SULLA DEVOLUTION E ALTRE COSE

di Riccardo Terzi

Un serio processo di riforma dello Stato, di riscrittura delle regole democratiche, di innovazione istituzionale, richiederebbe da parte di tutte le forze politiche, di maggioranza e di opposizione, uno sforzo costruttivo e convergente, una disponibilità al dialogo e alla costruzione di un progetto comune, tenendo rigorosamente distinti il piano istituzionale e quello politico, che rispondono a diverse dinamiche.

Se invece c’è una sovrapposizione dei due piani, se anche il discorso istituzionale viene immediatamente politicizzato, strumentalizzato, piegato alle esigenze tattiche del momento e usato nella prospettiva della competizione elettorale, allora si determina una situazione di grande rischio, perché le stesse istituzioni sono coinvolte nel conflitto politico.

È esattamente questa la situazione in cui oggi ci troviamo, alla vigilia di una campagna elettorale che ha i caratteri di uno scontro frontale, e che sembra pertanto impedire qualsiasi ragionevole intesa di carattere istituzionale.

L’accordo tra Polo e Lega ha l’effetto inevitabile di esasperare ulteriormente il conflitto, perché la Lega, per la sua stessa natura, non può che alimentarsi nel conflitto, nella contrapposizione, e ha bisogno, per giustificare se stessa, di una battaglia di tipo fondamentalista.

Avviene così un fatto in apparenza paradossale e assurdo: mentre esiste, a giudicare dalle dichiarazioni ufficiali dei partiti, una larga convergenza su una prospettiva di riforma federalista dello Stato, proprio su questa questione del federalismo si sta scatenando una violenta polemica politica.

In queste condizioni tutto diventa più difficile e arrischiato.

È in discussione in Parlamento un progetto di riforma costituzionale che può rappresentare una prima tappa importante per la costruzione di un nuovo tipo di Stato.

Non tutto è convincente e condivisibile di questo progetto, ma la direzione di marcia è sicuramente quella giusta.

Il Parlamento dovrebbe essere la sede di un confronto e di un accordo, per giungere così alle prossime elezioni politiche con un primo risultato, con un processo di riforma già consolidato e deciso unitariamente. Ma è questo uno scenario improbabile, perché si vuole tenere alto il conflitto, su tutti i terreni, e anche il tema del federalismo sarà oggetto di una polemica elettorale per molti versi strumentale, con accuse di centralismo statalista da un lato e di secessionismo dall’altro.

In questo quadro, le iniziative referendarie decise dalle regioni del Nord hanno solo un carattere strumentale e propagandistico, perché non indicano nessuna soluzione concreta e hanno solo il significato di organizzare una pressione politica indistinta, di alimentare cioè il conflitto con lo Stato centrale.

La definizione delle competenze tra Stato e regioni è un tema complesso, che richiede una puntualizzazione precisa di tutti i diversi aspetti e la ricerca di un punto di equilibrio tra autonomia territoriale e unità nazionale.

Il referendum è lo strumento più improprio per affrontare questo ordine di questioni, perché semplifica ciò che non è riducibile ad un’alternativa semplificata.

Come già si è dimostrato per la legge elettorale, la via referendaria alle riforme è una via improduttiva e demagogica, che non può costruire nulla di saldo.

Il federalismo non può nascere da una condizione di scontro inter-istituzionale, o da spallate referendarie, ma richiede la costruzione di un progetto coerente e condiviso.

Deve essere chiara la direzione di marcia, e deve essere chiaro l’assetto conclusivo del nostro ordinamento statale.

Nell’ambito di un disegno organico di riforma costituzionale, di segno federalista, dovrà agire la normale dialettica politica, l’alternativa dei programmi, l’alternanza degli schieramenti, ma distinguendo chiaramente questo terreno del conflitto fisiologico tra destra e sinistra dal terreno istituzionale per il quale vanno cercate le soluzioni più adeguate, nell’interesse di tutti, per uno stato meglio organizzato e più capace di rispondere alla domanda sociale.

Il federalismo non è in sé di destra o di sinistra: è la cornice istituzionale comune entro la quale questo conflitto si può meglio organizzare, in un rapporto più diretto con i cittadini e con le comunità territoriali.

Ciò comporta un massiccio trasferimento di competenze e di risorse dal centro alla periferia. Ma non solo: comporta anche una riforma dell’amministrazione nel senso della semplificazione e dell’efficienza. Se la macchina amministrativa è burocratizzata, non basta trasferirla, ma va cambiata dall’interno.

Altrimenti rischiamo di riprodurre nelle venti regioni lo stesso meccanismo burocratico e di costruire il federalismo come una mostruosa proliferazione dell’inefficienza e del parassitismo amministrativo.

La “devolution” non è una parola magica che risolve tutti i problemi. Bisognerà pur decidere in modo preciso e approfondito che cosa devolvere, come, con quali strumenti, con quali modalità di organizzazione dei poteri regionali e locali.

Per questo, è affidato alle regioni il compito di definire nei nuovi statuti il nuovo assetto delle competenze, delle relazioni istituzionali, del rapporto fra istituzioni e società.

È un tema complesso, che va affrontato con un ampio confronto di tutti i soggetti, politici e sociali. L’iniziativa del Presidente Galan nel Veneto è criticabile anzitutto per la procedura. Lo statuto regionale non è competenza del Presidente, ma del Consiglio, e anche il Consiglio Regionale può fare un buon lavoro solo se riesce a coinvolgere in una ricerca comune le forze sociali, le competenze scientifiche, le rappresentanze. È un lavoro non breve. E non ha nessun senso consumarlo oggi, frettolosamente, in funzione della prossima competizione elettorale.

Occorre quindi anzitutto creare le condizioni per un confronto aperto e costruttivo su tutti i numerosi e complessi aspetti della riforma istituzionale. Senza questo clima, tutto viene strumentalizzato e usato nella polemica politica quotidiana, con il risultato di determinare uno stato di paralisi e di precarietà istituzionale.

Tutti gli sforzi vanno quindi indirizzati alla costruzione di un processo istituzionale che abbia una sua autonomia, una sua interna coerenza, senza dipendere dagli umori variabili della congiuntura politica.

È un discorso che vale per tutti, destra e sinistra.

Ora il quadro del dibattito istituzionale è pesantemente inquinato da strumentalizzazioni politiche di vario segno. Così non si va da nessuna parte. Vediamo quindi di riaprire un vero processo costituente, che è fatto di rigore scientifico, di confronto, di dialogo, senza fondamentalismi, senza strumentalizzazioni di parte. In questa direzione, può essere importante il contributo delle organizzazioni sociali e della cultura scientifica, per riaprire, sulle nuove basi, più costruttive, il confronto tra le forze politiche.



Numero progressivo: C59
Busta: 3
Estremi cronologici: 2000, dicembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista e stampa da file PC
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CRS -
Note: Con bozza
Pubblicazione: “Il Ponte”, dicembre 2000