UN SINDACATO UNITARIO PER LA SECONDA REPUBBLICA

Appello di sedici dirigenti della CGIL alle centrali confederali

1) Il sindacalismo confederale sta vivendo una situazione di grandi cambiamenti. Il susseguirsi di avvenimenti e di processi che trasformano in modo radicale il quadro di riferimento politico e istituzionale, così come l’economia e la società, entro i quali sono nate e cresciute le grandi confederazioni sindacali, non potrà non avere ripercussioni anche all’interno del sindacato stesso.

2) La grave crisi di credibilità e di moralità che investe il sistema politico, fino ai suoi vertici, non va confusa con le difficoltà che attraversa il movimento sindacale. Anche se queste difficoltà ineriscono alle questioni del rapporto democratico con i lavoratori, alla definizione delle regole della vita interna alle organizzazioni sindacali, alla loro unità e strategia, esse sono fondamentalmente di altra natura rispetto alla drammatica e radicale necessità di rigenerazione di un sistema politico ormai largamente delegittimato. Non è più in discussione l’esigenza di passare dalla prima alla seconda repubblica. Il problema è come verranno definiti i lineamenti democratici del nuovo assetto istituzionale, e se la necessità di un forte cambiamento si accompagnerà al mantenimento e al consolidarsi di alcune prerogative democratiche e di difesa dell’uguaglianza dei diritti, che hanno caratterizzato le lotte dei lavoratori dal primo dopoguerra ai giorni nostri.

3) La pur diversa situazione di crisi esistente tra sistema politico e organizzazioni sindacali, deve al tempo stesso farci cogliere il fatto che il sindacato viene percepito dai lavoratori e dai cittadini come parte del sistema politico e istituzionale in crisi.

4) Del resto questa percezione ha radici antiche, dal tempo di quell’atto costitutivo del sindacato confederale, la CGIL, che fu il «patto di Roma», firmato nel giugno del 1944 da Giuseppe Di Vittorio, Achille Grandi, Emilio Canevari, in quanto esponenti delle principali correnti sindacali dei lavoratori italiani, comunista, democratico cristiana e socialista, che dichiararono «di realizzare l’unità sindacale, mediante costituzione, per iniziativa comune, di un solo organismo confederale per tutto il territorio nazionale, denominato Confederazione generale italiana del lavoro…». Questa origine «politica» del sindacalismo italiano spiega anche la successiva rottura del patto unitario e la costituzione della CISL e della UIL.

5) Sono passati quasi cinquant’anni da quella data e molte cose sono cambiate. L’autonomia sindacale, mentre è chiaramente acquisita come affermazione di principio, resta nella pratica ancora per molti aspetti incompiuta. Infatti una rottura con le ragioni delle origini non è ancora completamente avvenuta, in nessuna delle tre confederazioni, anche a causa del permanere della divisione sindacale.

6) Questa costruzione non potrà resistere all’urto dei cambiamenti in corso. Tutto il sistema politico è toccato da una crisi dagli esiti imprevedibili. La sinistra, vista nel suo complesso, è chiamata a una difficile opera di ridefinizione del proprio orizzonte ideale, dell’azione politica, dell’insediamento sociale. La riforma elettorale e delle istituzioni insiste sempre più su meccanismi vicini ai modelli esistenti nei principali paesi europei, e induce le forze politiche ad aggregarsi per grandi schieramenti, progressisti-conservatori, in lotta per l’alternanza. Noi riteniamo positiva questa nuova prospettiva che si sta delineando nella riforma delle istituzioni, che sarà favorita dal successo del Sì nel referendum del 18 aprile.

7) Da qui nasce un’autonoma riflessione che deve riguardarci per rispondere alla domanda: quale sindacato per la seconda Repubblica? Per rispondere a questo interrogativo riteniamo che sia indispensabile assumere come fondativo il vincolo di un rapporto democratico all’interno del sindacato e con i lavoratori, che deve essere praticato secondo regole che definiscano la democrazia degli iscritti e la democrazia sindacale tra tutti i lavoratori. Riteniamo di grande attualità la riproposizione, ora, di un progetto di sindacato unitario per una serie di motivi:

