PCI PIÙ PSI NON FANNO LA SINISTRA

Iniziative come il Forum 92 sono utili ma avranno risultati solo se procedono senza forzature

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

Ho sempre pensato che i due maggiori partiti della sinistra italiana non hanno un futuro se non sanno elaborare un strategia politica che consenta alla sinistra di far valere, unita, tutta la sua forza. L’ho pensato e detto, andando contro corrente, negli anni della segreteria di Berlinguer, attirandomi la patente di filo-socialista di destra, che mi è rimasta a lungo appiccicata, e con la quale sono sopravvissuto senza turbamenti. Oggi torna al centro della discussione politica il tema dei rapporti nella sinistra, in una situazione profondamente mutata. E c’è ora nel partito una consistente corrente di pensiero che gioca apertamente tutte le sue carte su una prospettiva di unità politica con il PSI. È un tema cruciale, sul quale ciascuno deve prendere posizione con tutta la chiarezza necessaria.

Io resto del tutto convinto che né il PCI né il PSI possano essere autosufficienti. Tutta la storia politica di questi anni ha messo in luce la miopia degli “integralismi” di partito conducendo entrambi i partiti in un vicolo cieco: l’uno a trovarsi schiacciato in un’alleanza innaturale con l’ala peggiore della DC, la più conservatrice e la più compromessa, e a vedere così pericolosamente offuscata la sua ispirazione socialista, l’altro a dover predicare un’alternativa astratta, senza interlocutori visibili, senza capacità di produrre processi politici reali, rischiando così di impantanarsi in una declamazione velleitaria. Ma questa necessaria correlazione strategica tra i due partiti della sinistra, i quali possono pensare al loro futuro solo nel rapporto con l’altro, non comporta affatto, a mio giudizio, una prospettiva di unificazione; di annullamento delle differenze, di omologazione.

Non è un caso che tutte le ipotesi di unificazione, che a più riprese si sono affacciate nel corso della nostra storia, sono tutte naufragate. I due partiti hanno storie, culture, identità, valori, che possono sì convergere, ma non consentono una reductio ad unum. Il PSI non è riuscito ad assorbire neppure la modesta pattuglia di Cariglia. Figuriamoci dunque se può bastare lo slogan “unità socialista” per imprimere d’un tratto un nuovo corso alla storia politica italiana. È solo una mossa propagandistica, senza analisi politica, senza elaborazione, e quindi senza effetto.

Il pluralismo della sinistra italiana è un fatto storico, con radici profonde, non comprimibile. E a chi può giovare una forzata semplificazione? La sinistra ne sarebbe sminuita, indebolita, mutilata.

Il nuovo corso del PSI, iniziato con la segreteria di Craxi, ha dato nuovo dinamismo a un partito che sembrava avviato verso un dignitoso declino, e ha consentito di conquistare nuove posizioni, di aggregare forze, di incidere nel vecchio blocco dominante. E ora in modo anche più stringente si pone per il PCI l’esigenza di un radicale rinnovamento, per mettere in campo nuove forze, per mobilitare un nuovo e più largo schieramento democratico, rompendo i limiti di una tradizione ormai troppo angusta per esprimere il nuovo. Ma i due percorsi sono distinti, e possono avere successo proprio in quanto sono distinti. Per questo anche nel nome il nuovo partito non può apparire come una duplicazione di ciò che già esiste. Il PCI che si avvia a fondare una nuova formazione politica, deve salvaguardare una sua identità originale e autonoma, altrimenti si dissolve e non riesce a produrre nessun fatto creativo. Questa è la vera e fondamentale linea di demarcazione nel nostro dibattito interno: rinnovarci con una proposta dinamica che riattualizzi la nostra funzione autonoma nella società italiana, oppure subire passivamente un processo di sfaldamento di cui non potremo più governare gli esiti e gli sbocchi.

Non capire questo, e star fermi alla disputa sul nome, è l’errore più assurdo e improduttivo che possa essere compiuto. È stare a difendere una trincea, quando la battaglia si è spostata in un altro punto. Con i socialisti, dunque, il discorso unitario va riaperto, ma su queste basi. Dovremo, per questo, reggere nell’immediato uno scontro politico anche aspro, per respingere lo strumentalismo dell’operazione di “unità socialista”, pensata come liquidazione dell’anomalia storica della sinistra italiana e come assorbimento dei resti di un PCI oramai allo sbando. Se si parte dal riconoscimento del pluralismo della sinistra, dal rispetto reciproco, dalla ricerca di una unità che non è pretesa di egemonia e di dominio, allora, e solo allora, il discorso può divenire produttivo.

Iniziative di confronto unitario come il Forum 92, a cui ho aderito con grande interesse, potranno dare risultati se c’è, come premessa, un approccio realistico, se si considera la sinistra italiana per quello che è, come risultato di un processo storico assai complesso. Le legittime preoccupazioni di Ruffolo hanno come primo destinatario il gruppo dirigente di via del Corso. D’altra parte, la situazione è in movimento, e il processo di cambiamento così radicale, avviato nel PCI, non potrà che determinare nel prossimo futuro condizioni nuove, più favorevoli all’unità della sinistra. Se invece si vuole oggi una “forzatura”, un’unificazione a tappe forzate, il risultato non potrà che essere il riesplodere convulso di tutte le tensioni, col rischio di un generale arretramento verso posizioni di intolleranza settaria. L’unità non fa nessun passo reale se viene solo agitata come una bandiera, o usata per un applauso da comizio. Nulla di solido si costruisce se mancano la pazienza e il realismo, la capacità di valutare nel loro spessore e nella loro complessità i processi storici profondi.



Numero progressivo: H108
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, novembre
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 38, 4 novembre 1990, p. 23