POLITICA COME PROGETTO

Il programma del nuovo partito dovrà chiarire come affrontiamo il tema decisivo dei rapporti di potere

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

E ora dobbiamo porre mano alla realizzazione della Costituente. È un processo aperto, non predeterminato nei suoi sbocchi, e richiede che già da ora il partito lavori in modo nuovo, uscendo dal proprio involucro burocratico per coinvolgere attivamente tutte le forze disponibili. In questo processo c’è spazio per il più ampio pluralismo delle posizioni politiche. Se davvero la nostra discussione non è più sul se ma sul come, come dovrebbe essere logico dopo un Congresso che nella sua sovranità ha deciso una determinata linea di marcia, dovremmo allora liberare il campo dagli schieramenti del sì e del no, che si sono fronteggiati al Congresso, e che ora stancamente si riproducono e tendono a cristallizzarsi. Dovremmo tutti, come ha detto Reichlin al Comitato centrale, tornare a parlare in prima persona.

Comunque, ciascuno si assuma le proprie responsabilità. E ciascuno dica con chiarezza quali obiettivi si propone e quale ruolo intende svolgere in questa fase difficile ma feconda della vita del partito. Il primo appuntamento è sul programma. A quali domande deve rispondere la definizione di un programma? Si è aperta in proposito una discussione di grande interesse, che vede contrapposte le ragioni del realismo (Danilo Zolo) e quelle dell’etica (Massimo Paci, Michele Salvati). «La politica dice Zolo – dovrebbe essere restituita, anche nei programmi della sinistra, alle sue funzioni laiche di organizzazione degli interessi particolari, di mediazione dei conflitti, di garanzia della sicurezza e di promozione del benessere materiale». Si teorizza così una riduzione della politica alla tecnica, all’esercizio delle competenze necessarie per fronteggiare i rischi della moderna società tecnologica. Una tale concezione non dà ragione delle motivazioni autonome della sinistra, e resta tutta interna al processo di modernizzazione capitalistica, non disponendo più di nessun criterio di valutazione critica. Si pongono solo obiettivi di governabilità e di efficienza.

E un “programma” costruito su queste premesse non avrebbe nessuna capacità di mobilitazione sociale e democratica. Perché non c’è mobilitazione senza l’impulso di forti motivazioni politiche e ideali. Come potremmo per questa via uscire dalla crisi e dar vita a una nuova formazione politica della sinistra? E tuttavia penso anch’io, come Zolo, che nella nostra ricerca dobbiamo riferirci alla lezione di Machiavelli più che a quella di Kant. Penso cioè necessario un ideale politico, un progetto di società e di Stato, una capacità realistica di tradurre i “valori” nel linguaggio della prassi politica. Machiavelli appunto, e non Guicciardini: la teoria politica, e non l’arte del compromesso. L’enunciazione di una tavola di valori, e l’affermazione del primato dell’etica sulla politica, non rappresentano una risposta ai dilemmi attuali della sinistra. La moderna società capitalistica è sufficientemente cinica da poter assorbire e neutralizzare qualsiasi astratta dichiarazione di principio. Non è più il tempo in cui le parole libertà ed eguaglianza avevano in sé una carica eversiva dell’ordine sociale. C’è un logoramento delle parole, un loro sfilacciamento, ed è ormai difficile costruire un discorso sui valori che sfugga alla vuotezza della retorica.

Possiamo certo ripetere le solenni affermazioni di principio del programma di Bad Godesberg, riaffermare che «la libertà, la giustizia e la solidarietà sono valori fondamentali della volontà socialista”, ma con ciò non avremmo ancora risolto nessuno dei nostri problemi politici. Questi valori acquistano un senso solo se si individuano le istituzioni politiche e sociali che li possano garantire. E in ciò consiste il compito di un programma: delineare un modello istituzionale e un modello sociale. I modelli teorici a cui nel passato abbiamo fatto riferimento sono ormai, in tutta evidenza, sorpassati e non più proponibili. E ora la domanda che ci viene rivolta non riguarda i principi etici generali, ma riguarda il senso politico concreto che può avere oggi, nell’Europa di questa fine di secolo, l’idea di socialismo. Quale organizzazione della democrazia? Quale rapporto tra Stato e mercato? Quale ordinamento sociale? Per sfuggire all’angustia della politica come tecnica, e alla ridondanza di una affermazione astratta dei valori etici, è necessario definire la politica come progetto.

Anche il problema dei valori trova, su questo terreno, le sue possibili risposte. Se c’è una questione morale nel funzionamento dello Stato, essa pone un problema di riforma istituzionale, pone cioè la necessità di costruire strumenti efficaci di controllo democratico che pongano fine agli elementi di irresponsabilità, di arbitrio, di dominio autoritario.

Senza queste garanzie istituzionali, avremo tendenze degenerative. E ciò che appunto si sta verificando nel complesso della “società civile” è l’affermarsi di una degenerazione corporativa, il che è il segno non di una crisi morale del nostro tempo, ma di un collasso delle istituzioni democratiche. Porre così la questione significa anche fare i conti realisticamente con gli elementi di conflitto. Non si tratta certo di teorizzare “l’antagonismo come valore in sé”, di ridurre la politica a una rozza concezione in cui valgono solo i rapporti di forza, ma di vedere la politica nel suo processo reale, nel suo intreccio di idealità e di interessi materiali, nei suoi conflitti di potere.

Il programma del nuovo partito dovrà chiarire come ci collochiamo nel processo reale della politica, come affrontiamo il problema – che è il nocciolo fondamentale della politica – dei rapporti di potere e delle forme in cui il potere si esercita.


Numero progressivo: H115
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 10 giugno
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Scritti Politici - Riflessioni politiche -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 18, 10 giugno 1990, p. 35