MA L’INCOMPATIBILITÀ NON SALVA I SINDACATI

di Riccardo Terzi

Pierre Carniti ha scritto un interessante articolo sul tema dell’autonomia del sindacato e del rapporto tra sindacato e sistema politico prendendo spunto da una recente intervista del segretario generale della CGIL Antonio Pizzinato.

Credo anch’io che il progetto dell’autonomia sindacale sia tuttora un progetto incompiuto e che questa incompiutezza sia una delle cause da cui dipende l’attuale crisi del movimento sindacale. Condivido, quindi, l’ispirazione di fondo di Carniti, e credo sia politicamente importante riaffermarla con forza e interrogarsi criticamente intorno a quel nodo complesso che è rappresentato dal rapporto tra sfera sindacale e sfera politica. In questi anni è andata avanti una spinta crescente delle forze politiche ad occupare tutti gli spazi della realtà sociale organizzata, a stabilire in tutti i campi meccanismi di collateralismo, di partiticizzazione, sia nella forma più inaccettabile della lottizzazione clientelare, sia in forme più “politiche”, ma non meno insidiose per l’autonomia delle diverse sfere della società civile.

I mezzi di informazione, la pubblica amministrazione, la stessa magistratura sono stati investiti da questo processo. E a giudicare dalle ultime polemiche, neppure la Chiesa cattolica sembra essere impermeabile a questa generale logica spartitoria che definisce le rispettive sfere di influenza dei partiti politici.

“Autonomia”, dunque, è una parola molto impegnativa, in quanto si tratta di procedere controcorrente e di ricostruire uno spazio per forme nuove, originali, di rappresentanza sociale, che non siano preventivamente incanalate dentro meccanismi del sistema politico. È questo il problema di fondo del sindacato, in tutte le sue diverse espressioni. E lo è in modo saliente per la CGIL, data la sua storia peculiare, dati i legami che storicamente si sono costruiti con i partiti della sinistra.

Carniti, da questo punto di vista, mi sembra valutare la situazione attuale con eccessivo ottimismo, come se ormai per il sindacato ci fosse solo un problema di autonoma maturazione, essendo finiti i tentativi di incursione dei partiti.

Vicende recenti, come quella del contratto scuola, dimostrano il contrario, e segnalano piuttosto il rischio che la stessa attività di negoziare sindacale sia sempre più condizionata e risucchiata dentro il “quadro politico”.

Le norme di incompatibilità, che Carniti vuole riaffermare o difendere, non hanno rappresentato un argine sufficientemente efficace.

Credo anzi che sia ormai il tempo di riesaminare questo aspetto, e di valutarlo serenamente e oggettivamente, senza farne l’emblema dell’autonomia, perché così rischiamo di adorare un feticcio, come assai spesso è avvenuto in questi anni, quando il sindacato si è lasciato imporre dalle forze politiche i confini delle proprie divisioni interne.

Al sindacato veniva lasciata una sfera propria solo in quanto sfera corporativa, a cui doveva subentrare il primato della politica e il ruolo di mediazione delle forze politiche.

Oggi è del tutto visibile questa immagine di subalternità: dirigenti sindacali che partecipano intensamente alle riunioni di partito, ma solo come invitati, solo in quanto portatori di un interesse parziale che deve essere ricondotto dentro una strategia politica più complessiva, in un ruolo quindi che è anche formalmente subalterno.

Ma così rischia di avvenire una espropriazione politica del mondo del lavoro.

Che c’entra questo con l’autonomia sindacale? A chi serve questo stato permanente di minorità che esclude tutto il quadro sindacale dall’esercizio dei più elementari diritti politici?

E questo mentre altre forze si organizzano, e pesano politicamente, e condizionano le scelte dei partiti.

Non si tratta di attuare un ripiegamento, ma di stare sul terreno politico con forza, con autorevolezza, senza doverci entrare dalla porta di servizio. Questo vale, a mio giudizio, per tutti gli organismi di partito non di carattere esecutivo, i quali avrebbero tutto da guadagnare da un più diretto collegamento con il mondo del lavoro, mentre non riterrei utile modificare le regole di incompatibilità per quanto riguarda le assemblee elettive perché in queste caso vedo il rischio di una involuzione negativa, di un sindacato cioè che finisce prigioniero di logiche elettoralistiche, o che si lascia trascinare su un terreno compromissorio in cui si offusca il suo ruolo proprio di soggetto sociale, la sua specifica funzione rappresentativa, e che pertanto sarebbe portato a sostituire all’azione di contrattazione il ricorso alla manovra politica.

Anche di questo si può naturalmente discutere, senza dogmi, senza posizioni preconcette.

Credo dunque che sia stata utile l’iniziativa di Pizzinato, e che essa non abbia il senso di una ritirata strategica, ma che piuttosto tenda ad affrontare il problema dell’autonomia e del rapporto coi patiti nei termini reali, oggettivi, così come si presentano oggi nella realtà.

Autonomia, infatti, non è separazione, non è costruzione di un angusto spazio corporativo, ma è il tentativo arduo di far pesare politicamente la specificità del mondo del lavoro, di stare nel dibattito e nel confronto politico con la forza di un proprio autonomo progetto di trasformazione sociale.


Numero progressivo: B46
Busta: 2
Estremi cronologici: 1988, 12 settembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Sindacali - CGIL -
Pubblicazione: “Il Giorno”, 12 settembre 1988