IL CNEL E LE CAMERE DI COMMERCIO IN UN PLURALISMO COLLABORATIVO
di Riccardo Terzi – Consigliere CNEL
È stato avviato un confronto per definire un programma organico per il rilancio dell’economia locale.
Il confronto tra il CNEL e la Camera di Commercio di Milano non è casuale, perché il sistema camerale è il primo interlocutore naturale per un organismo come il CNEL, nel quale sono rappresentate le forze economiche e sociali del paese. Dopo la legge di riforma, anche le Camere di Commercio sono istituzioni pubbliche che rappresentano, nel loro territorio, l’interesse collettivo di una determinata comunità economica, assumendo un preciso rilievo nell’ordinamento istituzionale.
A differenza delle associazioni imprenditoriali, che rappresentano un interesse di parte, le Camere rappresentano il sistema delle imprese come sistema sociale, con tutte le sue interne articolazioni. Di qui la presenza significativa e importante, anche se numericamente limitata, dei rappresentanti dei lavoratori e dei consumatori. Occorre evitare che si tratti di una presenza solo aggiuntiva e marginale. Pur nei limiti della legge in vigore, che forse può essere utile rivedere sotto questo profilo, è necessario valorizzare la presenza di tutti i soggetti, proprio per salvaguardare il carattere istituzionale, e non meramente corporativo, del sistema della Camere.
I rapporti tra CNEL e Camere di Commercio
Ed è in questa ottica istituzionale che si pone la prospettiva di una collaborazione più stretta tra il CNEL e le Camere di Commercio. Il CNEL ha cercato di costruire, in questi anni, una propria strategia di intervento sul territorio, e in questo senso si è messo in relazione con la rete delle istituzioni locali, per incentivare e accompagnare i processi di concertazione territoriale. Non è stata, invece, incoraggiata l’ipotesi di costituire i cosiddetti CREL, ovvero organismi che riproducono su scala regionale il modello istituzionale del CNEL, perché il rischio è quello di far proliferare istituzioni troppo rigide e appesantite, che non riescono a produrre risultati concreti. Occorre evitare un eccesso di istituzionalizzazione, e occorre invece mettere in comunicazione i diversi soggetti che operano sul territorio e fare coalizione, creando così le condizioni positive per lo sviluppo locale.
Il Patto tra il Governo e le parti sociali
Le prospettive della concertazione hanno avuto un nuovo impulso dalla conclusione del Patto tra il Governo e le parti sociali. Questo Patto non è soltanto un aggiornamento degli accordi precedenti, ma contiene alcune novità abbastanza significative. In primo luogo, esso assume per la prima volta un preciso rilievo istituzionale, in quanto è stato sottoposto alla verifica parlamentare e approvato dalle Camere. Non è più soltanto un accordo volontario tra le parti, ma è un atto politico. Ciò è importante perché si superano i limiti di una procedura neo-corporativa, che scavalca ed esautora il Parlamento, e si stabilisce un raccordo tra la concertazione sociale e la decisione politico-legislativa. In questo ambito viene affidato al CNEL, in quanto organo costituzionale, il compito di organizzare le sessioni di verifica previste dal patto.
Il CNEL, che era stato pensato dai costituenti come l’organo della concertazione con le forze sociali, in realtà non ha mai svolto pienamente questo ruolo, perché le parti sociali si rapportano direttamente con il Governo. Ora viene recuperata una funzione del CNEL, come strumento di supporto e di verifica, con il compito di tenere sotto osservazione l’attuazione pratica degli impegni concordati e la dinamica delle relazioni sociali, nel quadro del patto di concertazione. La seconda innovazione consiste nel fatto che la politica di concertazione non si esaurisce nel livello centrale, ma deve articolarsi nei diversi livelli istituzionali. Tutto il sistema delle autonomie, dai Comuni alle Province, alle Regioni, dovrà concorrere a costruire, nel proprio ambito territoriale, il quadro di una politica concertata con i diversi soggetti sociali, scegliendo, quindi, per tutto l’ordinamento statale, un indirizzo di governo che si basa sul confronto e sulla ricerca del consenso e della partecipazione. È una scelta impegnativa, perché la concertazione diventa così un vero e proprio sistema di governo, dal centro alla periferia, che richiede la messa in atto di una procedura complessa di confronto e di coinvolgimento delle parti sociali, a tutti i livelli. Per ora, è solo una indicazione, una linea di tendenza ancora tutta da esplorare e da realizzare. Sono infatti, ancora tutti da costruire gli strumenti e le procedure della concertazione territoriale.
Le autonomie funzionali e lo loro “deterritorializzazione”
In questa prospettiva, si inserisce il tema delle autonomie funzionali, che possono svolgere un ruolo rilevante nella definizione delle politiche di sviluppo locale. Le autonomie funzionali hanno avuto per la prima volta un riconoscimento giuridico esplicito nelle leggi Bassanini, con particolare riferimento alle Camere di Commercio e alle Università. Si tratta di istituzioni pubbliche del tutto particolari, non riconducibili al circuito classico della sovranità politica fondata sulla rappresentanza territoriale, dotate quindi di una loro autonomia specifica in quanto organizzano verticalmente un determinato sistema: il sistema delle imprese, o il sistema della conoscenza scientifica.
