LA POLITICA STRETTA NEI VINCOLI DEL MERCATO
di Riccardo Terzi
La disputa ideologica sul comunismo, rilanciata a sorpresa dal segretario dei DS Walter Veltroni, sta provocando i suoi effetti politici, forse non voluti, ma certamente prevedibili. Tutte le destre e tutte le forze centriste si sono tuffate in questo varco per rivendicare i loro meriti storici nella difesa delle libertà democratiche. Se il comunismo è la tragedia del secolo, come dargli torto? E la sinistra, ancorché oggi impegnata a tagliare le sue radici, può essere credibile come guida politica del paese, alla fine di un secolo nel corso del quale essa ha sbagliato tutte le sue analisi e si è messa, drammaticamente, in un vicolo cieco? Poste così le cose non ci resta che celebrare la nostra quaresima. Tutto questo si inserisce in una situazione politica torbida, nella quale sono in atto diverse e insidiose manovre di restaurazione centrista, con l’obiettivo più o meno dichiarato di mettere la sinistra fuori gioco e di scalzarla dal ruolo centrale che essa ha conquistato, in questi anni, nel governo del paese. Una sinistra che mette radicalmente in discussione la sua storia non è, come qualcuno si illude, più forte, più legittimata, ma si espone al gioco di ritorsioni e ricatti. E si prepara ad uscire di scena. Se il gioco consiste nella corsa al centro, la sinistra a che serve?
Come fronteggiamo questa nuova situazione? In primo luogo, credo che si tratti di difendere le nostre ragioni, le ragioni di una forza politica autonoma della sinistra italiana. Non abbiamo più radici ideologiche da tagliare, ma piuttosto abbiamo da ricostruire in modo visibile la nostra identità e il nostro progetto storico. O si pensa che sia utile un nuovo strappo, una nuova fase di lotta interna per chiudere definitivamente i conti con l’eredità del vecchio PCI?
Sul piano storico, il Novecento è il secolo che ha visto, su scala mondiale, con diversi approcci e con diversi esiti, il tentativo di porre un argine alla logica espansiva del mercato capitalistico, ai suoi effetti sociali, ai suoi meccanismi di dominio e di mercificazione di tutte le relazioni umane. Il movimento comunista è parte essenziale di questa storia politica del Novecento. Non si identifica con una dottrina, con un regime politico, con un sistema di Stati, ma è un elemento del processo storico complessivo con il quale si sono cercati nuovi equilibri nuovi valori di eguaglianza, nel rapporto tra individui, tra le classi, tra le Nazioni. Ridurre tutto questo movimento storico alla vicenda peculiare dell’Urss è un errore di prospettiva.
Noi siamo stati dentro questa storia, che non è fatta solo di errori e di tragedie, ma di passioni civili e di conquiste sociali. Ora, alla fine del secolo, ci troviamo di fronte ad una situazione per molti versi inedita, con i processi di globalizzazione, con la rivoluzione tecnologica, con nuove diseguaglianze e nuove marginalità sociali, con nuove forme di dominio dei paesi forti sui continenti meno sviluppati. E di fronte a tutto ciò la politica è in evidente difficoltà, costretta dentro i vincoli sempre più rigidi delle leggi di mercato. La libertà e la democrazia non sono oggi le forze vincenti, ma sono in uno stato di sofferenza e di crisi. Nella dialettica tra capitalismo e democrazia, tra economia e politica, c’è il tentativo di liquidare l’autonomia della politica, di vanificare lo spazio democratico nel quale gli uomini decidono della loro organizzazione sociale. Quello che oggi accade è questo massiccio spostamento dei centri decisionali fuori dal circuito politico democratico.
La politica ridotta al mercato delle candidature, i partiti ridotti ad agenzie elettorali, i cittadini messi nella condizione di essere solo spettatori di un gioco che non sanno più decifrare: tutto ciò costituisce il grande ostacolo contro il quale ci troviamo a cozzare. La sinistra, in fondo, si riassume nell’idea forte dell’autonomia della politica. Se la politica è messa in ginocchio, la sinistra è spiazzata. La sinistra, dunque, deve rilanciare oggi la sua sfida e il suo progetto. È quello che oggi manca. In tutte le discussioni, talora bizantine, sul nuovo Ulivo, sullo spirito del maggioritario, sulla legge elettorale, ci si occupa solo degli aspetti esteriori, delle forme, degli involucri istituzionali, e sfugge la sostanza. La crisi drammatica che si è aperta nel rapporto di fiducia tra politica e società, tra istituzioni e cittadini, non si risolve inseguendo i miraggi di una democrazia di tipo plebiscitario, ma affrontando di petto l’intrico materiale dei rapporti di potere, delle relazioni sociali, prospettando al paese una politica dei diritti e una nuova idea di eguaglianza. Per questo, la sinistra ha tuttora bisogno di riannodarsi alla sua storia, che è la storia di questa ricerca. Fuori da questo orizzonte, una forza politica della sinistra perde identità e capacità di rappresentanza sociale, e finisce per essere triturata in un gioco tattico nel quale si sta preparando una prospettiva di restaurazione.
PS: Trovo del tutto insopportabile l’uso iconografico che si sta facendo della figura di Enrico Berlinguer, collocandolo fuori dal suo contesto, dalla sua storia politica, dalle sue radici, fortissime, con la vicenda del comunismo italiano.
Si dice: ci siamo iscritti solo perché c’era Berlinguer. Ma quando mai ci si iscrive ad un partito politico così, a prescindere dalla sua cultura politica, solo per il fascino personale del leader? La sua figura sta dentro una storia e una tradizione, e non ha nessun senso presentarlo fuori da questo contesto, come una specie di idealista isolato e incompreso, capitato lì per caso a dirigere il PCI, quasi un anticipatore dell’audace revisionismo storico e politico che è oggi di moda.
So per esperienza diretta, per le discussioni ed i contrasti avuti allora con Berlinguer, quanto fosse forte la sua diffidenza per i nuovismi, per le revisioni frettolose. Alla mia prudente richiesta di guardare con più apertura alle esperienze del socialismo riformista, si rispose allora con una rivendicazione orgogliosa della diversità comunista.
Non si può giocare con la storia, e manipolarla secondo le convenienze del momento. Chi pensa che con la storia del PCI si debba operare una rottura, se ne assuma direttamente le responsabilità, senza scomodare Berlinguer, che è stato, nel bene e nel male, altra cosa, e la cui memoria va difesa dalle troppo comode strumentalizzazioni.
Busta: 8
Estremi cronologici: 1999, 7 novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagina quotidiano
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “L’Unità”, 7 novembre 1999