ENERGIA 2000

Congresso OICE (Organizzazioni Ingegneria e Consulenza Tecnico-Economica), 19 settembre 1988

Intervento di Riccardo Terzi


Intervento di Terzi al minuto 45:50.

Il risultato referendario, e l’ampio dibattito e partecipazione popolare che l’ha accompagnato, hanno imposto le esigenze e creato le condizioni per un profondo mutamento della politica energetica.

Il nuovo Piano Energetico Nazionale approvato dal Consiglio dei Ministri e di prossima discussione al Parlamento, nonostante si presenti con una premessa innovativa sul piano della priorità ambientale, del risparmio e dell’esigenza di una politica di transizione verso le energie pulite e rinnovabili, non si distingue però, sul piano sostanziale, dai precedenti Piani Energetici.

Addirittura esso finisce col proiettare fino al 1995 le vecchie logiche di politica energetica, rimandando al periodo successivo i propositi di cambiamento indotti dal dibattito aperto nel Paese.

Congresso Energia 2000 (Milano 19 settembre 1988)

Così, nei fatti, esso avalla la politica centralizzata di localizzazione e potenziamento delle centrali decisa prima del referendum e messa dallo stesso in discussione.

L’esito referendario imponeva, invece, la realizzazione di innovazioni sostanziali sul piano della tutela dell’ambiente, del consenso sociale, del decentramento decisionale. Eppure la storia degli ultimi anni insegna come l’attuazione di un piano di transizione energetica richieda un elevato consenso sociale.

La transizione energetica è infatti un’operazione assai incerta sotto il profilo della redditività degli investimenti che comporta, per minimizzare i rischi, un eccezionale coinvolgimento dell’ambiente naturale e sociale e richiede pertanto più e non meno democrazia ed un salto tecnologico, organizzativo, istituzionale che chi porta responsabilità di Governo non può eludere, ma anzi dovrebbe deliberatamente favorire.

-Invece il nuovo Pen si configura ancora come un Piano centralizzato di programmazione dell’offerta energetica e quasi esclusivamente della energia elettrica, anche se sulla carta trovano un po’ più spazio rispetto ai piani precedenti le fonti rinnovabili, la tutela dell’ambiente ed il risparmio energetico.

Esso è ancora una volta la risultante della sommatoria dei piani aziendali presentati dagli operatori energetici (Enel, Eni, Enea, Assopetroli, …. ) e non di un processo democratico, ove le istituzioni hanno giocato un ruolo propositivo e innovativo.

Non è previsto alcun decentramento alle Regioni ed agli enti locali dei compiti e ruoli in materia di programmazione energetica.

Enti locali e Regioni entrano in gioco solo per l’espletamento delle procedure di V.I.A. e nella gestione della legge 308 sul risparmio energetico (limitatamente alle Regioni).

Le procedure di localizzazione ed autorizzazione di costruzione di nuove centrali esautorano sempre più il potere delle Regioni e degli enti locali e prevede interventi autonomi del M.I.C.A.

La scelta di istituire un Consiglio Superiore dell’energia e di un nucleo operativo per valutare lo stato di attuazione del Piano e dei problemi che insorgono nella sua attuazione (in effetti si tratta di controllare l’avanzamento del piano Enel e dei relativi problemi), va nella direzione di rafforzare le strutture centrali.

Non è prevista alcuna riorganizzazione degli enti energetici (Enel, Eni) e dell’Enea.

Non è neppure prevista l’istituzione di una agenzia per la conservazione dell’energia, cosa che era prevista nella precedente revisione del Pen del 1985!

-Il nuovo Pen assume, quale scenario di riferimento, l’ipotesi di una dinamica dei consumi ad elevata intensità energetica; cioè l’ipotesi “alta” della Commissione Baffi (180 Mtep al 2000) della Conferenza Nazionale dell’Energia, al fine di dare giustificazione alle scelte, in particolare dell’Enel. Ciò in contrasto, sia alle attuali tendenze in tutti i paesi industrializzati, ma soprattutto alle analisi e raccomandazioni di tutti gli organismi internazionali (CEE, ONU) sulla necessità di spingere verso politiche energetiche a basso consumo, al fine di non compromettere in modo irrimediabile il già instabile equilibrio ambientale e garantire risorse ai paesi del terzo mondo.

-Il Piano, invece, ipotizza una forte crescita della penetrazione dell’energia elettrica (dal 31,7% al 41 % nel 2000), realizzata attraverso poli energetici e centrali di sempre maggiore taglia (più di 200 Mtep) e sulla conversione al carbone degli stessi.

Sappiamo come questa logica dei mega poli sia già pesantemente messa in crisi dall’avversione delle popolazioni locali per gli alti costi e rischi che essa comporta sul piano dell’ambiente, della sicurezza della vivibilità del territorio.

Inoltre dei 25,4 Mtep che il settore elettrico consumerà in più nel 2000 rispetto agli attuali, solo 9 Mtep verranno destinati agli usi finali. Ben 16,4 Mtep andranno sprecati in calore e si aggiungeranno agli sprechi termici attuali.

Questo spreco di energia termica comporta gravi impatti ambientali sul territorio, non in grado di assorbire gli scarichi termici che conseguiranno.

