decisioni: la stessa Costituzione repubblicana limita l’attività privata e la vincola al perseguimento di interessi di carattere sociale.
In concreto, l’imprenditore privato deve avere l’obbligo di un confronto sistematico sia con le organizzazioni dei lavoratori, sia con gli organi della programmazione, e quindi può esercitare il proprio ruolo nel quadro di obiettivi e di indirizzi che sono fissati nell’interesse generale. La gestione quindi deve essere sottoposta ad un controllo democratico, da parte dei lavoratori e da parte del potere pubblico.
11) Nel parlamento europeo cominciano a presentarsi possibilità nuove di convergenza e di iniziativa unitaria tra le forze di sinistra, e noi riteniamo che tutto ciò possa avere sempre più, nella prospettiva, un’importanza politica di grande rilievo. Abbiamo compiuto, con chiarezza, una scelta europea, considerando che i processi di integrazione economica sono irreversibili e necessari, e che non possa esserci quindi una risposta adeguata ai problemi nazionali se non nel quadro di una politica di carattere europeo. Non è però esatto dire che le possibilità di alleanza siano maggiori nella sede del Parlamento europeo. Anzi, il peso del Partito Comunista nella realtà nazionale continua ad essere, nonostante alcune difficoltà incontrate negli ultimi anni, un fatto politico di grande rilievo, di cui tutte le forze politiche debbono tenere conto. I tentativi di governare senza e contro il PCI si sono dimostrati illusori e fallimentari e quindi si ripropone con forza la questione dei rapporti con il nostro partito.
12) Il fallimento delle formule di governo che si sono avute in questi ultimi anni, il declino del ruolo dirigente della Democrazia Cristiana, consentono di porre oggi l’obiettivo di una alternativa politica basata sulla collaborazione e l’intesa tra il PCI, PSI e altre forze laiche e democratiche.
Non c’è dubbio che si tratta di un obiettivo difficile, anche per divisioni e contrasti presenti nelle stesse forze di sinistra, ma riteniamo che questo obiettivo possa essere concretamente perseguiti. D’altra parte, già negli ultimi anni si sono ottenuti risultati di rilievo nel governo delle grandi città e delle Regioni, allargando ed estendendo le esperienze di governo delle sinistre.
La nostra proposta è quella di costruire una nuova coalizione di governo che escluda la DC, e che valorizzi il ruolo e le funzioni sia del Partito Socialista, sia di altre formazioni democratiche. È questo l’obiettivo politico per il quale lavoriamo nella fase attuale, e che riteniamo un obiettivo possibile e realistico.
Busta: 6
Estremi cronologici: s.d
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Fogli battuti a macchina
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - PCI -