Il tema delle autonomie funzionali è un tema nuovo e estremamente complesso, che diviene sempre più rilevante nel momento in cui entrano in crisi le forme classiche della rappresentanza politica. Nel modello classico la sovranità coincide con il territorio, e la politica può essere allora definita come l’occupazione democratica del territorio, lungo una precisa scala dimensionale che va dal Municipio allo Stato nazionale.
Ora, questa corrispondenza tra sfera della decisione politica e sfera territoriale sta entrando in crisi, per effetto dei nuovi processi di mondializzazione dei mercati e di “deterritorializzazione” dell’economia. Non basta più il controllo del territorio, perché si affermano poteri e centri decisionali che non sono più localizzabili in un determinato ambito territoriale. Si affermano così nuovi poteri che si collocano fuori dal circuito classico della rappresentanza politica democratica. Mentre la politica resta dimensionata su una base territoriale, l’economia travolge tutti i confini e si sviluppa in una dimensione globale. Lo stesso fenomeno si verifica nella comunità scientifica, che è vitale proprio in quanto non è più riconducibile entro le tradizionali dimensioni dello Stato-Nazione. Questo processo, se non viene regolato e se non si trovano nuove soluzioni politiche e istituzionali, può provocare la crisi e lo svuotamento della democrazia. La risposta va cercata guardando in avanti, verso soluzioni innovative, e non tentando di tenere artificiosamente in vita un sistema politico ormai in crisi.
La legittimità democratica delle autonomie funzionali
Il problema delle autonomie funzionali ha questa portata, in quanto si tratta di individuare le forme istituzionali che siano capaci di dare legittimità democratica ai nuovi poteri, alla nuova rete globalizzata delle relazioni economiche, della ricerca scientifica, dell’innovazione tecnologica, in un mondo che ha rivoluzionato il concetto di spazio e che non funziona più secondo la tradizionale identità di politica e territorio. Si pone a questo punto il problema sia del riconoscimento delle autonomie funzionali, che rompono l’involucro tradizionale delle istituzioni politiche territorializzate, sia della loro democratizzazione, della loro legittimazione, per evitare che l’esito di tutto questo processo sia l’esaurimento della democrazia politica e l’affermazione di poteri irresponsabili. Ora, le Camere di Commercio, in quanto organismi rappresentativi del sistema delle imprese, stanno dentro questa tematica e hanno quindi bisogno di una regolazione democratica. Nel momento in cui la Camera viene riconosciuta come una istituzione politica, a cui sono affidate funzioni di carattere pubblico, essa deve rispondere della sua legittimità, della sua effettiva rappresentatività, e deve dare precise garanzie circa la democraticità del proprio funzionamento e dei propri meccanismi decisionali. In questo senso, va seriamente esplorata la possibilità di passare a forme di “democrazia diretta”, superando il metodo della designazione associativa. È un tema complesso, ma non può più essere eluso o rinviato, perché non si può sfuggire alla questione della legittimazione democratica. Inoltre, accanto al problema della trasparenza democratica interna delle strutture camerali, c’è l’esigenza di un raccordo positivo e costruttivo con le istituzioni politiche, così da costruire un circuito virtuoso tra gli interessi sociali organizzati e il sistema politico, in una prospettiva di concertazione. È questa una problematica che investe direttamente un organismo come il CNEL, il quale pure si trova in una condizione istituzionale non del tutto definita, a cavallo tra società e Stato, in parte strumento di rappresentanza sociale e in parte struttura pubblica istituzionalizzata, e si deve porre il problema della propria legittimazione, della propria effettiva capacità di rappresentanza dei soggetti sociali. Se non sono più sufficienti gli strumenti tradizionali della democrazia politica, e occorre inserire nel processo decisionale degli interessi organizzati e delle loro rappresentanze, è ancora tutta da definire la strumentazione di questa democrazia più moderna e più articolata, perché è l’intera struttura sociale ad essere messa in movimento, in un processo di rapida trasformazione, e quindi le stesse forme rappresentative della società civile hanno bisogno di essere ricostruite e rinnovate. Per quanto riguarda il CNEL, esso è consapevole di rappresentare solo in modo parziale e imperfetto la realtà economica e sociale del Paese, in quanto è strutturato sulle grandi organizzazioni tradizionali e fatica ad intercettare nuovi soggetti sociali. In questo senso, è stata avviata una linea di ricerca e di lavoro sulle nuove figure sociali e sulle nuove rappresentanze, puntando ad un allargamento della capacità rappresentativa, e così analogamente si è messo in moto un processo nuovo di insediamento nel territorio, sia per conoscere i nuovi processi che stanno avvenendo, sia per entrare in comunicazione con tutta la rete degli attori sociali e istituzionali che agiscono, con diverse caratteristiche, nelle singole realtà territoriali.
