FOA: ESEMPIO DI INVECCHIAMENTO CREATIVO
Intervento di Riccardo Terzi al convegno dedicato a Vittorio Foa, organizzato dallo SPI Lombardia alla Casa della Cultura di Milano
Ci sono molte ragioni per rendere un omaggio a Vittorio Foa: ragioni politiche, sindacali, affettive.
Io vorrei considerare lo sua figura sotto un profilo particolare, come l’esempio di un invecchiamento creativo, vissuto nella pratica della libertà.
Foa rovescia il luogo comune per cui invecchiare significa cadere sotto il dominio della necessità, significa quindi che l’unica possibilità di scelta resta il rifugio nella memoria.
In effetti, l’invecchiamento coincide spesso con un atteggiamento tutto retrospettivo, nostalgico-conservatore, perché non si vede più il futuro come un’opportunità che può ancora essere usata, e il cerchio della vita appare ormai concluso.
La decisiva chiave interpretativa per capire la personalità di Vittorio Foa mi sembra essere il concetto di libertà, la disponibilità sempre aperta a mettersi in gioco, in una trama esistenziale che non è mai predeterminata, necessitata. Non ci sono mai situazioni chiuse, bloccate, ma è sempre possibile il libero atto creativo che scompagina i dati apparentemente oggettivi di una determinata situazione.
È la “mossa del cavallo”, ovvero l’arte dell’invenzione, della libera iniziativa, che trascende i vincoli della realtà oggettivata, e ciò vale nella politica come nella vita personale, nella sfera collettiva come in quella individuale. Occorre guardare sempre al futuro come ad un campo aperto di possibilità, non segnato in partenza da un destino, da una legge. Nelle lettere dal carcere, recentemente pubblicate, ciò che colpisce è il grande senso di fiducia nel futuro, l’ottimismo, certo in parte dovuto all’esigenza di rassicurare la famiglia, ma dettato, credo, da una ragione più profonda. Anche il carcere, questa situazione estrema di necessità, è solo un momento che può essere rovesciato, e non preclude l’iniziativa, l’esercizio libero della responsabilità. E allora, sulla base di questa concezione della vita, anche la vecchiaia non è altro che una situazione aperta a diversi possibili sbocchi, e siamo noi che decidiamo liberamente come viverla e come interpretarla.
Certo, in un quadro di condizionamenti e di vincoli, i quali hanno via via un peso sempre maggiore, ma senza che venga mai meno il libero gioco della volontà. Per queste ragioni, il rapporto e il dialogo con Vittorio Foa non è mai sbarrato dal divario generazionale, ma è un confronto alla pari, proprio perché non c’è quel rovesciamento del tempo, quel ritornare sempre al passato, che è tipico di una certa forma dell’invecchiare.
Io l’ho conosciuto tardi, ma ho potuto senza difficoltà, senza barriere reverenziali, entrare in un rapporto di comunicazione e di amicizia, perché Vittorio è vitalmente interessato al dialogo, alla relazione, senza dogmatismi e senza retorica.
Il suo è un pensiero sempre aperto, mobile, veloce, curioso delle novità. Il dialogo è possibile perché non è intralciato dal meccanismo del dominio, del potere. Questo è molto importante, perché le logiche del potere rendono tutto strumentale, e soprattutto nella fase dell’invecchiamento l’attaccamento al potere diviene devastante. Per chi conosce solo i meccanismi del potere l’invecchiamento si configura come lo catastrofe, perché prima o poi ci si deve rassegnare alla sconfitta. Ma la politica può essere qualcosa d’altro rispetto alla competizione narcisistica, può essere l’esperienza delle relazioni con l’altro, nella convinzione che ciascuno di noi si realizza solo nel quadro di queste relazioni. Non esiste il sé senza l’altro, non esiste il soggetto senza la sua dimensione sociale, collettiva.
Per questo è molto importante il problema del linguaggio, perché esso è il nesso attraverso il quale si svolgono tutte le relazioni interpersonali. Foa insiste sul rigore e sulla significatività del linguaggio, e vede la crisi attuale della politica come una crisi dei significati, come una irresponsabilità nell’uso delle parole.
Le parole sono entrate nel vortice di una generale manipolazione, e tutto ormai può essere detto senza che a ciò corrisponda un significato preciso, un impegno, una coerenza. Occorre, quindi, riconquistare la significatività del linguaggio, perché senza il linguaggio non c’è relazione, non c’è comunicazione tra le persone.
Infine, c’è sempre in Foa una grande attenzione al tema del sindacato, non solo per il ricordo della sua straordinaria esperienza nella CGIL di Di Vittorio, ma perché la sua idea della politica non è mai scissa da ciò che accade nella società e dai processi sociali concreti che coinvolgono la vita delle persone. Il sindacato è il tramite di questo rapporto, e quindi la vitalità del sindacato è sempre il segno della vitalità democratica del paese.
Sul sindacato, il suo messaggio è chiaro, lucido e attualissimo: il sindacato deve rinnovare se stesso, rappresentare il lavoro che cambia, e questo compito può essere svolto solo nella prospettiva dell’unità, superando le vecchie appartenenze, le vecchie identità di organizzazione, che rappresentano solo il passato. L’impegno per l’unità sindacale è tanto più necessario nel momento in cui esistono differenze, le quali rappresentano la complessità reale del mondo del lavoro e vanno ricondotte entro una strategia comune, con un lavoro paziente di mediazione e di sintesi. Vale quindi anche per il sindacato lo regola dell’iniziativa creativa, che rompe le situazioni bloccate. Per costruire una nuova prospettiva, ciascuno deve essere disponibile a mettere in discussione le sue certezze.
E allora, in conclusione, il messaggio di Vittorio Foa si può così riassumere: che noi siamo sempre responsabili, di ciò che facciamo, di ciò che succede, di ciò che non riusciamo ad impedire. Non c’è mai una necessità che ci obbliga, ma c’è un’esistenza da interpretare, con scelte libere e consapevoli. Come per gli esistenzialisti, la natura umana non è un’essenza, ma solo un’esistenza, aperta al libero gioco delle decisioni individuali e collettive. In questo senso l’insegnamento di Vittorio Foa ha un carattere classico, di impronta socratica.
Non ci dice che cosa dobbiamo fare, ma ci chiede di metterci nelle condizioni per scegliere, con un atto di libera responsabilità. Non ci impone nulla, ma ci chiede di essere persone libere. Credo anch’io che sia l’unica cosa ragionevole che si possa oggi dire alle persone: non trasmettere una verità dall’alto, ma invitare a cercare liberamente la verità.
Busta: 5
Estremi cronologici: 2004, 6 febbraio
Descrizione fisica: Fotocopia pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -
Pubblicazione: “Nuovi Argomenti SPI Lombardia”, marzo 2004, pp. 43-44, ripubblicato in “Riccardo Terzi, un pensiero innovatore”, pp. 113-116