VECCHI E NUOVI CONTRATTI

L’esito delle attuali vertenze sarà importante se darà più potere alle forze sindacali

”Dal sociale al politico”, rubrica di Riccardo Terzi

Per i prossimi rinnovi contrattuali, che interessano alcune fondamentali categorie dell’industria, possiamo parlare, ricorrendo a un’espressione piuttosto abusata, di una fase di transizione. Indubbiamente le organizzazioni sindacali si sono trovate in grande difficoltà, strette tra due esigenze non facilmente conciliabili: quella di avviare una politica rivendicativa di tipo nuovo, capace di anticipare lo scenario di un nuovo sistema di relazioni industriali, e di cogliere la nuova qualità dei bisogni di un mondo del lavoro in rapida e intensa trasformazione, e quella, d’altro canto, di compiere una scelta realistica e immediatamente efficace considerando i rapporti di forza esistenti, e valutando il peso tuttora grandissimo che hanno tra i lavoratori anche le rivendicazioni più “tradizionali”, a partire da quella salariale. Si è così resa necessaria una faticosa mediazione tra ipotesi diverse, col risultato inevitabile di produrre delle piattaforme non chiarissime nelle loro priorità e nelle loro coordinate di fondo.

Si sa, d’altra parte, che una piattaforma sindacale è sempre il risultato di un processo complesso, in cui si incrociano diversi interessi, e che non può essere pertanto valutata con il metro di un astratto perfezionismo. Il punto critico, allora, non sta tanto nella qualità della mediazione, ma nel carattere prevalentemente verticistico che essa ha assunto, in assenza di un processo democratico reale capace di coinvolgere come protagonisti i lavoratori interessati. Si è così evidenziata una delle ragioni fondamentali della crisi del sindacato: la mancanza di regole chiare di trasparenza nel rapporto con i lavoratori.

Ma il punto che mi preme sottolineare è un altro. Non è il ritardo del sindacato, ma il ritardo e l’inaffidabilità delle sue controparti. Una nuova e moderna linea rivendicativa può pienamente affermarsi solo nel quadro di un nuovo sistema di relazioni. Sta qui il passaggio critico che occorre oggi realizzare. E in questo senso, appunto, i contratti del ‘90 non possono che avere un carattere di transizione.

Quali sono le nuove linee guida della contrattazione che si possono immaginare nel prossimo futuro? In primo luogo si dovrebbe tendere a un’azione sindacale capace di misurarsi con i problemi dell’impresa, con le sue esigenze di efficienza, capace quindi non già di eliminare il conflitto, ma di portarlo a un livello più alto, sulla base di una cultura non solo antagonistica, ma aperta a cogliere nella sua dinamica e nelle sue potenzialità il processo di innovazione tecnologica e organizzativa delle imprese. Bene, è del tutto evidente che ragionamenti di questo tipo non hanno nessun senso se non si apre uno spazio reale di partecipazione che consenta al sindacato di essere un interlocutore effettivo nella definizione delle strategie di impresa. Ma è proprio su questo punto politico, relativo all’ equilibrio dei poteri nell’impresa, che scatta la resistenza più tenace, in quanto non può essere in nessun modo messo in discussione il principio dell’unicità di comando.

La seconda direzione di marcia che sembra necessario imboccare è quella di un’azione rivendicativa che metta al centro i nuovi bisogni qualitativi dei lavoratori. L’organizzazione del lavoro, i percorsi professionali, l’uso flessibile del tempo, l’accesso alle conoscenze, la formazione, lo sviluppo di una responsabilità autonoma del lavoratore: sono questi, per grandi linee, i temi intorno ai quali costruire una nuova stagione rivendicativa. Ma, ancora una volta, è chiaro che una tale linea presuppone un sistema di relazioni industriali diverso da quello attuale, e richiede uno straordinario sviluppo della contrattazione articolata, nei luoghi di lavoro, perché solo per questa via sarà possibile far aderire davvero l’azione sindacale alla concretezza dei bisogni differenziati dei lavoratori.

Un sistema centralizzato non potrà mai riuscire a essere innovativo. Se non si sposta il baricentro dal contratto nazionale alla contrattazione decentrata il sindacato resterà inevitabilmente arretrato, in ritardo. Ma è proprio questa scelta di decentramento che viene apertamente osteggiata dagli imprenditori.

Il contratto nazionale potrà essere nel futuro costruito in modo sostanzialmente diverso, come un quadro di riferimento a maglie larghe che rinvia la definizione concreta di molti aspetti del rapporto di lavoro alla contrattazione aziendale. Potrà, in questo caso, avere cadenze temporali più allungate. Si potrà anche ipotizzare un unico contratto per l’industria. Ma la condizione indispensabile è l’accordo su un modello contrattuale che realizzi in modo radicale una linea di decentramento.

Giungiamo così a questi contratti, difficili, che appaiono ancora troppo tradizionali nella loro impostazione. Ma proprio per questo loro carattere di difficile transizione verso un nuovo ancora tutto da costruire, il loro esito sarà di grandissima importanza. Il sindacato deve conquistarsi la forza per andare avanti. Deve rompere la gabbia nella quale gli imprenditori vorrebbero tenerlo relegato. E deve, per vincere, rendere chiaro all’opinione pubblica, troppo spesso disattenta e disinformata, che in questa partita le possibilità di innovazione dipendono tutte da un risultato che dia più forza e più potere contrattuale alle organizzazioni sindacali. Non si tratta solo dell’interesse dei lavoratori, ma di un interesse più profondo e generale dell’intera società italiana, se vogliamo evitare di restar fermi a una vecchia cultura padronale, miope, autoritaria e arcaica, che fa da freno allo sviluppo civile del paese.


Numero progressivo: H117
Busta: 8
Estremi cronologici: 1990, 13 maggio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Pagine rivista
Tipo: Scritti
Serie: Riflessioni politiche - Scritti Sindacali -
Pubblicazione: “Rinascita”, n. 14, 13 maggio 1990, p. 27