  1. a) sono venute meno le ragioni ideologiche che stavano alla base della contrapposizione-concorrenza tra organizzazioni sindacali confederali;
  2. b) la nuova divisione internazionale del lavoro, l’accresciuta competitività, la riorganizzazione degli Stati nazionali e delle grandi aree socio-economiche planetarie (Europa, Stati Uniti, Giappone) e le tendenze transnazionali delle economie richiedono un forte potere di intervento sindacale. Un movimento sindacale diviso non solo non ha possibilità di successo all’interno del proprio paese, ma non ha nessuna possibilità di udienza nelle sedi internazionali;
  3. c) le condizioni che hanno regolato, dal 1970 ad oggi, l’attività delle organizzazioni sindacali «maggiormente rappresentative», così come sono definite dallo Statuto dei lavoratori, appaiono oggi superate, e richiedono un nuovo sistema di regole da sancire anche per via legislativa, con la verifica democratica del consenso dei lavoratori, e in questo nuovo quadro è essenziale, per non favorire una frantumazione corporativa, la costruzione di un nuovo soggetto confederale unitario;
  4. d) la maggioranza dei lavoratori ritiene necessario un nuovo processo di unità sindacale, che si viene sempre più configurando come un diritto;
  5. e) un rinnovato processo unitario può consentire una ripresa di sindacalizzazione tra lavoratori tradizionalmente non iscritti al sindacato;
  6. f) il discorso sull’unità è tornato ad essere al centro della discussione sindacale in tutte e tre le confederazioni.

8) Se le ragioni sono valide e molteplici, da sole non ci aiutano a definire quali caratteristiche dovrebbe avere una nuova Confederazione unitaria. Noi pensiamo che esistano adesso le condizioni per costruire un sindacato unitario e pluralista, che, come abbiamo ricordato, sia capace di inglobare al suo interno regole certe di democrazia: nei gruppi dirigenti, con gli iscritti, tra i lavoratori. Non si tratta di riproporre modelli federativi paritetici, ma di concepire questo processo come una svolta radicale adeguata al livello dei cambiamenti in atto nella stessa politica e nella società civile. Infatti il nuovo sindacato unitario non potrà prescindere da regole fondate sul principio di maggioranza e minoranza e può consentire un’organizzazione della sua vita democratica legata esclusivamente a opinioni di carattere sindacale, superando ogni forma di collateralismo politico.

9) Dunque un sindacato unitario nel quale abbiano piena cittadinanza tutte le culture del movimento operaio, ma anche un sindacato che sappia guardare al futuro e rappresentare, al tempo stesso, solidarietà e interessi, contrattazione e partecipazione, che esalti il valore del lavoro e gli ideali più alti della tradizione storica del sindacalismo italiano. Per costruire una nuova Confederazione unitaria si possono avere molti modelli di riferimento: il modello del sindacato di governo, che deriva la sua forza dai partiti o dalle istituzioni; il modello del sindacato di opposizione; un sindacato che si proponga, com’è stato ad esempio nella storia del sindacalismo inglese o di altri sindacati europei, di creare il proprio labourparty. Oppure, come noi proponiamo, un sindacato autonomo, che non si proponga di risolvere i problemi dei lavoratori favorendo l’insediamento del governo amico, ma che decida di valutare i governi e, di conseguenza, il proprio atteggiamento autonomo, sulla base della valutazione del programma di governo e sulla sua azione. Un sindacato che persegua la realizzazione della democrazia economica, della democrazia industriale e che conquisti modelli di relazioni partecipate nelle imprese, nell’economia, nelle regole che definiscono il Welfare State. Un sindacato che trae le sue risorse sulla base dell’adesione volontaria dei lavoratori.

10) Un sindacato così concepito deve essere un sindacato delle regole e della trasparenza, capace di promuovere positivamente una nuova legislazione che consenta la libera associazione sindacale e la conquista di una rappresentatività nazionale certificata. Un sindacato che adotti regole democratiche nel rapporto con i lavoratori, attraverso l’elezione delle proprie rappresentanze a scadenze fisse ed esigibili, sulla base del voto di tutti i lavoratori.

11) Queste tematiche dovranno essere affrontate in modo non separato dall’evoluzione delle riforme istituzionali e dall’obiettivo di un nuovo sindacato confederale unitario che guardi al di là dei confini nazionali e che si proponga di costruire un forte sindacato europeo dotato di poteri di contrattazione.

12) Noi pensiamo che la sburocratizzazione del sindacato, con la conseguente diminuzione dei livelli di direzione ereditati dalla vecchia riforma di Montesilvano, debba liberare risorse politiche e finanziarie che devono essere destinate a favorire l’insediamento e l’azione sindacale nei luoghi di lavoro. La definizione di scelte programmatiche, le nuove regole, la democrazia devono essere discusse in una costituente dell’unità sindacale, promossa da CGIL, CISL e UIL.

 

Gianfranco Benzi, Mauro Beschi, Mario Boyer, Nino Casabona, Franco Chiriaco, Enrico Crispino, Cesare Damiano, Eduardo Guarino, Agostino Megale, Renzo Penna, Andrea Ranieri, Nicoletta Rocchi, Claudio Sabattini, Riccardo Terzi, Emilio Viafora, Fausto Vigevani



Numero progressivo: B10
Busta: 2
Estremi cronologici: 1993, 3 maggio
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Nuova Rassegna Sindacale”, n. 16, 3 maggio 1993, pp. 46-47