LE LEZIONI DELLA STORIA
La svolta del PCI nasce dai profondi mutamenti mondiali. E con essi tutta la sinistra deve fare i conti
”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi
Per evitare che la discussione politica resti tutta interna alla vicenda del PCI e si avviti su se stessa, generando così inevitabilmente le angustie e le cecità dello spirito di setta, dobbiamo cercare di capire, senza veli ideologici, che cosa succede nella realtà.
È in atto un processo mondiale gigantesco che riorganizza, su basi completamente nuove, tutti gli equilibri politici e statali nel cuore dell’Europa, ed è davvero singolare che questo processo “rivoluzionario” non occupi, come dovrebbe essere, un posto centrale nel dibattito politico e non stimoli approfonditi programmi di analisi per poter individuare con sufficiente chiarezza le diverse alternative che sono in campo. Abbiamo tutti visto negli eventi dell’89, nella caduta del muro di Berlino e nel crollo dei regimi autoritari dell’Est europeo, un fatto liberatorio, un processo democratico che chiude finalmente i conti con quel tragico equivoco storico che ha intorbidato e fatto degenerare l’idea del socialismo. Questa unità di giudizio, che accomuna tutte le diverse forze della sinistra italiana, è una premessa comune sicuramente importante, ed è un approdo unitario di tutto il dibattito interno al PCI, con l’eccezione ormai irrilevante di poche voci stonate.
Ma in quale direzione si muove questa rivoluzione democratica? Quali nuovi assetti sociale e politici si stanno costruendo? Pesano tuttora grandi incognite, e si allunga l’ombra di una possibile violenta ondata di destra, di un passaggio traumatico a una economia di mercato senza regole, a un liberalismo selvaggio. In ogni caso è qui che si decide l’esito della storia futura, e si decide quale spazio e quali prospettive può avere una sinistra di ispirazione socialista. Il caso della Germania è esemplare. L’unificazione è avvenuta come pura e semplice annessione, guidata dalle forze conservatrici. Sono probabilmente fuori luogo i timori per un rinascente nazionalismo tedesco, ma è un fatto che si costituisce oggi nel centro dell’Europa una fortissima struttura di potere che è saldamente nelle mani dei partiti conservatori e dei grandi gruppi capitalistici, mentre la sinistra appare spiazzata e in seria difficoltà strategica.
A guardare le cose con oggettività, il processo che sta avvenendo sotto i nostri occhi ha essenzialmente questo carattere di pura e semplice liquidazione delle ispirazioni socialiste, con il generale passaggio di mano a nuovi gruppi politici il cui programma è solo l’ingresso nell’Occidente e l’adozione del suo stile di vita. In questo senso Jurgen Habermas ha parlato di “rivoluzione recuperante”, che esprime una volontà di ritorno nell’alveo delle democrazie occidentali, e che si distingue per una “mancanza pressoché totale di idee innovatrici e volte al futuro”. C’è come una grande stanchezza, una nausea per la retorica intorno ai grandi ideali del futuro, e il ripiegamento nell’ottica più tranquillizzante della vita quotidiana e dei consumi privati. Può essere, certo, un inevitabile contraccolpo del fallimento di un’intera esperienza storica. E i giochi non sono ancora fatti, e nelle nuove contraddizioni c’è sicuramente molto spazio per un’azione politica di sinistra, democratica e riformatrice.
Nei contatti che mi è capitato di avere con le organizzazioni sindacali di questi paesi, è apparsa chiara l’esigenza di fronteggiare la nuova situazione costruendo efficaci linee di difesa, nel diritto del lavoro, nella contrattazione, nella politica sociale, e per questa via sta sorgendo, dopo un lungo sonno burocratico, un nuovo tipo di sindacalismo, autonomo dal potere politico. La sinistra, quindi, ha un ruolo possibile, e lo deve svolgere con energia, prima che la partita sia definitivamente compromessa. Ma in quale prospettiva, con quale cultura politica, con quali fini? Non possiamo ripetere, dopo lo sconvolgimento di questi anni, le stesse cose, gli stessi concetti, le stesse parole. Il nostro linguaggio ha un senso se parla alla nuova realtà dell’Europa, se offre strumenti critici adeguati a una nuova possibile sinistra che si può costruire sulle macerie del “socialismo reale”. In questo nuovo contesto, l’idea di “rifondazione comunista” non può che assumere un suono sinistro. Non siamo più nel ‘68, quando le migliori energie intellettuali tentavano di dare vita all’idea del “socialismo dal volto umano”. Ora la rottura con il passato è radicale, e anche Dubcek è rispettato per la sua storia personale, ma non è più una guida per il futuro. Se vogliamo avere un ruolo nella nuova Europa, anche noi dobbiamo trarre dall’esperienza storica alcune conclusioni radicali.
La svolta del PCI, e la prospettiva del nuovo partito, nascono in questo contesto mondiale, e non negli equilibri di palazzo di Botteghe Oscure. È il tentativo, sicuramente ancora per molti aspetti indeterminato, di costruire nuove fondamenta, storicamente reali, dopo che le certezze ideologiche del nostro passato hanno dimostrato di essere sabbia. Per questo poniamo oggi al centro il tema della democratizzazione della società, e di tutte le sue strutture di potere, e scegliamo un nome che è coerente con questa impostazione politica, perché sta qui il possibile terreno di unità di tutte le forze della sinistra europea, all’Est e nell’Occidente. In un’azione democratica conseguente, che restituisca l’effettiva sovranità ai cittadini e che spezzi le varie strutture “separate” di un potere oligarchico o burocratico, c’è il possibile cammino comune di tutta la sinistra, su scala europea.
In ogni caso, non c’è futuro per la sinistra se essa non sa organizzarsi, politicamente e idealmente, come forza che agisce nella dimensione mondiale. Se rifiutiamo questo orizzonte, ci troviamo a far concorrenza alle leghe sul terreno angusto dei localismi e dei piccoli interessi.
Busta: 8
Estremi cronologici: 1991, 20 gennaio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 2, 20 gennaio 1991, p. 25