-Il risanamento ambientale delle centrali è posto sotto forma gravemente riduttiva e sottoposto a due criteri limitativi: esso verrà attuato solo se si accetterà la costruzione di nuovi impianti oppure se l’investimento di bonifica verrà giudicato conveniente economicamente.

Poiché il Piano non si propone l’obiettivo di ristrutturare il sistema energetico a partire dagli usi finali (ossia dalla domanda) ma solo di superare i vincoli, che finora non hanno consentito lo sviluppo dell’offerta, attraverso una maggiore centralizzazione dei poteri e qualche contropartita ambientale, il problema del Risparmio viene affrontato in modo assai riduttivo.

Sono previsti interventi nei settori industriali e in minima parte negli usi civili; si ignora il settore dei trasporti principali responsabili della penetrazione del petrolio.

Gli obiettivi di risparmio riguardano sostanzialmente solo il settore elettrico e risultano, inoltre, già contemplati nella proiezione dei consumi elettrici al 2000. E quindi si nega la possibilità di una politica di risparmio al di là di quella che già si realizza in modo tendenziale!

Inoltre si ignora il nodo degli scarichi termici delle centrali responsabile dello spreco del 60% di energia primaria che vengono liberati nell’aria e nel suolo e che potrebbero in parte venir recuperati.

-Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, ad alcune di esse (eolica, biomasse) si assegna un ruolo marginale e si continuano a considerare ancora non industrialmente mature le tecnologie energetiche relative (mentre negli altri paesi vengono ormai utilizzati in quote sempre più rilevanti).

Si continuano pertanto a prevedere solo spese per ricerca e sviluppo, quando invece il problema è ormai diventato quello di incentivare l’industria (attraverso la domanda) a produrre i componenti relativi ed a normalizzarli.

Una politica di risparmio, recupero del calore, uso di fonti rinnovabili, priorità delle centrali di piccola taglia richiedono invece decentramento decisionale, una programmazione energetica territoriale; la coerenza con la politica dei trasporti, della casa, industriale, della ricerca, il consenso e la collaborazione della popolazione.

-Gli strumenti di governo della politica energetica previsti nel Piano sono, invece, essenzialmente affidati alla politica economica: politica fiscale, tariffaria, degli incentivi.

Un’osservazione va fatta per quanto riguarda la politica tariffaria e fiscale che mira a far pagare più cara all’utenza finale (i cittadini) i maggiori costi di una politica energetica per il mancato uso dell’energia nucleare che non invece a governare le trasformazioni della domanda e dell’offerta del settore energetico.

-Infine riguardo la considerazione degli effetti e delle ricadute del nuovo Pen sui comparti dell’industria, sulla ricerca tecnologica e sull’occupazione, esso non pare offrire nuove adeguate opportunità di riqualificazione e diversificazione dei settori connessi alla produzione e consumo dell’energia verso nuovi prodotti o servizi.

Proponendo il Piano, l’attuazione della vecchia logica della priorità delle grandi centrali, si consente probabilmente all’industria nazionale di vivere di rendita sotto il cappello delle commesse dell’Enel; salvo poi entrare in profonda crisi, quale quella attuale, quando i piani di costruzione delle centrali incontrano ostacoli sociali, ma non si offrono proposte alternative e occasioni di riconversione su nuove filiere vendibili sul mercato internazionale ed in grado di ricollocare la nostra industria su un terreno innovativo.

Quindi l’attuale crisi dell’industria energetica è anche conseguenza di una politica energetica conservatrice che non ha stimolato la produzione industriale verso le nuove fonti, gli impianti di piccola taglia, le nuove applicazioni tecnologiche del risparmio energetico, i problemi di ambientalizzazione degli impianti …

Vi è invece, una grande occasione di sviluppo di tecnologie, nuove attività e occupazione nella realizzazione di una politica energetica più differenziata, decentrata, in grado di stimolare la crescita di nuovi bisogni e domande.

Basti pensare come le azioni di risparmio e conservazione dell’energia che rivolgono a tutti i settori dell’industria, civile, Pubblica Amministrazione, trasporti, servizi rappresentino una filiera energetica ad alto contenuto occupazionale e tecnologico.

Questo potrebbe essere un settore fortemente stimolato da una politica di diffusione nel territorio di agenzie e di strumenti di promozione di incentivi reali in tutti i comparti.

Questa è la strada che può garantire salvaguardia occupazionale, sviluppo di nuove qualifiche, tutela dell’ambiente e risposta ai bisogni energetici, cui possono dare un grande contributo le imprese, le aziende municipalizzate e le stesse organizzazioni sindacali.

Le vicende degli ultimi anni, che si stanno generalizzando in tutti i paesi, dimostrano come il voler perseguire vecchi modelli di programmazione dell’offerta significa nei fatti vanificare una possibile politica di transizione energetica, che il mancato consenso sociale non consente di realizzare.

L’unico percorso praticabile, è quello della democrazia e del consenso sociale, di un superamento di vecchie logiche per una graduale riconversione della programmazione energetica verso un modello più compatibile con la tutela dell’ambiente e l’uso del territorio. È la via indicata dal risultato referendario!


Numero progressivo: H88
Busta: 8
Estremi cronologici: 1988, 19 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: ?