XVII CONGRESSO SPI NAZIONALE

Montesilvano 16-17-18 febbraio 2006

Intervento di Riccardo Terzi – Segretario Generale SPI CGIL Lombardia

Abbiamo scelto di tenere il nostro Congresso prima delle elezioni politiche, per marcare la nostra autonomia e per intervenire, con la forza di un nostro autonomo progetto per l’Italia, nel vivo di una campagna elettorale che si annuncia di straordinaria asprezza e nella quale sono messi in gioco alcuni valori di fondo. Continuo a ritenere che questo sia il tema del congresso: quali sono le nostre proposte per il futuro politico e civile della società italiana. Per questo, dobbiamo essere all’altezza di questa sfida, dobbiamo entrare in comunicazione con la realtà del paese, evitando di farci trascinare sul terreno di una polemica tutta interna, per regolare i nostri equilibri burocratici o per reintrodurre, in un congresso unitario, l’antico vizio delle piccole appartenenze e delle piccole fedeltà personali.

L’unità della CGIL è oggi una necessità politica, proprio perché non possiamo permetterci, in una situazione di così forte tensione, di perdere di vista ciò che è davvero essenziale, e la nostra unità è la condizione per costruire una unità sociale più larga, per avere dalla nostra parte non solo la ragione, ma anche la forza. Penso all’unità come ad un lavoro comune di ricerca, nel quale   ciascuno può concorrere liberamente alla costruzione di una sintesi condivisa. Non si tratta quindi di rinunciare al pensiero critico, che è l’anima di un’autentica vita democratica, ma di capire il contesto nel quale oggi siamo e di avere, quindi, quel senso di responsabilità, di misura e di realismo che può consentire alla CGIL di parlare con una sola voce, con un gruppo dirigente da tutti riconosciuto e legittimato.

La situazione politica ha i caratteri di una vera e propria emergenza: emergenza sociale, perché il paese si sta sfasciando, ed emergenza democratica, perché si sta tentando un rovesciamento dei principi costituzionali. È aperto un conflitto, tra partecipazione e decisionismo, tra repubblica delle autonomie e democrazia plebiscitaria. Questo conflitto ci coinvolge direttamente, perché decide del nostro ruolo, della nostra possibilità o meno di far pesare la nostra voce nella dialettica democratica. Il decisionismo autoritario lo abbiamo visto all’opera in questi anni: esso significa semplicemente che i soggetti sociali non hanno diritto di cittadinanza. Possono organizzare proteste, manifestazioni, scioperi. Ma nulla poi accade, perché il decisore politico, eletto dal popolo e unto dal Signore, non deve rendere conto a nessuno, e ogni esercizio di autonomia, dalla magistratura alla stampa, dagli enti locali al sindacato, è solo un complotto che va stroncato con la forza. C’è stata quindi, in questi anni, una mutazione politica che ha trasformato il nostro sistema, che si avvia ad essere, se qualcosa non cambia, il dispotismo di una ristretta oligarchia.

Penso anch’io che, nella nostra autonomia, non dobbiamo contare su “governi amici”. Ma ci sono, questo è certo, governi nemici. E allora, prima di dichiarare preventivamente le nostre iniziative di lotta contro il futuro governo, cominciamo a sbarazzarci di quello attuale. Non per un pregiudizio ideologico, o per un rinnovato collateralismo, ma perché sono in gioco la nostra autonomia e il nostro ruolo di rappresentanza sociale.

Al governo noi dobbiamo chiedere che sia aperto lo spazio per un confronto, per un negoziato politico, che renda praticabile il metodo della concertazione. Sappiamo bene che c’è sempre una dialettica complessa tra il politico e il sociale, che c’è sempre una conflittualità irrisolta, ma il problema è quello di decidere se c’è un luogo in cui questa dialettica si può esprimere e si può ricomporre, se c’è un metodo di governo che riconosce un ruolo alle autonomie sociali, per cui esse concorrono al processo decisionale. La concertazione è esattamente questo metodo, questo processo sempre aperto e problematico, nel quale funzione di governo e funzione di rappresentanza cercano di trovare un punto di equilibrio.

Ho sempre trovato stravagante l’idea di buttare a mare la concertazione, nell’illusione di poter contare solo sui rapporti di forza, che non mi sembrano essere oggi particolarmente favorevoli. Se fosse così, dovremmo ringraziare il governo di centro-destra, che ci ha liberati da tutti i vincoli e che ha escluso qualsiasi possibilità di un patto sociale. In realtà, si tratta ora di riconquistare uno spazio negoziale con il governo, e di fissare i contenuti di un nuovo patto, che regoli l’uso della leva fiscale e la distribuzione delle risorse. E ciò è assolutamente vitale per noi, sindacato dei pensionati, perché tutti i nostri problemi dipendono dalle decisioni politiche e possono essere risolti solo all’interno di un confronto istituzionale. Una diversa linea sindacale, tutta giocata sull’autonomia del conflitto sociale e sul tentativo di forzare i rapporti di potere, senza nessuna mediazione politica, significherebbe per noi essere messi nell’angolo, senza nessuna possibilità di esercitare una funzione contrattuale.