La concertazione
La logica di questo intervento del CNEL nel territorio è il rovescio della logica centralistica, perché si tratta di responsabilizzare i soggetti locali, di metterli in comunicazione, di accompagnare i processi di concertazione: non un movimento verticale di trasmissione gerarchica dall’alto verso il basso, ma la costruzione orizzontale di una rete di relazioni, secondo una concezione della democrazia come pluralità di sedi decisionali, come poliarchia che valorizza il ruolo dei corpi sociali intermedi. La democrazia è vitale se non si esaurisce in un punto, se non c’è solo un luogo centralizzato di comando, ma se all’inverso c’è una pluralità di soggetti e di luoghi i quali insieme concorrono a creare un sistema di pluralismo istituzionale, un pluralismo collaborativo che consenta di “fare sistema” e di far convergere l’azione dei diversi soggetti verso obiettivi comuni. In questa direzione ha lavorato il CNEL negli ultimi anni, per incentivare questi processi di concertazione locale, con alcuni risultati sicuramente positivi. È un contributo alla riforma federalista dello Stato, che non può ridursi ad un trasferimento burocratico di competenze dal centro alla periferia, ma richiede la costruzione di sistemi territoriali autoregolati, capaci di mettere in comunicazione la domanda sociale e il ruolo delle istituzioni. In questa strategia del CNEL, l’incontro con la rete delle Camere di Commercio è un punto d’approdo del tutto naturale, perché il sistema camerale si presenta appunto come una struttura già fortemente insediata nel territorio e parte attiva di tutti i processi che riguardano lo sviluppo locale.
La collaborazione tra il CNEL e la Camera di Milano
In particolare, pensiamo che una collaborazione diretta con la Camera di Commercio di Milano possa essere un momento significativo, di grande rilievo nazionale, perché si interviene in uno dei punti nevralgici del nostro sistema economico. Occorre vedere, nella realtà complessa di Milano, quali possano essere gli strumenti e le forme della concertazione, della programmazione negoziata. Finora l’esperienza dei Patti territoriali ha interessato soprattutto le Regioni meridionali, laddove si trattava di individuare iniziative capaci di ridare dinamismo a situazioni di economia arretrata e stagnante. È chiaro che nel Nord i problemi sono diversi e diverse devono essere le strumentazioni e le procedure.
Il protocollo sottoscritto tra il CNEL e la Regione Lombardia può essere la cornice istituzionale all’interno della quale si rendono operativi diversi progetti di concertazione locale. Questo protocollo ha senso se lo rendono attivo, se lo utilizzano i soggetti sociali. E in questo contesto la Camera di Commercio di Milano può svolgere un ruolo molto importante. Nella realtà milanese c’è evidentemente un problema istituzionale irrisolto, perché non si è ancora costituita una autorità di governo che rappresenti il necessario punto di coordinamento politico di tutte le fondamentali scelte strategiche che riguardano l’area di Milano nella sua più ampia dimensione metropolitana. Ma non dobbiamo solo auspicare gli interventi istituzionali. Dobbiamo vedere se è possibile già oggi, anche in carenza della riforma istituzionale, attivare processi, sedi di confronto, di elaborazione, di concertazione, tra tutti i soggetti interessati allo sviluppo dell’area milanese, con il concorso delle istituzioni, delle forze sociali, della cultura scientifica, utilizzando il vasto patrimonio di esperienze che si sono realizzate in molte grandi città metropolitane dell’Europa, le quali si sono dotate di piani strategici, costruiti con la partecipazione e il consenso dei soggetti sociali. Un altro campo di collaborazione tra il CNEL e la Camera di Commercio di Milano può essere l’organizzazione di un osservatorio sulle riforme amministrative avviate con le leggi Bassanini, per verificarne gli effetti, gli impatti concreti sul funzionamento dell’amministrazione, gli eventuali punti di sofferenza su cui occorre intervenire, in particolare dal punto di vista dello sviluppo economico, del sostegno all’occupazione e all’innovazione imprenditoriale. Infine, è possibile lavorare su tutti i temi del lavoro, della sua trasformazione, nel passaggio all’economia post-fordista, della rappresentanza dei nuovi lavori, e sulle concrete politiche che è necessario attivare nei settori cruciali della formazione e del mercato del lavoro. Siamo tutti di fronte ad alcune nuove sfide impegnative, che possono essere affrontate solo innovando profondamente gli strumenti di intervento e di regolazione. Istituzioni, soggetti sociali, partiti politici, si trovano tutti nella necessità di ridefinire il loro ruolo, e avranno un futuro solo in quanto sapranno misurarsi con il cambiamento sociale e istituzionale. Creare le condizioni per un confronto, per una collaborazione, per una ricerca comune su questi temi, pur nell’autonomia dei diversi ruoli, può essere una strada utile da percorrere, nella convinzione che il contributo dei soggetti sociali è comunque decisivo per rinnovare le forme della politica e le forme dello Stato.
Busta: 3
Estremi cronologici: 1999, ottobre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - CNEL -
Pubblicazione: “Impresa e stato”, ottobre 1999, pp. 50-53