Lo SPI è forte se è forte l’azione confederale, se c’è un progetto politico su cui scommette la confederazione. Noi non siamo una categoria, tra le altre, ma una espressione della confederalità, come ha detto con assoluta chiarezza la relazione della segretaria generale, perché ciò di cui ci dobbiamo occupare è il modello sociale, è l’insieme delle politiche pubbliche per far fronte alle nuove emergenze, ai mutamenti sociali e demografici, e per costruire un nuovo sistema di diritti e una nuova cittadinanza. Nel quadro della politica complessiva della confederazione, sta a noi affrontare quello che è oggi, in tutte le società sviluppate dell’Occidente, un nodo politico di primaria grandezza, il crescente invecchiamento della società, con tutte le sue complesse implicazioni.

Per far fronte a questa emergenza, occorre che la società si organizzi su nuovi basi, con un diverso paradigma, in modo che la vita delle persone anziane consenta l’esercizio pieno delle loro facoltà, come protagonisti attivi e partecipi dell’intera vita sociale. E occorre, nello stesso tempo, un forte investimento sul futuro, sulle nuove generazioni, su una nuova prospettiva di fiducia e di sicurezza, perché senza l’apporto dei giovani, senza una politica che ne promuova l’iniziativa, la professionalità, i diritti, è la società nel suo insieme che declina ed arretra. È un problema che dobbiamo sentire come nostro e che ci riguarda direttamente, perché solo se la società progredisce, se i nostri figli hanno un futuro, possiamo sentire che la nostra vita non è stata sprecata, e perché la società deve ritrovare un equilibrio, tra invecchiamento e nuova crescita, tra valorizzazione degli anziani come risorsa e promozione, per i giovani, di tutte le opportunità di lavoro e di conoscenza, contrastando con estrema decisione le politiche di precarizzazione oggi prevalenti. Occorre, in sostanza, quello che sta scritto nelle nostre tesi congressuali: la capacità di riprogettare il paese.

Non c’è rappresentanza sociale senza un progetto, senza un programma di trasformazione sociale nel quale i diversi interessi, le diverse esperienze individuali, trovano un momento di unificazione.

Ma il progetto, per il sindacato, non può essere la città di Utopia. Deve essere un processo reale, che incide, anche parzialmente e gradualmente, nella realtà materiale, e di cui possono essere misurati e verificati i risultati, gli avanzamenti, gli obiettivi a breve termine. Sotto questo profilo dobbiamo fare seriamente il punto sulla nostra piattaforma, e vedere come la rilanciamo, come la rimettiamo al centro del dibattito politico. Il tema della rivalutazione delle pensioni è di stringente attualità, e tutti i dati dimostrano come si sia consumata una profonda ingiustizia. Lo riconosce anche Berlusconi, con le sue demagogiche promesse elettorali. Ma il governo non è mai stato disponibile ad aprire con noi un negoziato, a tradurre concretamente le promesse elettorali in un preciso calendario di impegni, di decisioni. Allora, è chiaro che si tratta solo di parole al vento, destinate ancora una volta a finire nel nulla.

E su questo stesso tema dobbiamo chiedere anche al centro-sinistra impegni precisi, lavorando sull’idea di un regime fiscale differenziato e agevolato per i redditi da pensione, e riaffermando il diritto ad un effettivo negoziato annuale per adeguare le pensioni alla crescita economica del paese. Ma il problema, come è evidente, non è solo economico, e riguarda l’insieme delle politiche sociali, sia a livello nazionale sia nei singoli territori. Noi ci vogliamo occupare dell’intera condizione di vita delle persone anziane, che ha bisogno non solo di risorse economiche, ma di relazioni, di socializzazione, di conoscenza, di partecipazione piena alla vita collettiva. Su questo terreno, siamo e vogliamo continuare ad essere un soggetto contrattuale, che negozia, che stringe accordi e che risponde democraticamente dei suoi risultati alle persone che intende rappresentare.

Si pone anche per noi, per la nostra attività di negoziazione sociale, un problema di democrazia, e dobbiamo darci, unitariamente, delle regole, dei criteri. Ma la democrazia si può ridurre al fatto che i lavoratori (e i pensionati) hanno l’ultima parola? Perché proprio l’ultima, quando ormai i giochi sono già fatti, quando c’è solo da dire un sì o un no? II problema è quello di costruire un processo democratico reale in tutte le fasi dell’attività sindacale, e questo riguarda il nostro modo di lavorare, il nostro rapporto quotidiano con gli iscritti e con le persone rappresentate, il lavoro di coinvolgimento, di informazione, di responsabilizzazione. La democrazia non può essere solo l’atto conclusivo di un voto referendario, ma è una pratica sociale sulla quale siamo costantemente misurati e giudicati.

È questo il salto qualitativo da compiere: organizzare in modo sistematico la partecipazione, l’azione collettiva e la crescita culturale dei nostri iscritti, per pesare di più nella vita politica e nell’azione sindacale. Noi siamo potenzialmente una grande forza, una forza che è decisiva nel governo unitario della CGIL, nel sostegno e nella promozione dell’unità sindacale, e che può anche essere un importante “soggetto politico”, che pone al centro del dibattito pubblico e della ricerca culturale i grandi temi del modello sociale, delle politiche di welfare, della qualità della nostra vita in questa difficile epoca di trasformazioni e di conflitti.

Dobbiamo avere questa ambizione, e sentire tutta la nostra responsabilità nella vita interna della CGIL e nella vita democratica del paese. Con questo nostro congresso, continuiamo un cammino già tracciato e lo possiamo portare a nuovi traguardi.



Numero progressivo: D26
Busta: 4
Estremi cronologici: 2006, 16-17-18 febbraio
Autore: Riccardo Terzi
Descrizione fisica: Stampa da file PC
Tipo: Relazioni
Serie: Scritti Sindacali - SPI -